Le Province siciliane sono state massacrate finanziariamente dai Governi nazionali e regionali di centrosinistra. Oggi non sono più nelle condizioni – finanziarie e politiche – per andare avanti. Tanto vale sopprimerle. E, quando le condizioni finanziarie lo consentiranno, dare ai Comuni la possibilità di costituire dei veri “Liberi Consorzi di Comuni”, così come prevede l’articolo 15 dello Statuto siciliano
Le Province siciliane, o ex Province siciliane – Città metropolitane nei casi di Palermo, Catania e Messina, Consorzi di Comuni per le altre sei ex Province – sono amministrazioni pubbliche che sopravvivono. Vanno avanti a tentoni, senza programmi, senza soldi, senza prospettive. E’ uno stillicidio che I Nuovi Vespri denuncia da quando è in rete. E lo denuncia pure, da anni – voce che grida nel deserto – il vice presidente dell’ANCI Sicilia, Paolo Amenta. A questo punto lanciamo la nostra proposta: sopprimere quello che resta (molto poco, in verità) delle nove Province siciliane.
La nostra è una proposta dettata dai ‘numeri’.
Sono stati il Governo nazionale di Matteo Renzi e il Governo regionale di Rosario Crocetta – entrambi di centrosinistra ed entrambi presieduti da esponenti del Partito Democratico – a decretare, di fatto, la fine delle Province siciliane.
Il Governo Renzi ha inventato il prelievo forzoso, a carico delle nove Province siciliane, di circa 240 milioni di euro all’anno.
Il Governo Renzi ha deciso, unilateralmente, di tenersi circa 220 milioni di euro all’anno di RC Auto e libretti che andavano nelle ‘casse’ delle Province siciliane.
Il Governo Renzi ha tagliato i fondi alla Regione siciliana, facendo in modo che, nel giro di un paio di anni, il Fondo regionale per le Autonomia locali (fondo che veniva erogato a Comuni e Province) passasse da quasi un miliardo all’anno a poco più di 300 milioni di euro all’anno.
Il Governo Renzi ha voluto una legge di ‘riforma’ delle Province – che porta il nome dell’ex Ministro, Graziano Delrio – che è un esempio unico di illogicità: assegna alle Province competenze importanti senza, però, erogare i fondi per consentire alle stesse Province di svolgere tali servizi in favore dei cittadini.
Cosa, questa, che il citato Amenta segnala da anni: ma non c’è stata alcuna autorità che ha stigmatizzato il comportamento del Governo nazionale, a parte un blando e generico avvertimento della Corte dei Conti per la Sicilia che riguarda, in generale, il trattamento che lo Stato ha riservato alla nostra Regione.
Il Parlamento siciliano non ha avuto nemmeno la forza e la dignità politica per non recepire l’assurda e sbagliata legge Delrio.
Tutte queste cose – lo ribadiamo – sono state volute dal Governo nazionale di centrosinistra a ‘trazione’ PD; e sono sta avallate sia dal Governo regionale di centrosinistra a ‘trazione’ PD, sia dal centrodestra, che negli anni in cui le Province siciliane sono state depauperate sotto il profilo finanziario non hanno aperto bocca.
E’ questo il motivo per il quale, oggi, gli esponenti del centrosinistra e del centrodestra dovrebbero avere la dignità politica di tacere.
Giunti a questo punto, la soluzione politica più logica – che per ironia è in perfetto accordo con quanto prevede lo Statuto autonomistico siciliano – è la soppressione delle Province siciliane.
Recita l’articolo 15 dello Statuto siciliano:
1. Le circoscrizioni provinciali e gli organi ed enti pubblici che ne derivano sono soppressi nell’ambito della Regione siciliana.
2. L’ordinamento degli enti locali si basa nella Regione stessa sui Comuni e sui liberi Consorzi comunali, dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria.
3. Nel quadro di tali principi generali spetta alla Regione la legislazione esclusiva e l’esecuzione diretta in materia di circoscrizione, ordinamento e controllo degli enti locali.
Le Province siciliane avrebbero dovuto essere sostituite dai Liberi Consorzi di Comuni nel 1947, quando sin insediò la prima Assemblea regionale siciliana.
Le Province andavano sciolte perché rappresentavano i periodi bui della ‘presunta’ unificazione italiana, quando i generali inviati nel Sud dai Savoia scannavano i patrioti che combattevano contro l’invasione piemontese. Quei patrioti sono stati chiamati “briganti’ dalla squallida storiografia officiale; in realtà i “briganti” erano i Savoia e i loro sgherri.
Le Province, oltre a ricordare gli anni della Resistenza del Sud ai ‘briganti’ piemontesi, ricordavano i ‘Prefetti’ di Giolitti, a mezzo dei quali lo ‘statista di Dronero’ ne combinava di tutti i colori, come denunciato da Gaetano Salvemini.
Le Province andavano abolite e sostituite, come prevede lo Statuto, da “Liberi Consorzi di Comuni”.
“Liberi” significa che ogni Comune, senza vincolo alcuno, sceglie in quale provincia stare.
Questo non è avvenuto nel 1986, quando l’Assemblea regionale siciliana ha approvato una delle peggiori leggi in materia di enti locali: la legge n. 9 del 1986. Una legge arrogante, presuntuosa, pomposa e truffaldina: e ve lo dice uno che, già in quegli anni, seguiva i lavori del Parlamento siciliano.
Le Nuove Province regionali allora istituite, infatti, di nuovo avevano solo alcune competenze, ma non avevano nulla a che spartire con l’articolo 15 dello Statuto!
E non parliamo delle ultime leggi in materia di Province volute in questi anni da centrosinistra e centrodestra: sono leggi confusionarie e sbagliate che non hanno nemmeno la dignità politica per essere chiamate Leggi.
A questo punto, visto che le Province siciliane, oggi, sopravvivono senza potersi occupare di nulla, se non della propria sopravvivenza, non resta che chiuderle.
A nostro modesto avviso, il Governo nazionale non deve erogare un solo euro per farle sopravvivere ancora. Quanto agli attuali sei mila dipendenti circa, vanno tutelati trasferendoli presso altre amministrazioni pubbliche.
Una volta eliminate le attuali Province, quando le condizioni finanziarie lo consentiranno, la Regione darà la possibilità ai Comuni dell’Isola di organizzarsi in “Liberi consorzi comunali”: ma dovranno essere i Comuni a decidere, anche con i referendum, con chi stare, non il Parlamento siciliano!
Il Parlamento siciliano dovrà certificare nove Liberi Consorzi di Comuni, senza Città Metropolitane, che non sono previste dal nostro Statuto.
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