In questa puntata del racconto l’autore ci porta indietro nel tempo, prima che i piemontesi, con l’appoggio degli inglesi, iniziassero la conquista e la rapina del Sud. Pensate un po’: la Calabria, che la dominazione italiana ha massacrato, era sede, con Mongiana, del primo sito siderurgico del Regno delle Due Sicilie, caso unico in quella che sarebbe poi diventata l’Italia
di Domenico Iannantuoni
Ragazzi carissimi, quest’oggi vi parlerò di un materiale assai
importante per il nostro Stato: il ferro.
Un materiale per il quale deteniamo a livello italiano la
leadership assoluta e che proviene in massima parte dalle
miniere calabresi di Pazzano e dintorni ma anche fino a prima
degli anni delle invasioni francesi, prima repubblicane con
Championnet (1798/99) e poi imperiali napoleoniche
(1806/1815) con Massena e Reynier e che tanta distruzione e
morte portarono ovunque e quindi anche nel nostro Stato;
avevamo anche, fino al 1801, lo Stato dei Presidi (Nel
Granducato di Toscana, e precisamente Isola d’Elba, Piombino
ed ampi spazi di entroterra oggi in provincia di Grosseto).
Il maestro si avvicinò al grande libro e lo aprì per poi sistemarsi
comodo sulla sua sedia che però aveva spostato davanti alla
cattedra per essere più vicino a tutti noi.
“ … Discorrendo di Gioia Tauro (1), si richiamava Mongiana e
il complesso di attività intercorrenti tra il suo stabilimento
metallurgico e l’area circostante, dal cuore dell’aspra montagna
appenninica ai centri vicini (Serra, Pazzano, Stilo, Bivongi) e
agli approdi jonici e tirrenici (Squillace, Monasterace, Siderno,
Pizzo e Nicotera). Mongiana!… Ma la vita, che del resto era
molto dura altrove, anche fuori dalla Calabria e dal Regno
borbonico, pulsava in molte direzioni, sicché dalla ferriera si
irradiavano stimoli economici, sociali e tecnici e, com’era
naturale, impulsi politici e culturali. Lo “statino” degli addetti
alla ferriera … dà 762 unità: 250 “carbonieri”, 90 “minatori”,
100 “armieri”, 110 “mulattieri” e “bovari”; e con essi tecnici e
operai specializzati, dai “capi officina” ai “macchinisti” ai
“forgiari” ai “limatori” agli “accieri” ai “fornaceri” agli
“staffatori” ai “ribattitori” ai “raffinatori” ai “magliettieri”:
un’occupazione di buona dimensione per quei tempi e talora di
ottima capacità tecnica alla quale deve sommarsi lo stuolo di
artigiani, di piccoli commercianti, di manovali generici che vi
era collegato nei mesi di più forte produzione.
…E in ogni caso, non deve essere sottaciuto il fatto che, nel
cuore dell’appennino calabrese, funziona… la più importante
industria metallurgica borbonica, e per di più legata a materie
prime locali. E che fosse statale, come quella meccanica, più
robusta, di Pietrarsa, è certo un fattore da considerare ove se
ne intendano esaminare i costi e la produttività; e in questo caso
si dovrà comunque inserirla nel complesso sistema economico
borbonico e, in particolare, nel cosiddetto “protezionismo ferriero”…
“Ma quando, perché e come nacque lo stabilimento di Mongiana?
…Una tradizione ‘ferriera’ esisteva … in Calabria e se ne
parla in memorie antiche come di attività precedenti alla venuta
dei Saraceni. Tommaso Campanella ricorda uno stabilimento
della sua Stilo, e il suo riferimento, e i molti altri che si ricavano
da descrizioni, memorie e documenti di archivio, confermano
che il territorio attorno a Stilo costituiva la più ricca zona
mineraria del Regno di Napoli e che in esso furono attive, in
secoli diversi, numerose ferriere. Si può ricordare, ad esempio,
che alcune di esse (a Stilo e in zone non distanti, come Spadola)
furono cedute da Carlo V a Cesare Fieramosca; che, nei primi
due decenni del ‘600, esse avevano aumentato la produzione
rispetto al secolo precedente, toccando i 1200 quintali nel 1618
con lavorazione di ferramenti per la marina e ferri speciali per
usi civili; e che, nei primi decenni del ‘700, nel periodo
austriaco, quel governo imperiale mostrò molto impegno alla
loro ripresa”.
“Queste ferriere non ebbero tutte una continuità produttiva. A
metà ‘700 si ebbe un primo spostamento in zone più vicine alla
città, nel cuore del bosco demaniale e la costruzione di una
nuova ferriera lungo il corso del fiume Assi; sicché il precedente
gruppo fu chiamato le ‘Ferriere Vecchie’, le quali
corrispondono al complesso della Ferdinandea costituito dopo
quello di Mongiana. Tali spostamenti possono essere spiegati
soprattutto con la progressiva riduzione dell’area boschiva,
attesa la grande quantità di combustibile richiesto dalla
tipologia produttiva; e fu, in sostanza, per questo motivo che il
loro amministratore, Massimiliano Conty, propose al governo il
progetto di una nuova ferriera. La località prescelta era detta,
appunto, Mongiana, posta nel cuore della montagna, a 5 miglia
da Serra S. Bruno, in mezzo alla selva di proprietà del principe
di Roccella, feudatario di Fabrizia”.
“Nasceva così un vero e proprio ‘distretto siderurgico’ Calabrese,
comprendente Mongiana e Ferdinandea; e nel settore
privato, la ferriera di Razzona (Cardinale) costruita dai
Filangieri col metodo ‘alla catalana’ e capace, secondo il
Grimaldi, di una produzione di circa 2.500 cantaia l’anno.
Oltre che sui boschi e i molti corsi d’acqua, quel sistema
metallurgico statale si fondava sui minerali di ferro della
miniera di Pazzano. Rispetto alle ferriere antiche, tutte ubicate
a poca distanza da questa miniera, il processo di concentrazione
si attuava in località più lontane, il che, mentre aumentava la
disponibilità delle risorse carbonifere e facilitava il trasporto
dei prodotti sulla via carrettiera che, lungo l’Angitola, portava
a Pizzo, rendeva più arduo il rifornimento dei minerali da
Pazzano alla Ferdinandea e a Mongiana, distanti
rispettivamente 18 e 29 chilometri da percorrere su strade
appena abbozzate. Benché sfruttata con procedimenti poco
evoluti, quella miniera impegnava mediamente 140 unità, tra
adulti e bambini; e in certi anni, come tra il 1803 e i1 1854, si
estraevano 14.000 quintali di minerali a servizio di un solo
altoforno attivo 5-6 mesi l’anno o, come dopo il 1854, 50.000
quintali annui per l’alimentazione di 3 altoforni”.
“Il complesso di Ferdinandea comprendeva un altoforno attivato,
edifici per alloggio, magazzini, officine, la segheria, la chiesa.
Beneficiava, come si è detto, della vicinanza alla miniera di
Pazzano, ma incontrava difficoltà nella quantità e nell’uso delle
risorse idriche. La potenza idraulica, molto alta nell’inverno, si
abbassava drasticamente in estate, sicché nei mesi di maggiore
siccità si riusciva ad attivare un solo fuoco di affinazione.
Mongiana, a parte la distanza da Pazzano, fruiva di migliore
opportunità ed era cresciuta via via fino a qualificarsi come un
centro metallurgico completo. All’altoforno S. Barbara si erano
aggiunti a metà Ottocento il S. Ferdinando e il S. Francesco,
costruiti sul tipo di Thomas e Laurent; e su un fronte di due
chilometri e mezzo, lungo il corso dei fiumi Ninfo ed Alaro,
erano ubicate le varie officine”.
“La struttura di quel polo siderurgico è descritta in varie
memorie della prima metà dell’800 sebbene con giudizi diversi
sulla sua capacità produttiva. Luigi Grimaldi ne offre una
sommaria idea nei già ricordati “Studi statistici”. Più
recentemente documenti importanti sono stati utilizzati dal
Caldora e dal Petrocchi, rispettivamente per il decennio napoleonico
e per… il periodo borbonico. Riunendo varie notizie,
il Petrocchi così riassume lo stato dello stabilimento di
Mongiana dal 1848 al 1859. Mongiana contava “due altoforni
per la produzione della ghisa, sei raffinerie, due fornelli
Wilkinson ed altre officine minori. Era diretto da un tenente
colonnello di artiglieria, assistito da un consiglio di
amministrazione composto di ufficiali della medesima arma.
Oltre agli ufficiali e agli impiegati dello Stato, occupava 280
carbonieri, 100 mulattieri e 100 artefici e manuali. Dal 25
novembre a tutto marzo era in attività un solo altoforno che
produceva 40 cantaia di ghisa al giorno cioè 5000 cantaia per
tutto il periodo di lavoro; si ottenevano inoltre 2.700 cantaia di
ferro. I materiali venivano impiegati per gli usi della guerra e
marina… si forn[ivano] pezzi per ferrovia… si costruivano, tra
l’altro, “metraglie” di ferro fuso, ferro maglio, ghisa in lingotti,
lastre per moschettoni, palle e bombe”.
“La Mongiana dunque, continuando una lunga tradizione e utilizzando materie prime ed esperienze locali, rispondeva ad esigenze del governo specie per le produzioni dell’esercito e nasceva in una fase politica
riformista fondata sull’intervento statale. Negli ultimi due
decenni del ‘700 e nei primi dell’800 gli interventi del governo
si susseguirono sia nel settore più propriamente amministrativo
e di gestione (e in questo senso si pose già allora il problema
della direzione militare), sia nel settore tecnico.
Su questo ultimo aspetto, così scrive il Caldora:
“Gli amministratori napoleonici… giunsero ad un adeguamento delle
paghe, ottennero per gli operai un medico, un farmacista, un
giudice di pace, l’esenzione della leva militare e pensarono
persino di istituire una Cassa degli Operai, con la trattenuta di
un grano a ducato, per l’assistenza agli invalidi, ai vecchi, alle
vedove, agli orfani e per i maritaggi”. La produzione aumentò
progressivamente:
dalle 3.297 cantaia del 1808 si giunse alle 10.065 cantaia del
1812, cosi divise: 3.885 cantaia di “proiettili pieni e vuoti”;
3.900 “cantaia di pani di zavorra”; 152 cantaia di “utensili per
uso dello stabilimento”; 1.091 cantaia di “ghisa”; 1.035
cantaia di “granaglia”. Il preventivo della produzione per il
1814 era ancora più alto: ghisa cantaia 16.000; ferro battuto
3.000; mitraglia di ferro battuto 1.000; aste diverse a palanchetti
100; piombo 700; proiettili pieni 5.333; proiettili vuoti
5.333; granaglia 1.334”.
“La fine della decennale parentesi murattiana e il lungo periodo
d’inerzia seguito alla restaurazione borbonica, durato almeno
fino al 1830, crearono tuttavia una profonda stasi, solo
episodicamente interrotta da isolati tentativi innovativi (ad
esempio, la costruzione di una grande fabbrica “per tirare ferri
e lamine tra cilindri”). E se, da un lato, l’avvento di Ferdinando
II e l’inizio di una fase dominata dalI’“industrialismo
nazionale” segnò una ripresa anche per Mongiana, dall’altro
lato la linea generale protezionistica, che subordinava lo
stabilimento alla produzione militare, impose vincoli fortemente
negativi rispetto al mercato e ne soffocò, in sostanza, le
potenzialità effettive”.
“Nei trenta anni precedenti il … 1859… le attenzioni per il
complesso siderurgico calabrese non mancarono. Furono bensì
episodici, ma tra quegli interventi ve ne erano di conducenti allo
scopo. Ad esempio, la costruzione del tratto di strada Angitola-
Serra S. Bruno, completato nel 1849 e del tratto successivo da
Serra a Pazzano, ordinato nel ’52, in modo da poter fruire di
un’indispensabile infrastruttura interna, tra la miniera e lo
stabilimento, e esterna, fino a Pizzo, per il più rapido trasporto
dei prodotti. E ancora la costruzione di due nuove ferriere, in
una delle quali furono inserite i due fornelli “alla Wilkinson”,
l’ampliamento delle fonderie e l’introduzione di una moderna
macchina a vapore di 50 HP importata dall’Inghilterra. Sul
piano della potenzialità produttiva…, il complesso comprendente ormai tre altoforni, capaci di una produzione
globale giornaliera di 120 cantaia, avrebbe potuto dare 24.000
cantaia di ghisa all’anno, coprire cioè una quota rilevante del
consumo interno”.
“…In una relazione dell’istituto d’incoraggiamento si legge che
“la ghisa di prima fusione è di tal pregio da non temere il
confronto con quella di Bofort, quanto il ferro malleabile tirato
a trafila, di diversa dimensione, tondo e rettangolare, e di cui se
n’è veduta ed accuratamente osservata la spezzatura a freddo;
il quale è di ottima qualità: e medesimamente dovete dire delle
banderelle e lamine stagnate a foglie. Inoltre si voglion
bellissimi i saggi dell’acciaio di cementazione, che nulla
lasciano a desiderare”.
– Cari ragazzi,- Riprese il maestro. -…l’anno 1771 sarebbe
la data di nascita di Mongiana ma altri studi ad oggi la
farebbero risalire a date precedenti. Questo breve scritto
che vi ho letto ci dà un significato generale dell’impegno
che i nostri governi hanno mantenuto nel corso del
tempo per garantirsi una certa autonomia nella
produzione autoctona del ferro, metallo necessario per il
progresso industriale del nostro Stato, nelle forme e nei
tipi prodotti in Mongiana.
Uscimmo da scuola di lì a poco, ed eravamo diventati tutti
mongianesi, o ufficiali, o esperti di forni fusori e di macchine
per la lavorazione meccanica. Il nostro maestro era contento ed
orgoglioso perché lui era calabrese e sapeva quanto importante
fosse questa industria per il nostro Paese.
(1) Prefazione a stralci di Gaetano Cingari del libro “Le reali Ferriere ed
Offcine di Mongiana” di Brunello De Stefano Manno e Gennaro
Matacena.
Foto tratta da telemia.it
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