In questo capitolo del libro si raccontano le ‘gesta’ in verità non molto nobili del generale Guglielmo Pepe che, nel 1848, non fa certo gli interessi del Regno delle Due Sicilie: e lo fa “nel massimo momento di bisogno della patria nostra”, cioè proprio dopo i drammatici fatti delle barricate a Napoli del 15 maggio. La verità è che quando si scava nel Risorgimento si trovano sempre vergogne perpetrate ai danni del Sud
di Domenico Iannantuoni
– Eccoci ragazzi all’ultimo giorno di scuola prima del
vostro…del nostro Natale e soprattutto della nostra
“Vigilia” che domani tutti voi, o almeno i più fortunati,
passerete nelle vostre famiglie in attesa di recarvi in
chiesa per la funzione di mezzanotte. Vi lascio alle
vacanze narrandovi dei nostri soldati che al seguito del
generale Guglielmo Pepe, partirono per il Nord Italia,
dopo il primo contingente che si impegnò a Curtatone,
Montanara e Goito. Sfrutterò ancora un racconto stilato
dal nostro Giacinto dè Sivo…ma prima voglio dirvi
alcune cose.
Il maestro pareva abbastanza preoccupato di “queste cose”. Si
muoveva in modo un po’ nervoso e altrettanto difficoltosamente
andò alla cattedra per recuperare il grande libro. Lo aprì al punto
dove doveva iniziare a leggere, ma lo richiuse subito, e ci disse:
– Cari miei, il 1848, fu un anno veramente terribile.
L’Inghilterra era già riuscita nell’intento di far
“sgattaiolar” fuori dal nostro Stato la ricchissima
Sicilia (23) lavorando con insorti che alla guida di Ruggero
VII avevano dichiarata decaduta la nostra dinastia dei
Borbone. Il Re Ferdinando II aveva concessa la
Costituzione che purtroppo diventò strumento in mano
alle sette filopiemontesi da un lato e repubblicane e
Mazziniane dall’altro, ma volte ambedue a far decadere
la nostra Dinastia e la nostra autonomia. In tutto questo
PIO IX aveva deciso di non firmare il trattato della Lega
Italiana e Re Carlo Alberto, non certo un Savoia essendo
la sua famiglia lontana dodici generazioni da questi,
aveva già dichiarato di voler far sì l’Italia, ma sotto
l’egida piemontese e cioè la sua.
– Bene, in tutto questo bailamme ed ancora in odor di
Costituzione vigente, il generale Guglielmo Pepe venne
designato (a fatica) per comandare l’esercito che
avrebbe dovuto portare aiuto ai piemontesi e a Venezia,
quest’ultima risorta con Daniele Manin, ultimo Doge.
Il maestro iniziò la lettura.
“…fu stabilito che di tredicimila uomini si facessero due
divisioni, una per terra, altra per mare, comandate dal tenente
generale Giovanni Statella, e dal brigadiere Nicoletti, in quattro
brigate, cò’ brigadieri Filippo Clein e Pasquale Balzano, e’ il
colonnello Raffaele Zola. La cavalleria col brigadiere
Ferdinando Lanza. L’artiglieria col colonnello Carlo Lahalle.
Il Nicoletti ed il Lanza si rifiutarono e pertanto fu messo il Clein
a comandar la 2° divisione, questa aveva il 7°. l’8°, e il 9° di
linea, un battaglione dell’11°. Altro di cacciatori, tre reggimenti
di cavalli, 1° e 2° dragoni e uno di lancieri, un battaglione di
carabinieri, due batterie di cannoni, e due compagnie di
zappatori. Mosse subito a scaglioni pel Tronto nelle Marche; e’l
passo non conceduto (dal Papa) fu preso;…
La prima divisione con lo Statella avea due reggimenti di fanti,
1° e 12° di linea, un battaglione del 5°. Uno del 7°, il 3°
battaglione cacciatori, una compagnia di zappatori, e otto
cannoni. S’imbarcò al 27 aprile su cinque fregate a vapore, due
a vela e un brigantino, condotto dal de Cosa. Allo stretto di
Messina ebbero cannonate con lieve danno dalle batterie
armate dà Siculi a Torre del Faro. Così l’eroica Sicilia,
gridatrice d’indipendenza italica, salutava a morte i Napolitani
che lavean lasciata in balia di sé per soccorrere gli italiani.
Sbarcavano ad Ancona. Il Pepe, non partito prima per
sopravvenutagli febbre, s’ebbe dal re il presente d’un cavallo.
S’imbarcò a 1 maggio con parte dello Stato Maggiore sullo
Stromboli; e sul salpare giunsegli lettera ministeriale, che in
regio nome ordinavagli sostasse al Po né passasse senz’ordine
sovrano; avanzandosi innanzi a determinare co’ principi italiani
la parte dal prendersi da noi alla lotta; ma ei serbò la lettera
col proponimento, come scrisse, di non farne nulla. Posto il piè
ad Ancona fra festeggiamenti, ebbe visita da quel gran
rivoluzionario che fu il principe di Canino, e per lui mandò
lettera a Carlo Alberto; poi a 10 maggio fè un ordine del giorno
a’ soldati; dove affermava esser egli dà suoi chiamato padre,
quando combatteva con Massena e Gioacchino in Castiglia…”.
Intanto, cari ragazzi – Interloquì il maestro – non solo la Sicilia
era in subbuglio, ma anche a Napoli furono erette le barricate e
i liberali costituenti (e mazziniani) si ribellarono con le armi al
nostro Re, e fu battaglia, fortunatamente il 15 maggio vincemmo
noi…
“…e così, il ministero napolitano vista la rivoluzione imminente
nelle Calabrie, la Sicilia preparar milizie per soccorrerla, e
tutto il continente del reame agitato dà
congiuratori…mandarono per via d’Ancona il brigadiere
Antonio Scala a richiamar indietro il Pepe. Per tal fatto la setta
accusa Ferdinando d’aver disertata la causa nazionale, e
preparate le vittorie tedesche; non accusa sé stessa della
suscitata guerra civile in Napoli e nelle provincie, delle non
rattenute vampe repubblicane, delle svelate aspirazioni a
fusione italiana; non dice aver essa sforzato il monarca a
provvedere alla sua salute, all’autonomia della patria, anzi che
a trionfare sui suoi scoperti nemici.
… ma il Pepe, mazziniano, non era uomo da ubbidire al re; e
intento a infievolire Ferdinando, non voleva certo restiturgli
l’arme a lui fidate; ma previstasene l’opposizione, era ordinato
ch’ov’egli osasse, il surrogasse lo Statella. Adunque lo Scala
correndo da Ancona a Bologna, raggiungendo per via qualche
reggimento, gl’ingiungea che fermasse; ma già la prima
divisione aveva proveduto a Ferrara. Notificato l’ordine
sovrano allo Statella, ambi la sera del 22 maggio si
presentarono al Pepe, colà a Bologna, e gli dettero la lettera
ministeriale, ch’enunciate le condizioni del regno minacciato di
rivoluzione, gli imponeva rientrar subito nelle frontiere;
inbarcasse parte delle milizie a Rimini per Manfredonia, e parte
ad Ancona per Pescara; chiamasse il 10° di linea da Goito, e
nunziasse la sua partenza a Carlo Alberto. Egli fremitando
s’ingegnò a indurre gli uffiziali circostanti a non ubbidire, ma
poi vistili risoluti al dovere, lasciò il capitanato, cui prese lo
Statella.
In quella gungeva a Bologna il Leopardi nostro ambasciatore a
Torino, che quasi non servisse Napoli ma Sardegna, veniva da
re sardo inviato a indurre il Pepe a muovere in soccorso del
Durando nel Veneziano. Con la veste di regio ministro costui
magnificando suoi mandati segreti, cui fingeva di pugno di re
Ferdinando, forte perorò a persuadere agli uffiziali sia la
salvezza del napolitano regno nella guerra lombarda. Però si
riponessero sotto il Pepe. Questi veggendo nicchiar qualcuno
dei capi, e udendo il colonnello Cotrofiano a dire parergli
vergogna il ritirarsi, prese animo a pregar prima a voce poi in
iscritto lo Statella, a restituirgli il comando: e come quei
ricusava, s’appigliò al partito di darne avviso a’ faziosi di
Bologna; i quali mossa a tumulto quella guardia civica,
gridaron per le vie volersi duce il Pepe per guidare i Napolitani
alla guerra”.
– Ecco ragazzi, volgo al temine. Come avete visto
Guglielmo Pepe disobbedisce al re, nel massimo
momento di bisogno della patria nostra, e cioè proprio
dopo i drammatici fatti delle barricate a Napoli, il 15
maggio. Egli malversando ordini e contrordini, pago del
tributo assicuratogli dal nostro ministro Leopardi
ambasciatore a Torino e servo di Carlo Alberto.
– Il Pepe, optò con gli uomini a lui rimasti, a dire il vero
non molti, per soccorrere Daniele Manin a Venezia e di
fatto lo fece con: il 2° e 3° battaglione di volontari, la 1°
compagnia di zappatori, e la 2° batteria di campagna e
pochi altri soldati trattenuti con carte false. Intanto il
grosso dell’esercito napoletano, ubbidiente al re fece
ritorno a Napoli per soccorrer la propria patria.
“…Il governo veneziano lieto del soccorso in una proclamazione
enumerò i napolitani esser mille tra linea e cacciatori, oltre 300
artiglieri; prezioso aiuto di gente esercitata; ed enfaticamente
conchiudeva dessi tanto più cari quanto esser pochi volenterosi
fra molti, quasi eletti da Gedeone, Il Manin con decreto del 13
fè il Pepe supremo duce nel veneziano. Ve ne eran venuti
alquanti volontari siciliani, e se ne aspettava altri col La Masa.
Adopraron i nostri uffiziali a fortificar le lagune”.
– Bene ragazzi. Per farla breve, concludo che dopo tante
vicissitudini tutti i nostri soldati, pur sempre traditi dal
Pepe che ha operato contro la nostra patria e contro il suo
re, si distinsero molto nelle battaglie di Venezia contro
gli austriaci e poi, stanchi e frastornati dal guazzabuglio
di ordini e contrordini intessuto dal loro generale,
ritornarono a Napoli dietro ulteriori inviti di re
Ferdinando, e ritornarono via mare.
Carlo Alberto intanto si avviava alla sua definitiva sconfitta di
Novara (24) dopo aver messo a soqquadro la Città di
Milano con le sue milizie in fuga. Finiva così, in
tristezza, la guerra della lega per Milano e d’Italia che
avrebbe dovuto vedere il nostro Papa Pio IX in funzione
di coordinatore e i capi di governo dei diversi Stati,
chiusi in una Federazione Italica o Lega Italica. Gli
accordi di Carlo Alberto con gli inglesi, e dunque il suo
implicito desiderio di governare da solo l’Italia riunita in
federazione ce lo impedirono.
– Il nostro Stato, particolarmente odiato dall’Inghilterra, è
quello che ne ha pagato le peggiori conseguenze, tra la
rivoluzione in Sicilia, ossia una nostra guerra civile
sobillata appunto dall’Inghilterra e combattuta con le
armi, e le insurrezioni repubblicane in Napoli.
– A questi fatti gravissimi non dobbiamo dimenticare che
re Ferdinando II, sposò in seconde nozze Maria Teresa
d’Austria e che le armi Napolitane combatterono durante
la guerra di indipendenza italiana contro l’Austria del
1848…dunque i precedenti fatti e questo in particolare,
comporteranno in futuro reazioni a noi non
favorevoli…chissà!
Uscimmo da scuola un po’ tristi per questo racconto mensile,
poi però pensando al Natale imminente cambiammo subito
sentimento. Salutammo tutti il nostro bravissimo maestro,
augurandogli un felice Natale, e lo baciammo
23 Il PIL (prodotto interno lordo) della Sicilia era all’epoca almeno un terzo
di quello dell’intero stato e parimenti essa venne trattata a lvello di
rappresentanti deputati in occasioen del rilascio delal Costituzione. Essa
mantenen anche il titolo di Vicereame e batteva moneta. Si pensi che la
Sicilia era la produttrice di oltre il 90% dello zolfo mondiale, necessario
al 20% per la produzione della polvere da sparo.
24 Battaglia di Novara, 23 marzo 1849
Foto tratta da ilcittadinodisalerno.it
LA STORIA DEL CIMITERO DI SANT’ORSOLA A PALERMO
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