Ferdinando II di Borbone era nato a Palermo. In questa parte del racconto si rievoca la morte di questo re. La sua morte annuncia la disgrazia massonica che sta per abbattersi nel Sud Italia che allora si chiamava Regno delle Due Sicilia: la conquista da parte dei Savoia. Un grande regno ricco di storia finiva dentro l’espressione geografica chiamata Italia. E ancora oggi ne paghiamo le conseguenze
di Domenico Iannantuoni
Ragazzi, oggi vi parlerò di un fatto triste, e cioè della
morte che colpì, il 22 maggio dell’anno scorso (1859) il nostro
re Ferdinando II di Borbone.!-
Meomertino – Chiamò il maestro.
– Vieni qui alla cattedra a leggere ad alta voce.- E gli
preparò un libricino alla pagina prevista.- Meomartino
corse alla cattedra senza perdere tempo.
– Ora Meomartino ci leggerà un pezzo del nostro storico
preferito, Giacinto dè Sivo.
Meomartino si predipose alla lettura in piedi di fronte a noi e la
sua voce fu forte e ben intonata ai passi che leggeva.
“…Muore re Ferdinando. Nella vigilia dè supremi travagli
d’Italia, re Ferdinando che per nome e senso poteva far argine
alla piena sentiva aggravarsi il morbo in Bari, lontano dalla
Reggia, anche mancando dè più eletti consigli dell’arte
salutare, Fu da principio stimato avesse sciatica reumatica,
prodotta dà freddi del viaggio; ma presto andò a miosite, che
trovato guasto il sangue suppurò, e si stese all’anguinaia e alla
coscia, con tumori e febbri intermittenti, onde gli dettero
chinino. Ciò gli irritò l’asse cerebro spinale; e parve apoplessia
e delirio, sicché accorsero con bagni e mignatte. Come si potè,
menaronlo il 9 marzo, navigando cinquant’ore, alla Favorita;
indi per la via ferrata a Caserta, ch’era il primo di quaresima,
a ore tre e mezzo vespertine. Andò dalla stazione della strada
alla reggia sur una barella,, tra la mestissima real famiglia,
vestita a nero per altro suo lutto; pareva un mortorio, piangeva
la popolazione benché discosta, i soldati non potean rattenere i
singhiozzi; ed ei con la voce e con la mano li confortava e
salutava. Intristì; né valse che punto alla coscia scaricasse
copia di pus; ch’anzi v’uscirono più seni fistolosi cui seguitò
febbre etica, emolitisi e tabe. Durò malato quattro mesi e otto
giorni, con dolori asprissimi; sopportò amarezze di medele e
punte di ferri con pazienza; ebbe il viatico a’ 12 aprile, l’estrema
unzione a’ 20 maggio. Piangendo i circostanti ed anche i soldati
che tenevano i ceri disse: Perché piangete? io non vi
dimenticherò.” E alla Regina:” Pregherò per te, pe’figli, pel
paese, pel papa, pè sudditi amici e nemici, e pe’ peccatori.”
Sentendosi più male, disse: “ Non credevo la morte fosse sì
dolce; muoio con piacere e senza rimorso.” Poi ripigliandosi
aggiunse: “ Non bramo già la morte come fine di sofferenze, ma
per unirmi al Signore.” La notte precedente al 22, dicendo
morirebbe quel dì. Ordinò egli stesso la messa e i più minuti
particolari del servizio sacro. Ebbe la benedizione apostolica
con plenarie indulgenze, delegate per telegrafo dal pontefice al
confessore monsignor Gallo arcivescovo di Patrasso. Al sentirsi
mancare notò che gli scuravano gli occhi e gli tintinnavano gli
orecchi; poco stante stese la mano alla croce dell’arcivescovo,
l’altra porse alla regina in segno d’addio; poi chinò il capo
sulla mammella destra e finì. Era la domenica 22 maggio, dopo
il meriggio un’ora e dieci minuti…”.
Meomartino negli ultimi periodi non riscì a mantenere la voce
ferma giacché già piangeva, e tutti noi, compreso Maraglino,
eravamo singhiozzanti. Anche il maestro si fermò ad asciugarsi
gli occhi con il suo fazzoletto. Mai avevamo provato, nella
nostra classe un così profondo sentimento di abbandono e
costernazione. Il maestro ci richiamò all’attenzione e ci
rincuorò:
– Ecco ragazzi come muoiono i grandi. Ferdinando II fu
un nostro grande e giusto re, e tutti noi sapremo
tramandare il suo operato ai nostri posteri. Meomartino,
non andare via, ora che ti sei rinfrancato, leggi pure la
parte finale del racconto di Giacinto dè Sivo.-
Meomartino si ricompose e proseguì.
…nato a’ 12 gennaio 1810, in Palermo, in esilio, mancava quasi
in sul cominciare di altro più duro esilio a’ Borboni; nato e
spento in tempi di Napoleoni. Mancava nello stesso dì 22
maggio, dopo quarantaquattr’anni che l’avolo Ferdinando
entrato era in Napoli, tornando dal decennale esilio; seguendo
così nella sua casa una fatale coincidenza di prospero ed
infausto giorno; e nel reame principio e fine di tempi tranquilli.
Dopo le mortuarie, il cadavere la sera del 1° giugno riposò co’
suoi padri in S. Chiara. Fu della persona altissimo, d’atletiche
membra, bello in giovinezza; poi bianco il volto, bigio i capelli,
fioca voce, pinguedine addicente alla statura. Visse men di
cinquant’anni, quasi ventinove ne regnò; rapito nel buono
dell’età, quando men lo si aspettava. Uomo pio, re forte e
clemente, consorte e padre affettuoso, nella religione, nel
maneggio dello Stato, nelle blandizie su’ traviati, nelle estere
relazioni, nelle dolcezze di famiglia, ebbe fama di buono, e la
meritò.
Vissuto in età d’inique sètte, spregiò loro calunnie; forte resse
dentro il reame, più forte fuori; e piccolo sovrano, alzando sua
ragione, tenne indipendente dagli stranieri lo scettro. Mai non
piegò dalla dignità regia, e dal dritto alla monarchia e del
popolo suo; vinse la rivoluzione messa da fuori, durò con
l’Europa in pace. Non intervenne in piati altrui, salvo che nel
romano, chiamato dal pontefice re; non sofferse che altri, né pur
Francia e Inghilterra potentissime, entrassero in casa sua. I
suoi ventinov’anni di regno segnan l’era prosperosa della
patria. Lasciò successore Francesco primogenito, nato da
Cristina di Savoia; lasciò di Teresa d’Austria altri nove
figliuoli: Luigi, Alfonso, Gaetano, Pasquale, Gennaro, Maria
Annunziata, Maria Immacolata, Maria delle Grazie Pia, e
Maria Immacolata Luigia, tutti educati piuttosto alla
parsimonia della famiglia che nel fasto della reggia.
Non però sfuggì egli all’imperfezione dell’umana natura. Bene
conobbe gli uomini e le cose; ma queste curò molto, quelli poco,
condusse a bella altezza la prosperità pubblica, ma degli
intelletti diffidò. Qui dov’è comune l’ingegno e frequente la
sapienza, ei pochi uomini insigni volle trovare; sovente mise su
la mediocrità. Ciò ruscì danno al trono, perciocché i sapienti
lasciati indietro avversavanlo né capaci a difesa buona erano i
dappochi insediati, Era in Ferdinando solo tutta la gagliardia
del governo; mancato lui, mancò la mente; e mancò appunto in
quei momenti supremi che la Provvidenza manda alle nazioni
per correggerle con la sventura. Sono glorie di lui le buone
leggi, il rifatto esercito, la cresciuta flotta, i pingui erarii, gli
edifizi sacri, le pubbliche opere,, la tutelata pace, i buoni
costumi, la religione, la morale, suo fallo l’aver voluto essere il
migliore tra queli che pose alla potestà.
Nulladimeno i Napolitani lui ricorderan sempre con vanto, Sua
lode fu l’amore de’ buoni in vita, e dopo morte il pianto verace
sulla tomba, lodanlo le sètte stesse inmprecandolo, e co’
bugiardi nomi di fedifrago e bombardatore; lodanlo con l’odio
efferrato che più ch’a ogni altro monarca della terra gli avean
giurato; lodanlo i sopravvenuti malanni, le nefande vendette
rivoluzionarie, le calunnie stesse che furono costretti a
inventare per aver da infamarlo. Ed è sua lode l’aver cresciuto
a sensi di cavalier figliuoli; che giovinetti e nuovi, circuiti da
inetti o traditori, igannati e venduti, pur sentendosi prole di
cento re, sguainavano la spada a onor del nome napolitano e in
un secolo che vanta il vincere con vergogna, prescelsero il vanto
di perdere con onore.
Meomartno fermò qui la lettura ed il maestro si avvicinò a lui
mentre gli dava una gentile carezza sulla guancia e diceva:
– Bravo Meomartino, la tua lettura della morte di
Ferdinando II mi ha fatto veramente commuovere, e così
ho visto che lo è stato per tutta la tua classe. Hai dato il
senso del momento apicale del passaggio dalla vita alla
morte, e lo hai affrontato rompendo la tua voce in un
pianto sommesso. Tutti noi abbiamo iniziato a respirare
in sintonia con il tuo respiro ed hai quindi saputo
trasmettere il phatos del culminale momento. Vai a posto
e grazie di cuore!-
Il maestro si sedette comodamente sulla sedia della cattedra
mettendosi le mani al volto e così stette per qualche minuto. Noi
rimanemmo in silenzio. Dopo aggiunse:
– Carissimi ragazzi, nel corso dei nostri studi
incontreremo tanti racconti veritieri dell’età ferdinandea
e sono certo che ne resterete entusiasti. Solo vi dico che
il mondo ci sta remando contro e Ferdinando II lo sapeva
benissimo. Inghilterra e Francia non ci amano, Austria
non può più accoglierci, Germania non ci teme, Stati
Uniti ci detestano per massoneria scelta, Russia è troppo
lontana tranne che per la sua flotta, il Papa non può
aiutarci… il regno Sardo, dico io, sarà utile vassallo di
costoro?
La campanella suonò la fine della lezione ed uscimmo in gran
silenzio con Ferdinando II, il nostro re per sempre, nel cuore.
Foto tratta da ladigetto.it
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