La nostra rubrica dedicata alle pillole culturali: gli incipit tratti dai grandi romanzi, gli aforismi di scrittori e filosofi, i siciliani da non dimenticare, gli anniversari di fatti storici noti e meno noti, la Sicilia dei grandi viaggiatori, i proverbi della nostra tradizione e tanto altro ancora. Buona lettura
terza pagina
a cura di Dario Cangemi
Incipit
Un classico buongiorno. O, se preferite, un buon giorno ricordando un grande romanzo. Il modo migliore di iniziare una giornata: l’incipit di un grande libro. Se lo avete già letto sarà un bel ricordo. Se no, potrebbe invogliarvi alla lettura
“Ma che colpa abbiamo, io e voi, se le parole, per sé, sono vuote? Vuote, caro mio. E voi le riempite del senso vostro, nel dirmele; e io nell’accoglierle, inevitabilmente, le riempio del senso mio. Abbiamo creduto d’intenderci; non ci siamo intesi affatto’’.
Luigi Pirandello, “Uno, nessuno e centomila”
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Pensieri sparsi
L’aforisma, la sentenza, sosteneva Nietzsche, sono le forme dell’eternità. L’aforisma é paragonato dal filosofo tedesco alle figure in rilievo, che, essendo incomplete, richiedono all’osservatore di completare ‘’col pensiero ciò che si staglia davanti’’.
‘’Chiedi quale sia la strada per la libertà? Una qualsiasi vena del tuo corpo’’.
Seneca, “De ira” III, 15, 4
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Eventi e fatti storici
Palermo, 23 novembre 1891, il Re e la Regina al Teatro Politeama per un concerto benefico
La prima attrattiva della festa è data dallo spettacolo che offre il palcoscenico, al levarsi della tela, addobbato con gusto, a fiori e piante, ma più adorno e bello da un vaporoso e radioso insieme di più che cento distintissime signore e signorine, tutte vestite di bianco e disposte in giro, ad anfiteatro, nel fondo della scena. Dietro loro stanno i signori esecutori del coro, in abito nero. La signora Whitaker Scalia, l’anima del concerto per filantropica abnegazione e per valore artistico, cantò la “Casta Diva”, con quel sentimento e quella perizia che fanno della gentile dilettante una grande artista. Quindi la Whitaker e il Tamagno cantarono, da egregi, il duetto dal 2° atto del Guarany. Il merito «artistico e filantropico» dello «splendido» concerto (che fruttò tra le dieci e le dodicimila lire) viene attribuito dal cronista Euphorion alle signore del Comitato permanente per l’Ospizio Marino – si trattava infatti anche in questo caso di un concerto di beneficenza – al direttore, maestro Nicolao, ed in particolare a Tina Whitaker. Questo concerto fu il più importante tra quelli organizzati nell’ambito dell’Esposizione, che era ravvivata quotidianamente da manifestazioni musicali, per le quali si era costituita un’apposita commissione.
La regina Margherita – che in quei giorni visitò anche il Conservatorio, dove intavolò una ‘’conversazione gentile e da persona intendente di musica’’ con la celebre pianista Adelaide Albanese ed altri maestri – ‘’non perdette una nota, un vocalizzo; e fu sempre la prima a dare espansivamente il segnale degli applausi’’
Cinque anni dopo Tina avrebbe cantato, a villa Malfitano, di fronte ad un’altra sovrana, l’Imperatrice di Germania, giunta in Sicilia a seguito del marito con lo yacht Hobenzollern.
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Siciliani notevoli da ricordare
… il 23 novembre 1856 moriva a Mussomeli
Pietro Puntrello
contadino, poeta
La via Puntrello si trova nel quartiere di Sant’Enrico di Mussomeli e prende il nome da un contadino poeta che vi abitava: Pietro Puntrello, detto lo “Stuppinu” perché era piccolo di statura.
Fin da piccolo mostrò ingegno vivace e predisposizione per la poesia.
Egli può dirsi un autodidatta poiché gli bastarono le prime nozioni del leggere e dello scrivere per potersi formare una buona cultura.
Il Puntrello abitava in campagna e traeva piacere ed erudizione nella lettura di libri religiosi e di storie di poeti popolari.
Egli stesso compose un poema didascalico-religioso in ottave e in dialetto siciliano. “L’incredulu convertitu” ed oltre a questo, un poemetto di vario metro “Vita di lu galantomu scustumatu” e una “Poesia contra la mala fortuna”.
Il Puntrello morì a 51 anni il 23 novembre 1856.
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Viaggio e cultura: il rapporto degli scrittori con la Sicilia
‘’Cosa sarebbe diventato possibile se fossi rimasto a Palermo si può immaginare solo in un film del tutto diverso che si svolge in toni di tragicommedia sotto il cielo di Sicilia, portato avanti nel pensiero fino alla decrepita vecchiezza. E quanto era rimasto dei greci, saraceni, normanni e Staufen in quell’insulare luogo di rovine si sarebbe certo addensato in materia narrativa per un romanzo epicamente ramificato’’.
Il racconto di Gunter Grass e la Sicilia..
Il premio Nobel Günter Grass, nel 1951 si trova in Italia dove giunge in autostop fino in Sicilia.. La prospettiva di un tour in Italia, alla scoperta delle sue numerose bellezze artistiche e monumentali, gli pare la più adatta a contrastare il suo difficile momento esistenziale. ‘’Obbedendo all’ ancestrale impulso tedesco – scrive Grass – come in passato i teutoni, gli imperatori Staufen e i pii nazareni stanziatisi a Roma, ero attirato dall’Italia. La lontana meta del viaggio si chiamava Palermo dove già da ragazzo mi ero aggirato in stato sonnambulico, come scudiero o falconiere del secondo Federico, e infine, quando per gli Staufen le cose si erano messe male, avevo fatto parte del seguito di Corradino’’.
Appassionato d’arte, in quel periodo studente di scultura e grafica alle accademie di Dusserdolf e Berlino e già autore di eccellenti poesie, preso da una vaga ma persistente inquietudine e da un’insopprimibile ansia di conoscenza, Grass non esita, avendo deciso ‘’una partenza che assomigliò ad una fuga’’ e portandosi appresso ‘’più di trecento marchi’’, a intraprendere un viaggio che si prospetta da subito arduo.
‘’Sono arrivato lontano. Con furgoni a tre ruote, su carri tirati da asini, in Topolino, la popolare biposto di quegli anni. Sue giù per lo Stivale. Ancora più avanti, attraverso la Sicilia, dove tra Siracusa e Palermo mi circondò un paesaggio che era soltanto paesaggio. Nulla gettava più ombra là dove aspettai per ore automobili, carri, qualcosa che si muovesse su ruote, finché da un avvallamento tra montagne carsiche si staccò un gruppo di uomini armati che si avvicinavano sempre di più, e certo non potevano essere considerati una compagnia di cacciatori, quanto piuttosto emissari rurali della mafia, e infine si fermarono formando un cerchio attorno allo straniero col cappello di paglia osservandolo con curiosità. Svuotai lo zaino e allineai i miei averi bene in vista. Dopo che il loro capo, che indossava un lungo abito simile al saio di un monaco, mi ebbe interrogato sulla mia provenienzae sulla meta del viaggio, quando finalmente, era ora!, fu avvistata una Topolino in progressivo avvicinamento lungo la salita, bloccò la biposto con la carabina puntata. Il cui impaurito conducente, un medico di campagna, portò il passeggero impostogli fino a Caltanissetta, dove mi depositò sulla piazza del mercato’’.
A Palermo però, Grass piuttosto che far visita alla Santa patrona della città, si reca all’Accademia di Belle arti ed ottiene subito l’ ammissione ai corsi di scultura del professor Rossone. Nei giorni di permanenza e studio a Palermo, si innamora sin ‘’dal primo sguardo’’ di una delle allieve di Rossone, Aurora Varvaro. Così la descrive lo scrittore tedesco: ‘’Poteva avere diciassette anni, ed era così protetta dalla sua grazia che solo su discosti banchi di chiesa e unicamente con un numero di parole troppo limitato e lontano da qualsiasi grammatica potei accennarle tutto quello che vedevo in lei, fin dove arrivavano i miei desideri, quanti affanni segreti volevo scacciare con l’ aiuto della sua inconsapevole vicinanza e perché la sua protetta bellezza mi faceva soffrire. Naturalmente amavo anche il suono del suo nome’’.
La ragazza che, col consenso del professore Rossone, gli farà da modella in Accademia, ma sempre sotto il severo controllo di un fratello o della nonna, sembra abbia lasciato un segno incancellabile nel cuore di Grass, a giudicare dall’ intenso e poetico ricordo che il diario di Grass contiene di lei e della storia forzatamente interrotta del loro amore. Ma il premio Nobel, nel riportare alla luce i sentimenti e la passione viva di quei giorni lontani, evidenzia al contempo come, nella complicata trama del tempo, hanno saputo, loro due, mantenere un contatto, una relazione, certo lontana ma costante: ‘’Io me ne andai, lei rimase. Ma ancor oggi, dopo un distacco durato più di cinquant’anni che venne interrotto solo una volta, all’inizio dei Sessanta, e portò a qualcosa che vuole essere omesso, ci scambiamo segni di vita e non abbiamo dimenticato niente, né l’intimità nel buio delle chiese, né le parole sussurrate, né i momenti di fuggevole vicinanza’’. E non solo le tracce dell’esperienza sentimentale riportano la memoria di Grass sui passi perduti della sua sosta nell’Isola, ma tutti i giorni trascorsi in Sicilia Grass li rievoca con nostalgia chiedendosi, peraltro, cosa ne sarebbe stato di lui e del suo futuro di grande scrittore (non più di otto anni dopo, nel ‘ 59 con Il tamburo di latta avrebbe raggiunto un chiaro e internazionale successo) se si fosse fermato in Sicilia, magari ad Agrigento, raggiunta in autostop, o a Messina dove per guadagnare qualche lira aveva dipinto i cartelloni pubblicitari per il Butangas o a Palermo, dove s’era perdutamente innamorato di una ragazza che vedendolo partire dal capoluogo siciliano, di ritorno alla sua terra, gli aveva consegnato un pacchettino con dentro biscotti, fichi secchi e una mezza dozzina d’uova sode: ‘’Cosa sarebbe diventato possibile se fossi rimasto a Palermo si può immaginare solo in un film del tutto diverso che si svolge in toni di tragicommedia sotto il cielo di Sicilia, portato avanti nel pensiero fino alla decrepita vecchiezza. E quanto era rimasto dei greci, saraceni, normanni e Staufen in quell’insulare luogo di rovine si sarebbe certo addensato in materia narrativa per un romanzo epicamente ramificato’’.
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La scuola poetica siciliana
La scuola poetica siciliana è la prima forma di letteratura laica in Italia. Suo promotore fu l’Imperatore Federico II di Svevia. Questa scuola vide il suo apice tra il 1230 e il 1250. Nacque come una poesia di corte, infatti autori dei più noti sonetti sono lo stesso Federico II e membri della sua corte quali Pier delle Vigne, Re Enzo, figlio di Federico, Rinaldo d’Aquino, Jacopo da Lentini (funzionario della curia imperiale), Stefano protonotaro da Messina…La lingua usata era il siciliano o meglio il siculo-appulo.
‘’De le mia disïanza
c’ò penato ad avire,
mi fa sbaldire – poi ch’i’ n’ò ragione,
chè m’à data fermanza
com’io possa compire
[ lu meu placire ] – senza ogne cagione,
a la stagione – ch’io l’averò [‘n] possanza.
Senza fallanza – voglio la persone,
per cui cagione – faccio mo’ membranza…’’
De le mia disïanza Federico II
XIII secolo
Proverbi Siciliani
Il proverbio è la più antica forma di slogan, mirante non già ad incentivare l’uso di un prodotto commerciale, bensì a diffondere o a frenare un determinato habitus comportamentale, un particolare modo di valutare le cose, di interpretare la realtà.
Si voi a to maritu mortu, dacci cavuli ‘nt’Austu
(se vuoi vedere tuo marito morto cucinagli cavoli ad Agosto