Leggendo questa inchiesta scoprirete che quello che succede in Sicilia in questo settore è semplicemente incredibile. Leggi violate, diritti calpestati. Le furbate dei centri elioterapici. Trionfo incontrastato di potenti e prepotenti. A una politica fragile, oggi dedita a fare ‘cassa’ sulle imprese che operano nelle spiagge si associa una burocrazia rapace e ‘affamata’ che la fa da padrona
di Arcangelo Mazza
Il Demanio marittimo in Sicilia rappresenta uno dei migliori campioni dell’esercizio indicriminato ed elefentiade della burocrazia. Per ottenere una semplice concessione o autorizzazione anche di piccole varianti, o ampliamenti a concessioni esistenti, ebbene, passano anni. Il risultato è la paralisi dello sviluppo turistico balneare imperniato sulla alla sana imprenditoria, mentre trionfa la blindatura dei “forti”, sempre in pol position con celeri ed immediate definizioni di qualsiasi pratica inerente tale materia.
Sono stati necessari decenni affinché il legislatore siciliano – ricordiamo che la materia è di esclusiva competenza della Regione siciliana in forza del suo Statuto Autonomistico – comprendesse che l’imprenditoria balneare, come nel resto del Paese, diveniva risorsa economica, turistica ed occupazionale. Tutto questo in una Sicilia dove tutto è spesso mummificato nell’abbandono e nell’incuria di coste e spiagge.
Decenni passati per capire la necessaria distinzione in termini di valenza turistica dell’Isola, individuando nella basse valenze turistiche la necessità di intervenire per sviluppare servizi e riqualificazioni.
Decenni per capire una delle più grandi stupidità che hanno afflitto le imprese balneari in Sicilia, ovvero lo smontaggio a fine stagione delle strutture ed il loro rimontaggio ad apertura stagione estiva.
Decenni per capire che la stagione estiva non dura tre mesi, ma va da maggio ad ottobre.
In tutti questi anni la costante negativa e paralizzante del settore del buon uso delle aree demaniali è sempre stata la burocrazia e, in tale senso, il legislatore ha prodotto una serie di norme tese a velocizzare gli iter amministrativi.
Le diverse norme puntano sulla precisa tempistica da rispettare per le definizioni istruttorie, 30 giorni di tempo dalla presentazione delle istanze, 30 giorni di tempo per acquisire i pareri dei vari enti ed amministrazioni interessate (Comune, Genio Civile, Soprintendenza BB.CC.AA, Dogana, Capitaneria di Porto, Vigili del Fuoco, pubblicazione Albo Pretorio) termini oltre i quali tutti i pareri non resi in tempo devono intendersi acquisiti favorevolmente. Bene, questa norma non viene mai applicata!
Il legislatore semplifica con una norma il procedimento di rinnovo della concessione demaniale, intendendo, con il suo rinnovo, il rinnovo automatico di ogni parere già espresso dai vari enti ed amministrazioni. Bene, anche questa norma non viene mai applicata da nessun ente interessato, il quale pretende di dover rilasciare ogni anno nuovo parere!
Il legislatore ha pensato bene a definire un periodo ben preciso entro il quale il procedimento di rilascio di una concessione demaniale deve avvenire, 60 giorni. Bene, pure questa questa norma non viene mai applicata.
Il legislatore ha ben normato i procedimenti di sdemanializzazione, inquadrando ogni attività istruttoria nell’ambito di un preciso tempo di 90 giorni. Bene, anche in questo caso la norma non viene mai applicata!
Non applicando le norme tese a sburocratizzare l’iter amministrativo tutto si rallenta, tutto diventa ostacolo, impresa, richiesta di aiuto, fideilizzazione del potere, istigazione alla corruzione ma, soprattutto, negazione di diritti con l’aggravante che, chi non rispetta le leggi non paga: mai che venga individuato il responsabile della mancata applicazione di norme vigenti. Anzi, chi non rispetta le leggi fa carriera!
I ‘dinosauri’ del burocrazia regionale, sempre impegnati a fare circolari su circolari sempre più caotiche e spesso contradditorie o, a volte, al limite della prevaricazione su competenze legislative di puro diritto, riescono ancora oggi a mantenere assurdità come, ad esempio, la pulizia delle spiagge ad inizio stagione da parte dei concessionari.
Pensate che un concessionario di impresa balneare con uno stabilimento, ogni anno, all’inizio della stagione, per poter pulire l’arenile affidatogli in concessione, è costretto a presentare sempre la stessa planimetria, relazione tecnica dell’intervento, la descrizione dei mezzi utilizzati per la pulizia, fotografie dello stato dei luoghi, versamento di euro 50.00 per diritti vari, istanza in bollo e doppio bollo per la risposta.
Dopo mesi di vari solleciti, l’imprenditore viene autorizzato a pulire la spiaggia, forse prima della stagione, ma molto spesso durante o a fine stagione. In un Paese civile basterebbe la sola comunicazione.
Altra assurdità sono i centri elioterapeutici che consentono l’assenza di bagnini o la realizzazione degli stessi centri in spiagge non balneabili e quindi la facile voltura di stabilimenti balneari in centro elioterapia affrancandosi dalle spese di personale di salvataggio, vincoli sulla tenuta delle attrezzature di pronto intervento di salvataggio, natanti e strumenti di salvataggio.
La cosa più assurda sta nel fatto che si autorizzino centri elioterapeutici con l’installazione di ombrelloni o gazebi ombreggianti! Ma come, autorizzi un’impresa a svolgere il servizio di sfruttamento e cura del sole e poi crei ombra?
E non parliamo del DURC, Documento di regolarità contributiva, concepito per i grandi appalti di opere pubbliche ed esteso fino al piccolo artigiano e alla piccola impresa. Un documento che, applicato a realtà in sofferenza economica, di fatto, produce solo lavoro nero, evasione fiscale e abusivismo.
Sarebbe bello il DURF, Documento unico di regolarità fiscale e tasse, per ogni pubblico amministratore e operatore nella pubblica amministrazione!
Altra incongruenza rispetto alla vigile attenzione degli enti preposti al governo del patrimonio pubblico sono le spiagge bellissime ancora di proprietà privata. Un esempio per tutti: Scoglitti. Qui la spiaggia di Kamarina (famosa per il suo adiacente sito archeologico e per essere stato sito di sbarco alleato nell’ultima guerra mondiale) è interamente privata.
Tale situazione innesca diseguaglianze sul piano dei diritti e sul fronte del mercato balneare completamente squilibrato. Questo perché sulla proprietà privata basta un progetto e un’istanza al Comune e presto lo stabilimento balneare si realizza senza tutti i vincoli, assicurazioni, fideiussioni e norme previste per una struttura su area demaniale richiesta per tutte le altre spiagge esistenti.
Cassa e sempre cassa. I canoni demaniali, in Sicilia, sono fra i più alti del Paese e sempre con la minaccia di aumenti del 200% fino al 500% da parte dei vari personaggi nel tempo.
Ma la cosa assurda è mantenere norme per le quali più superficie hai e meno paghi. Vedi i casi dei grossi complessi balneari con migliaia di mq che si ritrovano a pagare canoni equivalenti al piccolo medio stabilimento con poche decine di ombrelloni!
Per le banche uno stabilimento balneare non costituisce nulla, “quattro pezzi di legno messi assieme su una spiaggetta”, questo mi disse un direttore di banca quando gli chiesi un aiuto per realizzare una struttura con un investimento di circa 300 mila euro e che oggi assicura oltre 40 posti di lavoro, servizi a migliaia di utenti, sicurezza balneare e promozione del territorio, oltre alla tutela e vigilanza della costa.
Per le assicurazioni, poi, un vero business: ma di questo non parla nessuno.
Cosa dire, poi, degli abusi tollerati dalla “burocrazia amica” forte con i deboli e debole con i forti? Si pensi ai vari club nautici, circoli velici o associazioni no profit che, in forza di della loro concessione, debordano con autorizzazioni anche temporali per installare ombrelloni e lettini per i propri iscritti, svolgendo attività imprenditoriali ben lontani dal regime vincolistico delle imprese balneari nonché fiscale e di riduzione dei canoni.
Sulla discrezionalità dei vari Enti ed amministrazioni ci sarebbe un’infinità di realtà raccapriccianti, tutte tese sempre a negare diritti o abusare impunemente.
Una su tutte, il ruolo delle Soprintendenza ai Beni culturali che, una volta accertata la piena fattibilità di un’opera precaria destinata a servizi alla balneazione, interviene spesso e “volentieri” a sindacare sul tipo di copertura se in tela, se in pvc, se in canna etc. o a stabilire il tipo di arredo, o legno o piante da introdurre sull’arenile, come nel caso di alcune palme di bellezza unica alte circa 10 metri.
Palme che devono essere tagliate perché non autoctone (si ricorda che il cactus proviene dal Messico, il fico d’india dal Sud America, il carrubo dalla Siria, le palme dall’Africa etc.) o “autorizzate” come se occupassero più superficie o volume. O a sindacare di materia urbanistica o igienico sanitaria.
Poi c’è il rigidismo di una verifica su ombrelloni oltre i limiti di qualche metro e subito denuncia penale, processo, condanna, pagamento sanzioni, e certificato penale compromesso. E non siamo su scherzi a parte!
Fare imprenditoria turistico balneare in Sicilia, isola per definizione vocata al mare, oggi costituisce una delle più grandi imprese che un imprenditore è costretto ad affrontare senza mai una certezza, salvo i ricorsi al TAR o le ingiunzioni giudiziarie.
Ed ecco il Paese a due velocità: Rimini e via continuando con cabine in cemento, passerelle in mattoni e chiusure di libero accesso, mentre in Sicilia solo legno e superfici e volumi predefiniti.
I piani spiaggia, da oltre 10 anni, non vengono redatti e solo oggi arrivano i commissari per la loro stesura ed attuazione.
Per non parlare della direttiva europea che vuole impedire il rinnovo automatico delle concessioni demaniali, norma in vigore da sempre secondo il codice della navigazione, per immettere le stesse all’asta, per fare più soldi.
Ma chi ha più soldi in Sicilia? Si sono accorti che la nostra Isola è sempre più povera?
A fronte di tale porcata ancora non si conosce che cosa deciderà la politica. Sappiamo che c’è un Governo nazionale che è impegnato a trovare una soluzione, mentre il Governo regionale va spedito per l’applicazione della direttiva europea sperando di fare ‘cassa’.
Ancora oggi il burocrate palermitano, dietro la sua scrivania, dispensa i sì e i no per una cabina da montare in spiaggia di un qualsiasi centro della nostra Isola, magari senza neppur conoscere la strada per arrivarci. Assurdità inaudita!
Questi signori governano economia e imprese e ne sono i determinanti fautori del loro destino, ma non sanno neppure dove si trovano!
Occorre un federalismo demaniale. Occorre che i territori, i Comuni che ben conoscono e convivono con la propria popolazione e imprenditoria possano stabilire il proprio futuro economico turistico e ambientale: futuro che non può essere demandato “all’uomo di Palermo”.
Occorre confronto, conoscenza del territorio, parlare, guidare, assistere il cittadino, l’imprenditore e non staccarlo, tenerlo lontano, seviziarlo e umiliarlo, costringendolo a chiedere e richiedere, pregare, cercando il forte per raccomandarsi o il debole per corromperlo.
Modernizzare, cambiare, avere fiducia , investire con ogni destinatario di una impresa ed un utilizzo di un pubblico bene: questa è la tanto attesa sfida in Sicilia. E, soprattutto, va detto, una volta e per tutte, che le leggi sono fatte per migliorare le condizione di un popolo non per affliggerlo. E chi attua la legge deve essere il primo a rispettarla, ad attuarle: e deve vigilare!
Il lavoro nasce e cresce con le imprese. Meno imprese meno lavoro, meno ricchezza meno progresso civile.
Foto tratta da bb-kamarinaland.it
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