Lo Stato, in Italia, deve cominciare a guardarsi allo specchio. Per provare a capire cos’è che non ha funzionato e che continua a non funzionare. Vanno cambiate le leggi per sostenere imprese e imprenditori, per rilanciare artigianato e commercio. Per incentivare il lavoro e non per tassarlo. Per premiare il lavoro e per svilupparlo
di Arcangelo Mazza
La generazione precedente ha goduto della ricostruzione, di una speranza di ripartire essendo protagonisti di una nuova Italia.
Il Sud diede i figli migliori tra braccia più forti e menti più grandi.
Hanno costruito il proprio futuro vivendo la propria vita in un Paese che doveva regolamentarsi, doveva costruire una democrazia in una nuova Repubblica .
Il fare dei nostri padri fu un fare difficile ma libero e spesso spregiudicato: ma fu un fare.
Negli anni, fra poteri che costruivano le loro caste autoreferenziali, politica degli accordi con i grandi investitori e istituzioni ancora inconsapevoli dei loro ruoli reali e del loro reale potere, si facevano strada le grandi fortune, le fortune che oggi sopravvivono garantendo ai discendenti rendite infinite.
I figli della nuova Repubblica incardinata si cominciano a confrontare già dagli anni ’70 e da allora infinite le problematiche, ma a anche le conquiste.
Oggi sembra tutto dimenticato e sopratutto il vivere odierno è diventato un macigno.
Il proliferare di leggi di scambio ha prodotto un effetto lacerante nel Paese, dividendolo sempre di più ed allargando sempre più quella terribile forbice inossidabile fra Sud e Nord.
Tutto oggi sembra impossibile, difficile, tutto è una conquista. Siamo giunti al paradosso che l’impegno massimo delle migliori energie sta nel difendere e mantenere ciò che si ha e ciò che si è.
Non riusciamo più ad andare oltre, tutto il sistema lo impedisce, lo ostacola e, addirittura, lo intercetta preventivamente cambiando anche le regole del gioco pur di impedire ogni nuova cosa.
Ieri, il successo del fare e dell’essere un libero professionista, lavoratore artigiano, commerciante. Oggi la speranza sta nel posto fisso, un posto fisso che nel passato era facile dispensa di potere ed oggi conquista impossibile.
Il sistema economico, sociale e produttivo sta erodendo le migliori energie imprenditoriali, le attività chiudono sempre di più ogni giorno.
Domani il lavoro chi lo darà? Senza impresa non c’è più lavoro. A chi chiedere il lavoro domani?
Saremo i nuovi profughi del futuro, saremo costretti sempre più ad andare sempre più lontano.
Lasceremo un Paese di vecchi, autoreferenziale, un Paese che ricorda le baronie e i titoli cavallereschi .
Un Paese museo dove, anche in questo caso, lo stesso patrimonio artistico, se non venduto, sarà preda del suo stesso disfacimento nel tempo.
Cambiare leggi e sostenere imprese e imprenditori, rilanciare artigianato, commercio, incentivare il lavoro e non tassarlo, premiare il lavoro, svilupparlo.
Credere nell’impresa, aiutarla, aprire le porte, anche quelle più chiuse e recondite.
Creare una burocrazia amica, patner, sostenitrice di imprese e sviluppo, non soffocare più entusiasmi e progetti, sogni e speranze.
Lasciate alle nuove generazioni campi da arare, seminare, frutti da raccogliere .
Basta con questo distacco fra pubblico servizio e cittadino, fra enti e cittadini, fra sostenitori pubblici e operatori privati.
Occorre riportare il pubblico servizio al significato letterale del termine, non pubblico servizio di gestione di un potere in uso e abuso, ma un servizio pubblico. Un servizio reale.
Un nuovo Paese può partire solo dal capovolgimento della situazione attuale.
Pensate che lo Stato abilita ad esercitare professioni e le stesse mortificate dalle norme; e burocrazia che non riconoscono il ruolo di fiducia di professionisti con lo Stato e tutto si controlla, e tutto si rimanda, e tutto di boccia, e tutto va in malora.
Occorre un nuovo Patto fra Stato e professioni, fra Stato e organizzazioni di categoria, fra Stato e istituzioni!
Lo Stato deve guardarsi allo specchio!
Foto tratta da investireoggi.it