In questa terza puntata di questo particolare ‘viaggio’ nel Mezzogiorno d’Italia raccontato dagli occhi di un bambino compaiono due simboli delle tradizione napoletana: il cimitero delle 366 fosse di Poggioreale e la grande tradizione dell’artigianato dei presepi natalizi
di Domenico Iannantuoni
Ieri abbiamo partecipato il funerale del padre di Iarossi e
sinceramente devo dire che non è stato bello vedere il figlio
Angelo solo e piangente a fianco della bara nella chiesa dedicata
a San Francesco d’Assisi (vicina alla nostra scuola), tant’è che il
parroco invitò un gruppo di suoi amici di scuola a fargli
compagnia ed egli fu tristemente contento di questo fatto. Io
stesso gli andai vicino e stetti sempre con lui.
La chiesa era gremita e pareva ci fosse veramente tutta la scuola,
tra allievi ed insegnanti. Il mio maestro era sul lato destro del
sagrato vicino al direttore, in prima rappresentanza, poi maestre,
maestri e bidelli completavano la presenza. C’erano anche alcuni
esponenti della Ditta ove (Michele) Iarossi lavorava, le Officine
di Pietrarsa, con tanto di gonfalone aziendale e vestiti con le loro
tute da operai. Tra questi una persona distinta che doveva essere
un rappresentante della direzione d’azienda. Come si seppe
dopo, Iarossi era un operaio qualificato addetto ai collaudi delle
macchine a vapore, un lavoro delicatissimo e per il quale l’uso
della strumentazione di precisione era d’obbligo quotidiano.
Si giunse rapidamente alla fine della funzione ed alla
benedizione del parroco; entrarono i becchini che portarono il
feretro alla carrozza e da qui si avviarono celermente, al piccolo
trotto, verso il cimitero delle 366 fosse (il primo cimitero italiano per poveri (il “Cimitero delle 366 fosse”, nei pressi di Poggioreale a Napoli e su disegno di Ferdinando Fuga).
.
Un cimitero molto importante del 1762 e voluto da Ferdinando
IV di Borbone per le classi meno agiate. L’architetto progettista
fu Ferdinando Fuga… così ebbe a spiegarci il nostro maestro.
Si ritornò tutti a scuola dopo la funzione, tutti tranne Angelo
Iarossi che si era recato al Cimitero. Ma Angelo non lo vedemmo più in classe, la sera stessa fu ospitato all’accademia
militare della Nunziatella per iniziare una nuova vita.
I miei compagni sono tanti e li conosco quasi tutti.
Jannace, figlio di un famoso fabbro napoletano che giunge a
scuola sempre con le mani nere di fuliggine che lui dice,
scusandosi, non venir più via nonostante lunghi lavaggi serali e
mattutini.
Marro, figlio di un avvocato, vestito in modo sempre pulito ed
ordinato che quando parla inizia sempre con un “scusatemi se
intervengo!”.
Stranges, un calabrese il cui padre fa il marinaio militare,
risoluto e taciturno.
De Crescenzo, figlio di un nobile caduto in disgrazia economica,
allegro e spensierato in ogni momento della giornata.
Maraglino, uno spasso di ragazzo. Durante l’intervallo
ascoltiamo sempre le sue barzellette che ci fanno scompisciare
dal ridere.
E poi il più bravo della classe, uno di quelli che si era
avvinghiato ad un primo banco il primo giorno di scuola, tal
Meomartino. Non molto simpatico e schivo.
Abbiamo anche un ripetente, Ciceri Gaetano, di origini
lombarde e trasferitosi a Napoli per necessità di lavoro. Egli è
grande e grosso per la sua età, simpatico e leale; in molti
facciamo a gara per stare con lui durante i momenti di riposo e
lui gioiosamente ci insegna qualche parola di milanese; l’ultima
che ho imparato è “urlucc” che significa allocco o qualcosa di
simile. E’ un buon ragazzo e lo vedi da come sa accogliere tutti
senza distinzione, ma a livello di preparazione scolastica lo
hanno fermato un anno perché in matematica aveva seri
problemi.
Gli altri compagni ve li presenterò con calma nelle prossime
giornate.
La mia terza A è proprio una bella classe.
A parte il triste evento di Iarossi, il quale subito ci ha scritto il
giorno dopo il suo ingresso alla Nunziatella recapitando a mano
la sua missiva al nostro maestro e nella quale diceva di trovarsi
bene nel collegio militare; ogni mattina siamo tutti contenti di
ritrovarci insieme.
E’ come se ognuno di noi avesse dei ruoli preordinati da chissà
chi, ma ruoli tra loro complementari che danno molta armonia.
Ad oggi per esempio non c’è mai stato alcun litigio e perfino
Meomartino, il primo della classe, almeno a tratti, sembra aver
compreso questo clima.
Il merito di tutto questo io so a chi va attribuito; al nostro
maestro Riggio.
Certo, siamo abbastanza vivaci e quando capita che il maestro
tardi un paio di minuti perché impegnato in segreteria, un po’ di
baccano lo facciamo. Ad esempio giocando a figurine (copertura
a lancio di immaginette sacre) io sono un maestro e sfido i miei
compagni quando vediamo che abbiamo qualche minuto di
libertà. Ma appena entra il maestro Riggio tutto si ferma in un
baleno come ieri:
– Bene bene bene – disse il maestro sfregandosi le mani
ed osservando il piccolo capanello di bambini intenti a
raccogliere celermente le immaginette da terra. –
– Voi non immaginate che voglia avrei di mettermi a
giocare con voi!- Disse guardandomi sorridendo.
– Fuori le immaginette!- Mi ordinò perentoriamente.
Prese le figurine (definirle immaginette ormai non aveva più
senso), le mischiò e me ne diede la metà.
– Forza tocca a te, io sono ospite!-
Io titubante spostai l’ultimo banco al centro e realizzai lo spazio
necessario quindi tirai la prima figurina. Il maestro tirò la seconda
che andò a coprire la mia, subito e prontamente si sollevò
un “ohhhh” di meraviglia dai compagni intorno. Tirai
ancora ed il maestro con mira incredibile coprì anche
quel tiro! Poi si fermò e ci disse:
– Bel gioco, vero? Anch’io quando avevo la vostra età vi
giocavo.- Bravo Francesco, qualche giorno ci
cimenteremo in una vera e propria gara, vai pure al tuo
posto.-
Mise a posto il banco e si recò alla cattedra prendendovi posto,
si sedette inclinando la sedia per osservarci meglio. Poi chiuse
gli occhi e prolungò le braccia in avanti e piano piano sollevò
gli arti inferiori sempre in avanti e… miracolosamente
vedemmo che stava in equilibrio solo sulle due gambe posteriori
della sedia!
Tutta la scolaresca iniziò a battere le mani e qualcuno anche
fischiò di gioia. Non avevamo mai visto una cosa simile; quelli
che stavano davanti si alzarono ed andarono ad osservare da
vicino quella “composizione” che ti lasciava con il fiato
sospeso. Se fosse caduto all’indietro si sarebbe fatto malissimo.
Poi il maestro aprì gli occhi e con un guizzo si fece ricadere in
avanti e ci guardò allargandosi in un sapiente sorriso…
– Cari ragazzi, oggi vi parlerò di fisica e principalmente
delle condizioni di equilibrio, in questo momento avete
osservato la condizione dell’equilibrio “precario”.
Il maestro era veramente in gamba e nonostante le condizioni di
equilibrio non facessero parte del programma di terza lui volle
assolutamente parlarcene.
Quella mattina imparammo benissimo l’equilibrio quando è
stabile, quando indifferente e poi precario!
Ogni tanto qualcuno di noi tentava la posizione precaria con la
propria sedia e proprio Maraglino, la nostra macchietta di classe,
esagerando nel tentativo carambolò all’indietro con un
frastuono assordante, tra l’ilarità di tutti noi e le sconquassate
risate di chi aveva osservato la scena.
Il maestro corse subito da lui per accertarsi che non si fosse fatto
male e lo aiutò a rialzarsi.
Fu una delle lezioni più belle che io ricordi.
Ogni mattina notavamo che il nostro compagno Loffredo,
simpatico ma taciturno, giungeva a scuola ai limiti del tempo
utile e qualche volta trovava la porta già chiusa con il maestro
impegnato nell’appello e quindi veniva accompagnato dal
bidello dell’atrio.
Lui si scusava in questo caso adducendo motivazioni diverse ma
sempre credibili.
Qualcuno notò anche che non veniva mai accompagnato a
scuola da nessun genitore o parente, questo accadde con il padre
solo in occasione dell’iscrizione.
Un giorno di questi il maestro si soffermò su questo fatto e lo
chiamò per avere ulteriori spiegazioni, ma Loffredo addusse le
solite scuse quali intoppi lungo la strada, che si era svegliato
all’ultimo momento e così via.
Il maestro gli chiese anche dove abitasse e sminuendo il tutto,
lo invitò a sedersi e a stare attento alla lezione.
Il pomeriggio stesso il maestro si recò a casa di Loffredo che era
praticamente nel rione Sanità, ma già in prossimità del quartiere
della nostra scuola, egli chiese del bambino.
– Chi, Antonio, Antonio Loffredo?
– Sì intendo lui.
– Quello è un santo ragazzo che tiene la madre ammalata
e che dicono stia anche peggiorando e che ora sta sempre
a letto. Il padre è un impiegato dello Stato e lavora come
addetto alle pulizie negli uffici del Ministero di non so
che…non mi ricordo.-
– Ah grazie, sì intendo proprio lui, buon uomo.- Rispose il
maestro e soggiunse:
– Deve sapere che io sono il maestro di Antonio e non
riesco a capire perché viene a scuola sempre con un po’
di ritardo, sempre giustificato nei limiti però; ed è questa
la ragione per cui le ho domandato.-
– Questo non lo so,- rispose la persona- quello che so è che
è un ragazzo che si alza di buon’ora…verso le cinque del
mattino e va a lavorare. Se poi vada anche a scuola non
saprei dirle -.
– Grazie delle sue informazioni, signore, grazie di cuore!-
Rispose il maestro allontanandosi.
Il mattino seguente il maestro, prima delle cinque, si appostò nei
pressi dell’abitazione di Loffredo fingendo di leggere il giornale
mentre albeggiava, per non farsi riconoscere, e dopo poco vide
uscire il ragazzo con tanto di cartella in mano. Questi si intrufolò
rapidamente in una viuzza ed il maestro prontamente prese a
seguirlo sempre coprendosi il volto e stando attentissimo a non
essere individuato.
Fece parecchia strada Loffredo finché non giunse in Via San
Gregorio Armeno, la famosa via dove sono concentrati
tantissimi artigiani dei presepi natalizi, vanto napoletano in tutto
il mondo, e quindi si fermò davanti ad un piccolo laboratorio
che pareva ancora chiuso. Spinse la maniglia in ferro, aprì la
porticina e scomparve all’interno.
Il maestro proseguì dritto per poi fermarsi ritornando sui suoi
passi dal lato opposto e si avvicinò ad una finestrella che dava
proprio sul laboratorio ove era entrato Antonio.
Una luce fioca rischiarava l’ambiente e così ebbe modo di
vedere in quella luce giallognola e fluttuante alcuni operai seduti
ed altri in piedi, tutti indaffarati nella loro opera di costruzione
delle statuette natalizie.
Vide nettamente anche Loffredo che, rimboccate le maniche,
lavorava alacremente per quello che poteva essere il suo ruolo
di assistente di laboratorio. Fino alle 6:30 lo vide preparare i
colori, portare l’acqua al tornitore, assistere il decoratore che
urlava sempre la necessità di pennelli più appropriati
rivolgendosi ad Antonio.
Insomma era proprio un bel da fare per il giovinetto che non
poteva mai stare fermo in un posto.
Il maestro, calcolò il tempo a sua disposizione e decise di andare
a mangiare una sfogliatella e bere qualcosa di caldo, presso un
caffè che distava poche decine di metri dal laboratorio.
Dopo una mezzora abbondante, verso un quarto alle otto si
appostò sull’uscio del caffè scrutando la porta del laboratorio e
cercando di capire il momento in cui sarebbe uscito Antonio.
Poco dopo ecco uscire il ragazzo con la cartella in mano e lui, il
maestro, lo raggiunse in men che meno e facendo finta di nulla
lo superò fingendo sempre di leggere il giornale che teneva
stretto tra le mani.
Poi argutamente, dopo una quindicina di metri, simulò la caduta
a terra del giornale ed imprecando bonariamente si chinò per
recuperarlo voltandosi verso il ragazzo che stava
sopraggiungendo. La sorpresa del ragazzo non mancò.
– Loffredo, cosa ci fai tu qui?-
– Buongiorno Sig, Maestro, sto andando a scuola. Che
piacere incontrarla!-
– Il piacere è più che altro mio, caro Loffredo così
facciamo la strada insieme, però teniamo un passo lesto
sennò arriveremo in ritardo… ma scusami Loffredo,
soggiunse il Maestro.
– Tu ieri non mi avevi detto che abitavi da tutt’altra parte,
verso il Rione Sanità?- Aggiunse il maestro guardando
bene in viso il ragazzo che subito arrossì.
– Veramente sono venuto a fare un servizio per i miei
genitori questa mattina.- Egli rispose prontamente.
– Capisco….- Disse il maestro che nel frattempo aveva
preso la mano del suo allievo.
– Dunque ti sei alzato prima stamattina? Aggiunse.
– Niente di particolare Sig. Maestro, solo una mezzoretta
prima, giusto per recarmi qui a fare il servizio.- Concluse
il ragazzo, certo di averla fatta franca.
La testa del maestro rimuginava continuamente perché non
capiva il significato di quella bugia per quanto innocente potesse
essere. Poi prese la decisione e si fermò di colpo girandosi verso
il ragazzo.
– Senti Loffredo, devo dirti la verità, non posso mentirti.
Io ti ho seguito da stamattina presto, da prima delle
cinque e proprio da casa tua. Ho visto tutto e so quello
che hai fatto anche dentro quel laboratorio!-
Loffredo abbassò lo sguardo rimanendo zitto, poi iniziò a
piangere sommessamente e quindi abbracciò il suo maestro che
prontamente lo accolse con affetto baciandolo sulla fronte.
– Forza Loffredo, camminiamo più in fretta sennò a scuola
arriveremo in ritardo come solitamente arrivi tu e gli
strizzò l’occhio nel senso dell’intesa.-
Loffredo raccontò al maestro durante il tragitto che quel lavoro
mattutino di circa tre ore era importantissimo per il
sostentamento della sua famiglia e che sua madre, ormai da
tempo allettata, aveva bisogno di cure. Anche suo padre
lavorava sodo fin dalle quattro del mattino e così riuscivano a
mantenersi.
Arrivati a scuola il maestro si fermò e disse:
– Caro Loffredo, sei una persona meravigliosa, quello che
tu stai facendo oggi per tua madre ti onora. Soprattutto
poi ti onora il fatto che tu volessi tenerlo segreto per
evitare piaggerie di sorta. Sei onesto e dignitoso. Ne
parlerò con il direttore di questo tuo impegno di lavoro
mattutino, affinché possa chiudere un occhio sui tuoi
ritardi di ingresso.-
Quel giorno il nostro maestro e Loffredo entrarono a scuola
insieme, con qualche minuto di ritardo e prima dell’appello
volle presentarci un nuovo Loffredo, un compagno mirabile. Il
nostro lavoratore studente.
Nei giorni appresso io andai a trovarlo nel pomeriggio presso il
laboratorio presepiale, dove Loffredo faceva ancora un paio
d’ore di lavoro e ne rimasi molto orgoglioso.
Foto tratta da viaggiandonelmondo.it
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