Ieri sera è stato lanciato un “allarme”: l’Autonomia siciliana (che, detto per inciso, i politici siciliani, dal 1947 ad oggi – con le dovute eccezioni – hanno applicato solo in parte) sarebbe in pericolo. Un disegno di legge costituzionale, in discussione al Senato, potrebbe ‘vulnerarla’. Poi, però, si scopre che il disegno di legge costituzionale parte dal Trentino, che in materia di Autonomia e di applicazione della stessa Autonomia dà lezione a tutti. Qualcun in Sicilia fa un po’ di confusione?
L’allarme è stato lanciato ieri sera. Ci ha pensato con il seguente comunicato la parlamentare regionale Marianna Caronia:
“Oggi siamo riusciti a bloccare momentaneamente l’iter di un disegno di legge nazionale che potrebbe colpire al cuore l’Autonomia della Sicilia e dei siciliani. L’Ars era infatti chiamata a dare il proprio parere su una proposta di modifica dello Statuto che, di fatto, diminuirebbe in modo drastico la possibilità che l’Assemblea regionale possa avere un ruolo attivo nei rapporti fra Stato e Regione. Dietro ad una operazione di facciata, che parla di ‘intesa’ fra Parlamento nazionale e Assemblea regionale, si cela infatti un tentativo di ‘blindare’ le modifiche che saranno decise a Roma e sulle quali la Sicilia non avrà di fatto possibilità di intervenire per difendere gli interessi della Sicilia. Adesso dovremo tenere gli occhi aperti perché in un momento di grande confusione istituzionale norme come questa possono trasformarsi nel grimaldello per scardinare i diritti dei siciliani”.
Così parla Marianna Caronia, commentando la discussione di ieri all’Assemblea regionale siciliana, chiamata a dare parere sul disegno di legge costituzionale n. 29 depositato al Senato, che prevede che le future modifiche degli Statuti delle cinque Regioni autonome italiane eventualmente proposte dal Parlamento nazionale possano essere respinte dalle assemblee delle rispettive Regioni autonome solo con un voto a maggioranza dei due terzi.
Ma come stanno, in realtà, le cose? La nostra sensazione è che del Parlamento della nostra Isola sia tra i parlamentari, sia tra gli alti burocrati di Palazzo Reale – che forse non dialogano a sufficienza tra loro – ci sia un po’ di confusione.
Cominciamo col dire che il disegno di legge costituzionale in questione – provvedimento che tanto spaventa l’onorevole Caronia e altri parlamentari dell’Ars (e anche altre eminenti figure della politica siciliana, a giudicare dal dibattito che si è scatenato sulla rete ieri sera) – è stato presentato da un paio di senatori del Trentino.
Ora, va detto che, di solito, i politici trentini sono tutt’altro che ascari (gli ascari, semmai, sono sempre stati al Sud, e segnatamente in Sicilia, sin dai tempi di Giolitti). Se i politici trentini presentano un disegno di legge costituzionale, ebbene, di solito lo fanno per difendere l’Autonomia del Trentino, che da quelle parti è sacra, o per aumentarne i poteri, non certo per disfarsene.
Questa semplice riflessione dovrebbe tranquillizzare chi ieri sera ha temuto assalti alla baionetta contro l’Autonomia siciliana.
Insomma, al contrario di quanto è stato ipotizzato ieri sera non escludiamo che venga fuori uno scenario del tutto opposto: e cioè che il Parlamento siciliano, una volta fatte le opportune verifiche, farebbe bene ad esprimere parere positivo sul disegno di legge costituzionale presentato dai senatori trentini.
L’inghippo, con molta probabilità, sta in due leggi costituzionali approvate tra il 1999 e il 2001. Noi non siamo molto bravi a ricordare i numeri delle leggi: ma potrebbero essere la legge costituzionale n. 1 del 1999 e la legge costituzionale n. 2 del 2001 (o qualcosa del genere).
I ricordi sono un po’ confusi, perché sono passati quasi vent’anni. Ma una cosa la ricordiamo bene: e cioè il timore che il Parlamento siciliano dell’epoca avesse combinato un mezzo papocchio, avallando una riduzione – in questo caso sì – delle prerogative previste dall’impianto originario dell’Autonomia siciliana.
La politica siciliana di quegli anni – se non ricordiamo male presidente del Parlamento dell’Isola era Nicola Cristaldi – rassicurò che l’Autonomia siciliana non era stata lesa. Noi, in verità, nutrivamo qualche dubbio, che nasceva leggendo il papocchio della nuova legge elettorale.
Ci riferiamo alla legge elettorale che ha introdotto in Sicilia l’elezione diretta del presidente della Regione. Che – era questo il nostro timore – funziona in presenza di due candidati, mentre comincia a creare problemi al crescere del numero dei candidati alla presidenza della Regione, non assicurando più, matematicamente, la maggioranza al presidente eletto.
Lo si è visto alle elezioni del 2012, quando il presidente della Regione eletto, Rosario Crocetta, non aveva la maggioranza in Aula, assicurata solo dal successivo ‘suk’ di deputati andato in scena a Sala d’Ercole…
Scena che si sta ripetendo con l’attuale Governo di Nello Musumeci, che in Aula non sembra avere una maggioranza solida: anzi.
La nostra riflessione di allora era la seguente: se questi hanno combinato un papocchio con la legge elettorale, che cosa avranno combinato con le prerogative legate all’Autonomia e, segnatamente, sul potere dello Stato di stravolgere lo Statuto autonomistico siciliano?
Allora garantirono che eventuali proposte di modifica elaborate dal Roma avrebbero dovuto raccogliere il parere positivo e vincolante del Parlamento siciliano.
Ma le cose stanno veramente così?
Se i senatori Trentini hanno presentato un disegno di legge costituzionale dove l’attuale “parere” viene trasformato in “intesa” – che diventa, in questo caso sì, vincolante – è evidente che stanno cercando di sanare il papocchio materializzatosi tra il 1999 e il 2001. Eliminando la possibilità che lo Stato centrale – attraverso il voto del Parlamento nazionale – stravolga gli Statuti delle cinque Regioni autonome a proprio uso e consumo, a prescindere dalla volontà dei rappresentanti delle stesse cinque Regioni autonome.
In parole più semplici, il parere richiesto oggi da Roma alle assemblee delle Regioni autonome per poter cambiare gli Statuti potrebbe non essere vincolante per il Parlamento nazionale, grazie alle ‘geniali’ leggi costituzionali del 1999 e del 2001.
Se le cose stanno così, beh, forse il presidente dell’Ars, Gianfranco Miccichè, e gli altri 69 deputati, grazie ai senatori trentini, hanno l’occasione di fare qualcosa di utile per l’Autonomia siciliana. Infatti, con il disegno di legge in discussione al Senato, per bloccare un eventuale stravolgimento dello Statuto siciliano basterà il “No” della maggioranza qualificata del Parlamento siciliano (i due terzi dell’Assemblea regionale siciliana).
Mentre oggi, di fatto – questo il messaggio lanciato dai senatori trentini con il disegno di legge costituzionale n. 29 – il Parlamento nazionale può fare ciò che vuole, perché il “parere” delle assemblee delle cinque Regioni autonome italiane potrebbe non essere vincolante…
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