Questi signori – nani sulle spalle dei Giganti – dovrebbero occuparsi della mediocrità nella quale sguazzano. La verità è che il crollo del Ponte Morandi è l’emblema di questa Italia decadente. Un Paese diventato inconcludente, mediocre, fatto di chiacchiere e distintivi, di sceriffi con le pistole ad acqua, d’incompetenze diffuse e osannate, di assenza di visone e strategie
di Alfio Di Costa
Mi ero riproposto di non scrivere sul Ponte Morandi di Genova, ma vedete, io mi sono laureato in ingegneria civile edile strutture e la mia è una professione dove tutti ne sanno un po’. Io ho una moglie oculista ed una sorella ginecologa e nessuno andrebbe dall’oculista per una visita ginecologica e viceversa. Mentre nella mia professione siamo tutti ingegneri, nessuno specifica il percorso di studi o l’attività. Esprimono le loro autorevoli opinioni sia gente comune, sia muratori, geometri, architetti ed anche ingegneri elettrici o elettronici. Questa crisi delle competenze è assurda.
Io non volevo scrivere in quanto, oltre ad essere uno strutturista, ho fatto la mia tesi sui ponti e sulle conseguenze che il passaggio dei carichi creavano ed iniziai ad usare i primi computer evoluti presso la facoltà di Fisica. In questa fase ho avuto il piacere di conoscere l’ingegnere Riccardo Morandi per una sua lezione ed ho provato tanta ammirazione ed orgoglio per aver conosciuto ed ascoltato uno degli ingegneri italiani più bravi e conosciuti al mondo.
Poi in una prima fase della mia carriera sono stato strutturista presso uno studio che seguiva una Società di manufatti in prefabbricato semplice e precompresso, e lì, fra l’altro, ho calcolato ponti, viadotti, e grandi opere: alcune calcolazioni si eseguivano ancora manualmente ed altre con l’ausilio del pc.
Questa piccola premessa era necessaria per introdurre il mio pensiero. Io credo che il crollo del #PonteMorandi di #Genova porterà con se l’onore e l’onere di essere stato simbolo prima del progresso e dello sviluppo e poi della decadenza dell’Italia.
La caduta di un ponte porta con sé sempre qualcosa di simbolico. Oggi tutti sanno che quell’opera d’ingegno fu progettata dall’ingegner Riccardo Morandi (tra le eccellenze di spicco dell’ingegneria italiana del Novecento insieme a Pierluigi Nervi) agli inizi degli anni Sessanta e costruita tra il 1963 e il 1967. Inaugurata sotto una pioggia battente il 3 settembre del 1967 dall’allora Presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, fu oggetto di pubblicazioni in tutto il mondo e studiata negli anni come sintesi del perfetto equilibrio statico, portatrice anche di un segno architettonico e paesaggistico di qualità urbana.
Acclamata come opera avveniristica e simbolo del Made in Italy in tutto il mondo, in linea con una tradizione italiana di eccellenze nel campo delle costruzioni, negli anni ha dato segnali di fragilità a cui non siamo stati sufficientemente attenti. Fino ad arrivare al 14 agosto scorso, quando, sotto la stessa pioggia battente in cui fu inaugurato, il ponte crolla su se stesso. Il Re è nudo, l’Italia perde un simbolo del progresso e della scienza, l’Italia sta crollando.
Mi sono documentato sull’evento, ho letto diversi giornali e diversi articoli, seguito diverse servizi televisivi, mi son fatto un’idea, ma un’idea resta pur sempre un’idea, non può mai assurgere a una tesi, per cui mi sottraggo volutamente al coro dei “secondo me…”, “l’avevo detto…” etc. Le cause saranno accertate scientificamente da periti all’uopo incaricati e le responsabilità penali saranno individuate dalla Procura della Repubblica di Genova, il tutto nei tempi che il caso richiede.
Tuttavia non possiamo esimerci dal cogliere il messaggio e il significato di questa tragedia tutta italica. La Procura della Repubblica, per fortuna, non accerterà le cause morali di questo crollo, cause che sono da ricercarsi nell’incuria e nella sciatteria di un’Italia incapace di tutelare i propri simboli e il proprio passato, incapace di avere una visione e di fare delle scelte coraggiose a tutela del proprio territorio, del proprio passato e del proprio futuro.
Il Ponte Morandi non doveva crollare, non l’avremmo mai dovuto consentire, proprio perché simbolo della migliore Italia, quella della rinascita post guerra che guardava al futuro con una visione e una competenza che tutto il mondo c’invidiava. Non siamo stati all’altezza di quell’Italia.
Oggi leggiamo di professori che dopo cinquant’anni criticano il Ponte Morandi per aspetti tecnologici discutibili. Sono dei nani sulle spalle dei Giganti, non hanno nulla del genio, della visione e del coraggio dell’ingegner Morandi. Saranno ricordati (se lo saranno) come professorini con la penna rossa, null’altro. Il loro atteggiamento è tipico di quest’Italia mediocre che non sa andare oltre la critica e la delegittimazione del lavoro altrui, soprattutto di coloro che sono dotati di genio e competenze al di sopra della norma.
Queste menti avrebbero dovuto prendersi cura di quest’opera che col tempo ha iniziato a presentare non poche fragilità, avrebbero dovuto suggerire degli interventi migliorativi a tutela del Ponte, ma si sono limitati, vantandosene, a evidenziarne le criticità, ahimè.
Sin dagli anni Ottanta ci si è resi conto che la soluzione del Ponte Morandi, per il collegamento della città di Genova tra i suoi estremi est ed ovest e del porto col resto d’Italia, non poteva rispondere alle crescenti esigenze del futuro, sia per la crescente intensità e incidenza del traffico, rispetto alle previsioni degli anni Sessanta, e sia per una maggiore conoscenza delle criticità del cemento armato precompresso, sconosciute all’epoca in cui fu progettato.
S’inizia a parlare di una soluzione alternativa che alleggerisse il carico sul Ponte Morandi, una variante interna alla città di Genova denominata “la Gronda”. Un’opera che richiederebbe circa 5 miliardi di euro e sette anni di lavori. Ma ancora una volta ci siamo dimostrati non all’altezza di quell’Italia degli anni Sessanta, forse imperfetta, ma certamente determinata a rispondere alle esigenze di benessere e sviluppo della propria nazione.
Abbiamo perso trent’anni in dibattiti sterili tra “pro Gronda” e “no Gronda”, fino al recente inserimento dell’opera nel Piano Infrastrutture del Governo con anno d’attivazione 2019. Un Paese che perde trent’anni per decidere se realizzare un’opera la cui esecuzione ne richiede cinque, ebbene, è un Paese destinato a restare indietro, a soccombere di fronte al decisionismo e alla competenza di Paesi che analizzano, decidono e agiscono.
Oggi Genova piomba 60 anni indietro, la città che ospita il più grande porto d’Italia non ha più le braccia per abbracciare il resto d’Italia, né la più imminente Europa. Le ripercussioni economiche, sociali e di vivibilità saranno tragiche.
Ma, come dicevo all’inizio di questa riflessione, il crollo di un ponte, che per natura collega due parti prima lontane, porta con sé sempre qualcosa di simbolico e il crollo del Ponte Morandi si pone in maniera evidente come l’emblema di questa Italia decadente. Simbolo, emblema e monito di un Italia inconcludente, mediocre, fatta di chiacchiere e distintivo, di sceriffi con le pistole ad acqua, d’incompetenze diffuse e osannate, di assenza di visone e strategie.
Ogni giorno in Italia a causa di questi mali abbiamo sintomi di decadenza diffusa in tutto il Paese, abbiamo spiagge che si erodono, strade che crollano, autobus che bruciano, posti di lavoro che si perdono, insegnanti dileggiati dagli alunni, presenze turistiche che crollano, crisi di settori una volta trainanti, una decadenza inarrestabile e in ogni campo.
E così mi vengono in mente le parole di John Donne quando scriveva “non chiedere mai per chi suona la campana, la campana suona sempre e anche per te”. Quando sabato 18 agosto abbiamo sentito le tristi campane di Genova, quelle campane hanno suonato a monito di noi tutti, dell’intera nazione, e sempre ci ricorderanno che, insieme con il Ponte Morandi e con le vittime innocenti di quel crollo, in questi ultimi decenni abbiamo perso la creatività, la competenza, il coraggio, l’orgoglio, la conoscenza, la visione e la determinazione dei nostri padri.
Abbiamo tutti una Genova da rigenerare, abbiamo tutti un Ponte Morandi da ricostruire. Torniamo a guardare all’esempio dei nostri padri, all’esempio della migliore Italia, quella geniale, visionaria e coraggiosa, che da anni abbiamo trascurato e perso un po’ di vista.
Foto tratta da ilgazzettino.it
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