Lasciò presto la Sicilia: l’isola diviene l’emblema di una felicità perduta cui si contrappone l’asprezza della condizione presente, dell’esilio in cui il poeta è costretto a vivere
Oggi 20 agosto, ricorre l’anniversario della nascita di Salvatore Quasimodo.
Negli anni della gioventù fondò insieme a Salvatore Pugliatti, il futuro rettore dell’Università di Messina, e a Giorgio La Pira, il futuro sindaco di Firenze il «Nuovo Giornale Letterario», mensile sul quale pubblicò le sue prime poesie.
Nel 1919 si trasferì a Roma dove pensava di terminare gli studi di ingegneria ma, subentrate ristrettezze economiche, dovette abbandonarli per impiegarsi in più umili attività: disegnatore tecnico presso un’impresa edile, e in seguito impiegato presso un grande magazzino. Nel frattempo collaborò ad alcuni periodici e iniziò lo studio del greco e del latino.
Le ristrettezze economiche di questo periodo romano terminarono nel 1926, quando venne assunto in un ministero. Nello stesso anno sposò Bice Donetti, una donna di otto anni più grande, con la quale aveva precedentemente convissuto e a cui dedicherà una poesia dopo la sua morte.
« Con gli occhi alla pioggia e agli elfi della notte, è là, nel campo quindici a Musocco, la donna emiliana da me amata
nel tempo triste della giovinezza. … »
Quasimodo dunque poté dedicarsi più assiduamente all’opera letteraria. Fu invitato a Firenze dallo scrittore Elio Vittorini, che lo introdusse nei locali ambienti letterari permettendogli di conoscere tra gli altri, Eugenio Montale.
A Genova conobbe Camillo Sbarbaro, l’”estroso fanciullo” cantato da Montale e le personalità di spicco che gravitavano intorno alla rivista Circoli, con la quale il poeta iniziò una proficua collaborazione pubblicando, per le edizioni della stessa, la sua seconda raccolta Oboe sommerso. Nel 1938 lasciò il lavoro ministeriale per dedicarsi alla letteratura.
Nel 1941 venne nominato professore di Italiano presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano.
Nel 1945 si iscrisse al PCI e l’anno seguente pubblicò la nuova raccolta dal titolo Con il piede straniero sopra il cuore, testimonianza dell’impegno morale e sociale dell’autore che continuerà, in modo sempre più profondo, nelle successive raccolte che si pongono, con il loro tono epico, come esempio di limpida poesia civile.
Durante questi anni il poeta continuò a dedicarsi con passione all’opera di traduttore sia di autori classici che moderni, e svolse una continua attività giornalistica.
Nel 1953 condivise il Premio Etna – Taormina con il poeta gallese Dylan Thomas.
Nel 1959 gli fu assegnato il premio Nobel per la letteratura, «per la sua poetica lirica, che con ardente classicità esprime le tragiche esperienze della vita dei nostri tempi».
« Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo. »
Ci piace ricordare delle sue raccolte la prima, incentrata sul tema della sua terra natale, la Sicilia, che Quasimodo lasciò già nel 1919: l’isola diviene l’emblema di una felicità perduta cui si contrappone l’asprezza della condizione presente, dell’esilio in cui il poeta è costretto a vivere (così in una delle liriche più celebri del libro, Vento a Tindari).
Dalla rievocazione del tempo passato emerge spesso un’angoscia esistenziale che, nella forzata lontananza, si fa sentire in tutta la sua pen