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Non solo Renzi/ Ecco a voi la ‘sinistra autostradale’ che va dagli anni ’90 al Governo Prodi 2007

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Riprendendo due inchieste de Il Fatto Quotidiano scopriamo un mondo nascosto imperniato sul rapporto tra il centrosinistra, le autostrade e i privati voluti proprio dallo stesso centrosinistra nella seconda metà degli anni ’90 del secolo passato. Con in testa il gruppo Benetton, passato dai vestiti all’asfalto. Storia di un contratto ‘blindato’ ai tempi del Ministro Antonio Di Pietro…  

C’era una volta la “sinistra ferroviaria” di Claudio Signorile. Erano gli anni ’80 del secolo passato e l’esponente socialista veniva un po’ preso in giro per via della gestione delle Ferrovie. Oggi scopriamo che c’è anche una “sinistra autostradale”, targata centrosinistra con tanti, ma tanti zeri…

Isomma, pensavamo che la degenerazione della sinistra italiana, o presunta tale, avesse toccato l’apogeo con il Governo Renzi e con il ‘Parlamento di nominati’ al suo servizio, tra abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, Jobs Act, Buona scuola e via continuando. Il crollo del Ponte Morandi a Genova, invece, ci sta facendo scoprire cose inimmaginabili. E, soprattutto, precedenti al Governo Renzi.

Vediamo di raccontare cosa hanno combinato questi signori del centrosinistra con le autostrade del nostro Paese a partire dalla seconda metà degli anni ’90 del secolo passato.

Cominciamo col dire che quando, due giorni fa, rispondendo sulla rete ad alcuni lettori a proposito di un nostro articolo, abbiamo scritto che questa incredibile storia della privatizzazione delle autostrade italiane è iniziata nella seconda metà degli anni ’90, molti nostri lettori sono caduti dalle nuvole.

Così siamo riusciti a rintracciare una puntata di Report del 2004, che illustra che cosa è successo alla fine degli anni ’90 (PUNTATA DI REPORT CHE POTETE VEDERE O RIVEDERE QUI).

Oggi vi proponiamo una ricostruzione de Il Fatto Quotidiano, a proposito del come il centrosinistra italiano, al Governo nel 2007, ha ‘sistemato’ le cose. L’articolo è firmato da Daniele Martini. Già il sommario dice tutto:

“Conti alla mano, basandosi sull’articolo 9 della Convenzione siglata nel 2007, togliere la gestione alla società dei Benetton costerebbe 20 miliardi. Che verrebbero recuperati ai caselli, in caso di “nazionalizzazione”, in meno di un decennio. Il cuore delle concessioni è però negli accordi con i singoli concessionari: sono quelli che ne regolano gli aspetti economici e che in Italia sono mantenuti segreti”.

Nel 2007 c’era il Governo Prodi, il Ministro che si occupava di tale questione era Antonio Di Pietro.

Dopo di che inizia l’articolo:

“Lo Stato dovrà sborsare circa 20 miliardi di euro per togliere ad Autostrade per l’Italia di Atlantia del gruppo Benetton la concessione per la gestione di metà della rete autostradale nazionale, 3mila chilometri su 6mila totali. A quel punto la stessa concessione potrà essere messa a gara e affidata a chi offrirà le condizioni migliori sia dal punto di vista economico, sia gestionale. Non è escluso che lo Stato intenda riprendersi la concessione ripristinando la situazione precedente alla cosiddetta privatizzazione delle autostrade voluta dai governi di centrosinistra alla fine del secolo passato. Nel caso in cui lo Stato tornasse a gestire in prima persona i 3mila chilometri ora in mano ai Benetton recupererebbe ai caselli nel giro di meno di una decina d’anni i 20 miliardi che ora deve impegnare”.

Il centrosinistra ha voluto la privatizzazione delle autostrade alla fine degli ’90 del secolo passato; e il centrosinistra, nel 2007, ha risistemato la faccenda…

“I 20 miliardi in questione – prosegue l’approfondimento de Il Fatto Quotidiano – sono il risultato di un calcolo effettuato tenendo conto dei contenuti della convenzione unica che finora aveva legato il concedente Stato al concessionario Benetton. Tale atto risale al 2007 e fu voluto dall’allora ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro, e successivamente ratificato da una legge. Allegati alla convenzione unica ci sono poi una serie di atti aggiuntivi e di allegati, relativi alle singole concessioni, tenuti gelosamente segreti e in larga parte ancora sconosciuti. Questi documenti regolano nel dettaglio e dal punto di vista concreto i contenuti economici della convenzione con una serie di calcoli e di formule di difficile decrittazione perfino per gli addetti ai lavori. In pratica gli allegati segreti sono il cuore della concessione, ma sono un segreto di Stato“.

Così scopriamo che il protagonista di Tangentopoli – il magistrato poi entrato in politica per cambiare l’Italia – è il protagonista di questo marchingegno. E che è con lui che il Governo italiano dell’epoca ha posto il segreto di Stato sugli allegati segreti della concessione ai Benetton!

Proseguiamo nella lettura:

“L’articolo 9 della Convenzione del 2007 prevede che ‘l’indennizzo dovuto dal concedente al concessionario è pari a un importo corrispondete al valore attuale netto dei ricavi della gestione (…) sino alla scadenza della concessione’. Conti alla mano, basandosi su questo testo, lo Stato deve riconoscere ai Benetton 21 miliardi di incassi futuri previsti da cui deve però detrarre i debiti finanziari contratti dai Benetton con le banche e i risparmiatori che ammontano a circa 10 miliardi di euro e che lo Stato si accollerebbe. A quel punto resterebbero circa 11 miliardi di euro da consegnare ai Benetton. In base alla convenzione lo Stato potrebbe però applicare una penale a suo favore del 10 per cento sugli 11 miliardi. Il risultato finale è quindi questo: lo Stato dovrà sborsare 10 miliardi direttamente ai Benetton e altri 10 per effetto dell’accollo dei loro debiti“.

“La procedura prevista dall’articolo 9 della convenzione per la revoca della concessione – leggiamo sempre ne Il Fatto Quotidiano – è abbastanza macchinosa e diversa da quella seguita finora dal governo Conte che al momento appare soprattutto come una mossa di natura politica. Il primo passaggio è la notifica da parte dello Stato concedente al concessionario dell’intenzione di revoca sulla base di argomentazioni specifiche e motivate. Il concessionario ha 90 giorni di tempo per presentare le sue controdeduzioni. Se tra le parti permangono motivi gravi di dissenso e non vengono superati nei 60 giorni seguenti, i ministri dell’Economia e dei Trasporti preparano di concerto un decreto di revoca che viene registrato dalla Corte dei Conti”.

“La convenzione prevede anche altre misure sanzionatorie che non hanno niente a che vedere con la decadenza – prosegue l’inchiesta del Il Fatto Quotidiano – . Si tratta dei 150 milioni di euro di penale di cui ha parlato il vice presidente del Consiglio, Luigi Di Maio. La convenzione stabilisce infatti che il concedente Stato possa in casi gravi e motivati applicare una sanzione non superiore al 10 per cento del fatturato della società del concessionario e non superiore in cifra assoluta ai 150 milioni. In teoria lo Stato avrebbe tutti gli strumenti e il potere per verificare l’operato sia dei Benetton sia degli altri concessionari. In passato questa funzione di vigilanza e controllo era in capo all’Anas, ma da una decina d’anni il compito è stato assegnato al ministero dei Trasporti dove è stata istituita una direzione apposita per la Vigilanza autostradale. Per un quindicennio la guida di quel delicatissimo incarico è rimasta in mano allo stesso alto funzionario, Mauro Coletta, dal 2001 al 2006 in qualità di dirigente Anas e successivamente e fino a un anno fa come dirigente del ministero”.

“A Coletta è subentrato nell’agosto del 2017 Vincenzo Cinelli che fino ad ora non risulta abbia preso provvedimenti di un qualche rilievo nei confronti dei concessionari. L’articolo 3 della convenzione precisa in dettaglio quali sono gli obblighi del concessionario Benetton. Tra questi il principale consiste nella preparazione e nell’invio al ministero dei programmi di manutenzione previsti sulla rete. Il ministero avrebbe il compito di valutarli indicando le eventuali integrazioni e modifiche. E’ stato fatto? I dirigenti di Autostrade per l’Italia sostengono di aver concordato con il ministero i programmi di intervento lasciando intendere che tutto ciò che è stato fatto o non fatto sia sul ponte Morandi di Genova sia altrove ha avuto il via libera ministeriale. E quindi dal loro punto di vista appare inconcepibile che lo stesso ministero e il governo ora intendano revocare la concessione. In generale, secondo quando risulta al ilfattoquotidiano.it negli uffici ministeriali della Vigilanza autostradale giacciono numerosi progetti e programmi di intervento presentati dai concessionari e mai approvati”.

E’ lecito chiedere alla m’sinistra’ il perché di un contratto ‘blindato’ in favore del gruppo Benetton? Che cosa c’è dietro?

Molto interessante anche un articolo – sempre de Il Fatto Quotidiano – di due anni fa. Porta la firma di Giorgio Meletti. Il titolo – che dice tutto – è di un’incredibile attualità:

Benetton, nelle carte segretate l’autostrada dalle uova d’oro“.

In pratica, già due anni fa Il Fatto Quotidiano aveva scritto tutto!

Passiamo alla lettura dell’articolo. L’attacco è fulminante:

“Grazie alla distrazione (o alla complicità) delle autorità dello Stato la famiglia Benetton ha fatto di Autostrade per l’Italia una delle più efficienti fabbriche di denaro dell’Occidente industrializzato. Sono le meraviglie delle privatizzazioni all’italiana. Nel 2000 lo Stato ha ceduto la concessionaria per circa 7 miliardi di euro. Oggi vale più del doppio, grazie alla licenza di spolpare gli automobilisti al casello concessa ai privati, senza che gli utenti abbiano visto grandi benefici in termini di efficienza del servizio”.

I privati hanno ‘spolpato’ gli automobilisti. Ma il servizio autostrade non brilla certo per efficienza. E quanto non brilli lo si è visto proprio a Genova…

“Grazie alla nuova Convenzione firmata nel 2007 – leggiamo sempre nell’articolo – la concessionaria guidata da Giovanni Castellucci ha ottenuto risultati strepitosi. Dal 2008 al 2015 ha incassato ai caselli pedaggi per complessivi 27,3 miliardi di euro, realizzando 6,3 miliardi di utile netto e distribuendo agli azionisti 4,7 miliardi di dividendi. Oggi la holding quotata Atlantia, che controlla Autostrade, vale in Borsa circa 18 miliardi, e negli scorsi otto anni ha oscillato mediamente attorno ai 15 miliardi. Con un calcolo approssimativo si può stimare che gli azionisti di Atlantia abbiano incassato ogni anno un dividendo pari al 4 per cento del valore di mercato dell’azione, roba da leccarsi i baffi”.

E’ incredibile pensare che questo articolo è stato scritto due anni fa e non è successo nulla!

Poi arrivano i segreti di Stato:

“La ricetta miracolosa è custodita nella Convenzione e soprattutto nell’allegato ‘piano Finanziario’, un documento da sempre custodito gelosamente dai Benetton e dal governo italiano come il più delicato segreto di Stato. C’è voluta l’inchiesta della Procura di Avellino sulla strage del 28 luglio 2013 – quando 40 persone sono morte su un bus turistico precipitato dal viadotto Acqualonga sulla A16, dopo aver sfondato un guardrail privo di manutenzione da 25 anni – per scoprire i segreti del piano finanziario, che vedete sintetizzati nella tabella a fianco“.

Così scopriamo che nei ‘segreti di Stato’ sulla privatizzazione delle autostrade italiane, voluti dal centrosinistra, un po’ di luce è stata fatta non dalla politica (per esempio: dov’era il centrodestra di Berlusconi quando veniva apposto il segreto di Stato su tale storia’), ma dalla magistratura.

Proseguiamo.

“Partiamo dall’inizio. Il 12 ottobre 2007, Castellucci firma la nuova convenzione con il presidente dell’Anas Pietro Ciucci. Anche se affida la gestione di un bene pubblico, è formalmente è un contratto tra privati: l’Anas, grazie alla provvidenziale trasformazione in Spa, è una società di diritto privato. E come tale, anche se è un’offesa al senso comune, rivendica la privacy sui suoi affari. Il ministro dei Lavori pubblici sotto la cui attenta regia si sigla il nuovo contratto è Antonio Di Pietro, che oggi ha saltato la barricata ed è stato nominato presidente della Pedemontana Lombarda, un’altra concessionaria autostradale, nata con la sua benedizione quando era ministro. L’Anas è l’autorità concedente. I 2.850 chilometri di rete autostradale sono di proprietà dello Stato, e vengono dati in concessione alla società Autostrade, che si impegna a gestirli e a curarne la manutenzione in cambio dell’esazione dei pedaggi”.

“Il ‘piano finanziario’ allegato – prosegue l’articolo de Il Fatto Quotidiano – fissa tutte le previsioni di traffico, di costi e di guadagni fino al 2038, anno di scadenza della concessione. La convenzione stabilisce all’articolo 13 un principio: se il traffico sarà superiore al previsto la concessionaria devolverà fino al 75 per cento dei relativi introiti a un fondo a disposizione dello Stato per nuove opere autostradali. Di Pietro e Ciucci si sono dimenticati di inserire in convenzione il caso più infausto, quello in cui il traffico fosse inferiore al previsto. Che è esattamente ciò che è accaduto e non ha impedito che Autostrade per l’Italia facesse un sacco di soldi sulla pelle degli automobilisti e, soprattutto, dell’autotrasporto, cioè dell’industria italiana”.

Non dobbiamo dimenticare che l’articolo è del 2016, quando a palazzo Chigi c’era Matteo Renzi.

“Dal 2007 a oggi – prosegue l’articolo – si sono succeduti cinque governi (Prodi, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi) e altrettanti ministri delle Infrastrutture: dopo Di Pietro è arrivato Altero Matteoli, e poi Corrado Passera, Maurizio Lupi e l’attuale Graziano Delrio. È lecito chiedersi se in quasi nove anni qualcuno di loro abbia mai trovato mezz’ora di tempo per controllare i conti di Autostrade per l’Italia e delle altre concessionarie autostradali che hanno più o meno le stesse pessime abitudini. Sarebbe gravissimo scoprire che hanno fatto finta di non vedere o non capire. Per carità di patria facciamo conto che abbia prevalso la pigrizia. Se i vari ministri si fossero dunque presi la briga di compulsare i complessi contratti segretati avrebbero capito facilmente perché sono sempre stati così gelosamente coperti”.

A questo punto l’articolo fa riferimento a una tabella che noi non siamo riusciti a trovare. Per lo le cose si capiscono lo stesso:

“Il traffico sulla rete di Autostrade nel 2015 – leggiamo sempre nell’articolo – è stato inferiore del 7 per cento a quello del 2008, eppure i pedaggi incassati sono stati superiori del 22 per cento. Merito dei continui aumenti di tariffa, che ogni anno Castellucci è stato bravo da ottenere dal distratto ministero. Dai 6,4 centesimi medi per chilometri del 2008 siamo arrivati agli 8,3 del 2015, con una progressione del 30 per cento… Sono le stime contenute nel piano finanziario del 2007. Dicono che negli otto anni 2008-2015 sulla rete di Autostrade si prevedeva che venissero percorsi in tutto 433 miliardi di chilometri previo pagamento di pedaggi per totali 22,8 miliardi di euro. E che Autostrade avrebbe vissuto veramente bene incassando una tariffa media negli otto anni di 5,2 centesimi al chilometro. Insomma, la convenzione benedetta da Di Pietro si è dimenticata di prevedere il caso in cui non il traffico, ma i ricavi da pedaggio risultassero nettamente superiori alle previsioni: esattamente, in otto anni, Autostrade ha incassato 4,5 miliardi più del previsto“.

“Per quale ragione al mondo invece la tariffa media incassata dalla concessionaria dei Benetton, anziché fermarsi a 5,2 centesimi medi è volata fino alla media in otto anni di 7,3 centesimi, del 40 per cento superiore a quella prevista dal contratto segretato? Perché, ci hanno raccontato per anni i quantomeno distratti ministri, quella stangata al casello per pendolari e camionisti serviva a finanziare la costruzione di nuove autostrade e la riqualificazione di quelle esistenti, acciocché Castellucci e i suoi ingegneri disponessero delle risorse per rendere i nastri d’asfalto più confortevoli e soprattutto più sicuri”.

A questo punto si parla del processo di Avellino.

“I periti della Procura di Avellino hanno accertato che il guard rail di cemento del viadotto Acqualonga è stato sparato nel vuoto dall’urto dell’autobus perché non era più fissato alla strada dagli appositi cavi d’acciaio detti ‘tirafond’. Erano corrosi, e quindi per i periti era come se non ci fossero, ‘da almeno un decennio’. Verosimilmente non erano mai stati neppure ispezionati dal giorno in cui furono montati, nel 1989. Il dubbio che Autostrade per l’Italia abbia risparmiato sulla manutenzione è legittimo, e comunque – visto che né i ministri succedutisi, né lo storico capo della Vigilanza sulle autostrade, Mauro Coletta, sembrano essersi mai posti il problema – toccherà adesso alla magistratura rispondere agli interrogativi.
Sicuramente una prima sentenza la fornisce il confronto tra piano finanziario segretato e bilanci di Autostrade. Se non ci fossero stati gli aumenti tariffari, tra 2008 e 2015 la concessionaria, visto il pesante calo del traffico, non avrebbe potuto distribuire dividendi ai suoi azionisti. Invece sono arrivati provvidenziali i ritocchini anno per anno e così, pur avendo meno traffico, Autostrade ha potuto produrre utili netti per 6,4 miliardi contro i 3,5 miliardi previsti dal piano finanziario. È un conto semplice semplice: spremendo gli automobilisti il monte pedaggi è stato gonfiato di 4,5 miliardi rispetto al piano finanziario segretato e, magia, Autostrade e Atlantia hanno distribuito 4,7 miliardi di dividendi. Ecco dove sono finiti i soldi, altro che manutenzione”.

Che ve ne sembra, cari lettori, di questa sinistra? Ci soffermavamo su Renzi, ma la sinistra di fine anni ’90 e quella del 2007, come si direbbe dalle nostre parti, mancu babbia…

Foto tratta da ildesk.it

QUI IL PRIMO ARTICOLO DE IL FATTO QUOTIDIANO

QUI IL SECONDO ARTICOLO DE IL FATTO QUOTIDIANO

DA LEGGERE ANCHE QUESTA BELLA RICOSTRUZIONE DI LIBRE

 

 

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