Se in Sicilia ci fossero stati Governi regionali seri e attenti ai problemi dell’agricoltura Paolo Barilla non avrebbe mai rilasciato certe dichiarazioni (CHE POTETE LEGGERE QUI). Invece è successo e continua a succedere di tutto. Oggi assistiamo alla desertificazione della granicoltura e, in generale dell’agricoltura siciliana. Sono scomparse tante aziende. E sui prezzi…
“Fari trasiri ‘u sceccu pa cuda” Una delle cose più semplici a chi ci sfrutta e ci calpesta, approfittando della nostra cecità, delle nostre inadeguatezze e delle nostre divisioni. Se noi siciliani fossimo quello che crediamo di essere, mai e poi mai Paolo Barilla si sarebbe permesso di fare quelle dichiarazioni che il nostro blog ha riportato e che sono state subissate di commenti ironici e a volte “insultativi”.
Cerchiamo di evitare che, come al solito, con gli sfoghi finisca tutto, approfittiamo della circostanza per fare il punto della situazione e cercare di identificare un percorso che ci faccia uscire da questa condizione di sfruttamento.
La Sicilia, proprio perché una volta era “il granaio d’Italia” e dava tanto fastidio, è stata oggetto di una scientifica opera di demolizione dalla sua produzione di grano duro. Nell’Isola, infatti, la superficie a frumento duro ha attraversato nell’ultimo ventennio una fase di progressiva flessione. Queste flessioni sono state causate da una politica comunitaria assolutamente criminale che ha portato alla contrazione fino al 40% della superficie coltivata.
Primo danno. Un pugno di imbecilli/criminali al governo della Regione ha assecondato, o forse è il caso di dire favorito colpevolmente, questo processo di desertificazione e, piuttosto che valutarne e farne comprendere le conseguenze nel lungo periodo, cosa che a loro non interessa, hanno consentito a tanti produttori di svendere i propri terreni.
Il secondo grave danno è stato dovuto alla chiusura di tante, troppe aziende di trasformazione del comparto, cui la Regione avrebbe dovuto fare molta attenzione. Molte chiusure sono immediatamente collegabili alla vampirizzazione da parte delle più forti aziende del Nord, che, prima hanno acquistato le aziende siciliane, e poi le hanno chiuse. Il tutto sotto lo sguardo compiaciuto della politica regionale cui qualcosa sarà pure venuta…
Il terzo danno è costituito dalla commercializzazione. Problema comune con le altre produzioni siciliane come ortaggi e frutta. Qui le distorsioni, tutte al limite, e non solo, della legalità, e alle quali potrebbe rimediarsi con una efficace azione repressiva e con una politica di controllo la fanno da padrone.
Si comincia con il “permesso per raccogliere” (questo vale di più per gli agrumi: non sempre è vero che non si raccoglie perché non c’è guadagno; il guadagno, anche se poco, c’è se sempre) e poi si passa sotto le forche caudine dei centri di stoccaggio, che possono essere considerati l’anello di congiunzione tra la fase agricola e la fase industriale. Spesso sono strutture a gestione privata o associata.
In una regione demafiizzata la struttura dovrebbe essere pubblica. Ma, rebus sic stantibus, è la stessa cosa. Queste strutture troppe volte determinano (impongono?) addirittura il prezzo del grano per le aziende di produzione e, una volta comprato il grano dagli agricoltori, e quindi ammassato, comincia un gioco al rialzo. Il grano viene tenuto dentro i silos, aspettando, guardando i prezzi degli altri mercati, insomma, una vera e propria speculazione a danno non solo dell’agricoltore, il quale ha venduto certamente ad un prezzo molto basso, ma anche dell’azienda e poi per finire del consumatore.
E il peggio deve venire…
Fine prima puntata/ continua…
Crisi del grano/ Che fine hanno fatto i 175 pastifici siciliani?
Barilla dice basta alla pasta con il grano duro canadese al glifosato
Foto tratta da newsfood.com
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