Agricoltura

Paolo Barilla: Pasta senza glifosato? Il costo, da 20 centesimi, passerebbe a 2 euro a piatto

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E’ vero. Ma la questione va ribaltata con la seguente domanda: che cosa contiene la pasta che costa 20 centesimi di euro a piatto? Ci vogliono fare credere che i contaminanti – glifosato, ma non solo – non fanno male alla nostra salute? Il ruolo del mercato di Chicago e della UE: E l’assenza del Governo nazionale e delle Regioni    

E’ di qualche giorno fa la prima, clamorosa condanna per la Monsanto, la multinazionale che ha riempito il mondo di glifosato, un erbicida molto utilizzato in agricoltura (e, purtroppo, anche dalle pubbliche amministrazioni che, per diserbare le strade, risparmiano sulla manodopera utilizzando il glifosato!).

Come i nostri lettori sanno, questo blog conduce da tempo una difficilissima battaglia contro il grano duro estero piano di glifosato che arriva in Italia. Ci siamo pure ‘beccati’ due denunce e siano finiti in Tribunale a Roma. E’ andata bene, ma questo dà la misura delle difficoltà che si incontrano quando, con le inchieste, si toccano certi temi (e, soprattutto, certi interessi).

Oggi torniamo sulla vicenda glofosato-grano duro partendo da una dichiarazione di Paolo Barilla, presidente dell’Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane e vicepresidente dell’omonimo gruppo:

“Per l’industria tutto dipende da che tipo di prodotto produrre e a quali costi, perché se noi dovessimo fare un prototipo di pasta perfetta, in una zona del mondo non contaminata, senza bisogno di chimica, probabilmente quel piatto di pasta invece di 20 centesimi costerebbe due euro. Una pasta a ‘glifosato zero’ – aggiunge il vicepresidente dell’omonimo gruppo – è possibile, ma solo alzando i costi di produzione. Si sta dando molta enfasi a qualcosa che non è un rischio – spiega Paolo Barilla – noi rispettiamo le norme, la nostra filosofia d’impresa ci impone anche un ulteriore principio della cautela che realizziamo attraverso i nostri controlli. Detto questo, per arrivare ai limiti previsti dalla legge bisognerebbe mangiare duecento piatti di pasta al giorno”. (QUI TROVATE L’INTERVISTA A PAOLO BARILLA PER ESTESO).

Non entriamo nel merito dell’azione del glifosato sulla nostra salute, tema che abbiamo affrontato più volte e che, proprio qualche giorno fa, è stato ricordato da Cosimo Gioia in una lettera al Ministro delle Politiche agricole, Gian Marco Centinaio: lettera nella quale Gioi arriva a conclusioni molto diverse da quelle espresse da Paolo Barilla (QUI LA LETTERA DI COSIMO).

Noi, oggi, vogliamo ribaltare il ragionamento di Paolo Barilla.

Il numero uno del gruppo Barilla afferma:

“… se noi dovessimo fare un prototipo di pasta perfetta, in una zona del mondo non contaminata, senza bisogno di chimica, probabilmente quel piatto di pasta invece di 20 centesimi costerebbe due euro”.

Bene. Ribaltiamo il ragionamento con una domanda: che cosa contiene il piatto di pasta che costa 20 centesimi di euro? 

Il problema è tutto lì. Gli industriali della pasta sostengono che il grano duro prodotto in Italia non basta alle stesse industrie. Ma allora come mai buona parte del grano duro del Mezzogiorno d’Italia dello scorso anno e buona parte della produzione di quest’anno è invenduto?

Le industrie della pasta dovrebbero acquistare il grano duro prodotto in Italia e, poi, se non dovesse bastare,il grano duro estero.

Perché, invece, le industrie della pasta acquistano prima il grano duro estero, contribuendo a far precipitare il prezzo del grano duro del Sud del nostro Paese a 18 euro circa al quintale, ben al di sotto del costo di produzione dello stesso grano duro del Mezzogiorno d’Italia, che oscilla tra 23 e 24 euro al quintale?

La verità è che, a monte di questa storia, c’è una speculazione internazionale che parte da Chicago, il più importante mercato dei cereali del mondo. Da Chicago si arriva a Bruxelles, con le politiche dell’Unione Europea che puntano a scoraggiare la produzione di grano duro, con il ricorso al Set-Aside (COME POTETE LEGGERE QUI).

Il terza battuta c’è il Governo nazionale, che fino ad oggi non solo non ha sostenuto la cerealicoltura del Sud Italia, ma ha delegato all’industria le scelte in materia agricola!

In quarta battuta ci sono le Regioni. I Presidenti delle due Regioni del Sud Italia più importanti per la produzione di grano duro – Michele Emiliano per la Puglia e Nello Musumeci per la Sicilia – rispetto a questo tema sono praticamente ‘latitanti’.

Il risultato di tutto questo è duplice:

da una parte, nel Sud Italia, negli ultimi anni, si registra l’abbandono di circa 600 mila ettari di seminativi;

dall’altra parte, il nostro Paese è letteralmente sommerso dal grano duro estero, con in testa il grano duro canadese, che continua ad arrivare in Italia.

A conti fatti, sono le scelte ‘esterne’ all’Italia (leggere scelte imposte dalle multinazionali), avallate dal Governo nazionale e dalle Regioni (queste ultime potrebbero promuovere i controlli sulla sanità del grano estero: se lo facessero, gran parte di questo prodotto verrebbe rimandato al mittente e le industrie della pasta italiana sarebbero costrette ad acquistare grano duro del Sud Italia; aumentando la domanda, il prezzo del grano duro del Sud Italia salirebbe).

Invece avviene l’esatto contrario: vincono le multinazionali, il grano duro del Sud Italia costa 18 euro al quintale e rimane invenduto e trionfa la pasta industriale che costa 20 centesimi di euro a piatto.

Ma cosa c’è nel piatto di pasta che costa 20 centesimi di euro?

Provate a darvi la risposta da voi…

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