Quello che resta della sinistra italiana (poco ormai) e la Cgil hanno avuto l’occasione per dare un contributo fattivo al tentativo di ridurre la precarietà del lavoro. Ma un po’ per invidia (ammettere che i grillini difendono i lavoratori: mai!), un po’ perché compromessi con il ‘presunto’ socialismo europeo ormai al servizio delle oligarchie finanziarie hanno detto no
La Camera dei deputati ha approvato il cosiddetto ‘Decreto dignità’. Ora la parola passerà al Senato. Nel suo discorso, il segretario nazionale del PD a tempo (a quanto pare Matteo Renzi, che è ancora il ‘padrone’ di ciò che resta di questo partito, pensa di sostituirlo a breve), Maurizio Martina, ha attaccato a testa bassa il Governo che ha promosso questo provvedimento.
Il ‘Decreto dignità’ è stato voluto, soprattutto, dal Movimento 5 Stelle e, in particolare, dal vice premier e Ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio.
Non è questo il luogo per illustrare e commentare il ‘Decreto dignità’. Oggi vogliamo solo segnalare alcuni passaggi di questo provvedimento che danno la misura della crisi non soltanto di ciò che resta (veramente poco, in verità) della sinistra italiana, ma anche di tre organizzazioni sindacali che si confermano tre male affastellate appendici del PD renziano: Cgil, Cisl e Uil.
Cominciamo con il PD e, in generale, con le altre piccole e purtroppo poco significative espressioni della sinistra.
Il ‘Decreto dignità’ è sicuramente perfettibile. Ma contiene due elementi molto importanti: il tentativo di ridurre la precarietà del lavoro e la riduzione dell’influenza che i ‘biscazzieri’ (leggere il gioco d’azzardo sul quale lo Stato guadagna) esercitano sulla popolazione, soprattutto sulla parte più fragile della popolazione italiana (i poveri che si illudono di risolvere i problemi di povertà con la speranza di vincere al gioco, vero e proprio dramma del nostro tempo).
Una sinistra vera dovrebbe plaudire al tentativo di ridurre la precarietà del lavoro che il Governo Renzi ha spaventosamente aumentato con il Jobs Act. Chi, da sinistra, ha criticato l’ex segretario del Partito Democratico dovrebbe essere d’accordo su un provvedimento che mette i ‘paletti’ alle imprese che vogliono licenziare lavoratori e che prova a incrementare le assunzioni a tempo indeterminato.
Invece il PD, nel suo complesso, per bocca del suo segretario Martina (non a caso anche lui a tempo determinato…), alla Camera si è scagliato contro il ‘Decreto dignità’.
Ora, che ci sia il no di Martina è anche comprensibile. Diventa meno comprensibile il silenzio e l’ostracismo strisciante di quasi tutte le aree della sinistra italiana che si professano antirenziane.
Due gli elementi politici che vanno segnalati.
Il primo è l’invidia. A tanti esponenti della cosiddetta sinistra italiana non va proprio giù che un provvedimento, che dovrebbe essere patrimonio della propria parte politica, venga portato avanti da un movimento politico – il Movimento 5 Stelle – che ‘deve’ essere fatto passare come espressione della ‘destra’.
Di fatto, in questa fase storica, sono i grillini a difendere i lavoratori dalla precarizzazione del lavoro: e questo a tanta parte della sinistra italiana, anche non renziana, non va proprio giù, perché si rifiutano di accettare il proprio fallimento storico: fallimento culturale prima che politico.
Andiamo al secondo elemento politico: i sindacati confederali. Togliamo subito di mezzo la Cisl – che è addirittura una corrente renziana del PD – e la Uil, ormai quasi del tutto in disarmo.
Resta la Cgil. E qui il discorso è, per certi versi, analogo al rifiuto di certa sinistra ad ammettere il proprio fallimento. Ma, nel caso di questa organizzazione sindacale, c’è dell’altro.
Il quasi-silenzio di Susanna Camusso e compagnia bella rispetto al ‘Decreto dignità’ ci dice una cosa: che l’opposizione della Cgil al Governo Renzi è stata sempre misurata e, spesso, di facciata.
La Cgil – con le dovute eccezioni – ha svolto un ruolo di sostegno non al Governo Renzi, ma al sistema di potere ‘europeista’ che ha dettato la linea al Governo Renzi sulle politiche del lavoro, sulla scuola e su tutto il resto.
Con gli scioperi e le manifestazioni contro il Governo Renzi – mai portate agli estremi, limitando al minimo gli scontri sociali, o bloccandoli sul nascere – la Cgil è stata solo una valvola di sfogo: il tentativo un po’ goffo, solo in parte riuscito, di tenere comunque l’elettorato per conto del PD renziano.
L’operazione – politicamente un po’ democristiana (i democristiani erano veri maestri nel tenere unito il partito con il gioco delle correnti), ma tutto sommato perfettamente in linea, per dirla in breve, con il cinismo alla Togliatti, piuttosto che con la passione vera di un Di Vittorio – è riuscita solo in parte, perché, alla fine, buona parte dell’elettorato della Cgil non ha votato per il PD.
Poi è arrivato il ‘Decreto dignità’. E la Cgil si è trovata a un bivio: tonare alle proprie radici, difendendo le ragioni dei lavoratori, e quindi appogiando chi prova a ridurre la precarietà del lavoro, o restare fedeli, comunque, al PD e all’Europa dell’euro che ha sempre guidato la mano di Renzi?
La Cgil ha scelto la seconda opzione. E, in questa scelta, è perfettamente in linea con i socialisti europei che, non a caso, perdono consensi ovunque.
I lavoratori iscritti a questo sindacato ne prenderanno atto? Già ne hanno preso atto lo scorso 4 marzo. In questa occasione hanno avuto modo di accertare che, alla fine, scartando il PD nella cabina elettorale, non hanno sbagliato. Anzi.
Foto tratta da polisblog.it