La lotta del Ministro-cavaliere senza macchia e senza paura contro il migrante ci costringe a rinviare sine die una vittoria sulla nostra piccola e tutto sommato folkloristica delinquenza casereccia: vittoria che credevamo di avere già in tasca
A quando a quando avevamo trovato un Ministro dell’Interno che aveva fatto della lotta alle mafie e alla criminalità organizzata, più che l’obiettivo del suo dicastero, lo scopo della sua vita; un Ministro che, attraverso una capillare opera di bonifica, aveva deciso di espiantare dalle forze dell’ordine le mele marce; che aveva già elaborato una legislazione draconiana contro la delinquenza organizzata, con la previsione di pene severissime, ma soprattutto certe ed ineluttabili, senza sconti, senza patteggiamenti e senza “accordi indicibili” e che si apprestava a battersi in Parlamento per la sua approvazione, mettendoci faccia e denti; un Ministro che aveva giurato di riportarci ai tempi beati in cui si poteva stare con le porte aperte, ebbene questo stesso paladino, questo cavaliere senza macchia e senza paura si trova a dovere affrontare il pericolo più grave che abbia mai minacciato la nostra penisola dai tempi Annibale, ovvero il migrante, un essere nero come la sua anima, avido di prede e di ricchezza, eccitato da una meta che per lui è nello stesso tempo un paradiso terrestre, il paese del Bengodi.
A differenza del migrante sull’elefante, del truce cartaginese, il migrante del nostro tempo si muove in formazioni che ricordano le orde mongoliche. Senza cavalli, però. A bordo di scafi veloci e sicuri questi Unni del Sud, avanguardie del Male, raggiungono le nostre terre, mentre altre e maledette legioni, numerose come cavallette, già marciano verso i nostri confini. Lasciano vite serene e tranquille ma modeste, spinti da una irrefrenabile ingordigia e dalla promessa di subiti guadagni.
Un uomo solo ha contezza della gravità del momento, un uomo solo li contrasta, inerme, mentre tutti gli altri perdono il coraggio e il senno e stolti e pavidi aprono le porte al nemico.
Solo, eroico, inerme, ma con la forza delle sue parole infiammate, ci chiama all’amor patrio, al sacro dovere di custodire i nostri penati, la memoria dei nostri padri e l’onore delle nostre madri e sorelle minacciate da uomini donne e bambini senza dio.
Che uomo! E che peccato che questa priorità assoluta lo impegni al di la delle sue forze e ci costringa a rinviare sine die una vittoria sulla nostra piccola e tutto sommato folkloristica delinquenza casereccia che credevamo di avere già in tasca.