Il regista palermitano critica “l’intellettualizzazione della festa di Santa Rosalia che di religioso e popolare non ha più nulla”. E non aveva ancora visto Orlando con la maglietta rossa sul carro…
In un periodo in cui l’omologazione del pensiero rischia di appiattire ogni forma di critica e di ragionamento individuale, è sempre bello ascoltare chi non teme di uscire fuori dal coro. E, in effetti, Franco Maresco, questo timore non lo ha mai avuto. Il regista palermitano, noto per le sue opere dissacranti e controcorrente, in una bella intervista rilasciata a Repubblica Palermo, traccia, parlando del Festino di Santa Rosalia, un ritratto del capoluogo siciliano che dovrebbe, quantomeno, fare riflettere.
Festino di Santa Rosalia, patrona della città, che, quest’anno, anche grazie ad un sindaco più interessato a dare di sé l’immagine di uomo colto e ‘illuminato’ che ad amministrare bene o a valorizzare la tradizione, ha assunto un carattere politico: Leoluca Orlando, salito sul carro della Santa, come da tradizione, ha esibito una maglietta rossa, indumento dell’operazione pro-migranti (ma più contro Salvini) ideato da sinistrorsi in disperata ricerca di attenzioni e/o di pubblicità.
Maresco, intervistato prima della sfilata del carro e della sceneggiata di Orlando, descrive alla perfezione ciò che sarebbe successo e ciò che, nella sua opinione, succede ormai da anni:
“Da adulto- dice a proposito del Festino- l’ho sempre evitato, non solo perché non riesco a stare in mezzo alla folla ma soprattutto perché ha perso non solo la sua dimensione di fede ma anche il mistero e l’ingenuità che aveva. E perché provo orrore per i miei concittadini, un orrore credo ricambiato. Palermo è ormai un enorme luogo dell’orrore”.
“Certo,- aggiunge parlando del Festino- è un marchio da proteggere. Uno dei pochi eventi conosciuti in tutto il mondo ed entrati nei libri di storia. Una delle poche cose che caratterizza questa città. Ma innanzitutto mi pare evidente che ha perso del tutto la sua religiosità. Ma non è solo questo, non so fino a che punto continui a mantenere quella potenza di aggregazione popolare, di risveglio dell’identità collettiva. Perché bisogna stare molto attenti a parlare di “popolare”. Oggi siamo ai margini del populismo, quello che è sempre animato da imbecilli. Di popolare è rimasto poco o niente”.
“A Palermo, sia pur in ritardo, l’omologazione c’è stata. Se si eccettua qualcosa in periferia la città non ha nulla di popolare, alcuna sua identità. L’ingenuità, la forza e la bellezza del popolo non c’è più. C’è un’intellettualizzazione della festa, – continua il regista- la si carica di contenuti culturali, antropologici ma non è più di popolo. Quando ero bimbo, cinquant’anni fa era tutto diverso”.
“Adesso- dice Maresco- rimane la saccenteria, l’interpretazione borghese di una città anonima per la quale il Festino in realtà non significa nulla, è solo una festa qualsiasi”.
Anche prima, fa notare il giornalista, la borghesia cercava i posti più esclusivi per vedere i fuochi, “ma- risponde il regista- prima c’era quella borghesia, magari non illuminata come quella milanese ma che decenni fa conosceva la città in modo profondo, pienamente consapevole e che partecipava al Festino, magari con i ricevimenti nei palazzi e i fuochi d’artificio visti in barca. Ma la festa rimaneva del popolo”.
Oggi- ed è sotto gli occhi di tutti- per la borghesia palermitana e per gli intellettualoidi ‘salariati’ , tutto ciò che parla di popolo è da buttare. Fascista chi considera il popolo sovrano e preziose le sue tradizioni culturali. Insomma, è proprio vero: non c’è peggiore fascista di chi vede il fascismo dove non c’è….