Nel silenzio generale, di fatto, una società del Centro Nord Italia si è impossessata del grano duro ‘Senatore Cappelli’. Ora potrebbe toccare ai grani antichi della Sicilia. I retroscena di un convegno internazionale andato in scena nei giorni scorsi a Bologna raccontati da uno dei protagonisti di ‘Simenza’, Giuseppe Li Rosi. Il Kamut non fa più i numeri di un tempo. Così gli statunitensi potrebbero piombare in Sicilia e per ‘pilotare’ una sorta di ‘Operazione Husky’ del grano…
Esattamente due anni fa abbiamo lanciato l’allarme: i grani antichi della Sicilia sono troppo importanti e finiranno per fare gola a molti (QUI IL NOSTRO ARTICOLO DEL LUGLIO 2016). Ci sono i lombardi, i piemontesi e i veneti che ‘producono’ pasta con i grani antichi. La SIS – una società di Bologna – si è impossessata del Senatore Cappelli, una cultivar di grano duro selezionata nei primi del ‘900 in Nord Africa e poi riprodotta in Puglia, ma molto presente, da alcuni anni, in Sardegna (dove, in realtà, questa cultivar è stata rilanciata) e anche nella nostra Isola. C’è stato anche un tentativo, da parte di un gruppo del Nord Italia, di mettere il ‘cappello’ su alcune varietà di grani duri antichi siciliani. Ma la vera notizia è di qualche settimana fa: un convegno internazionale, a Bologna, organizzato, niente poco di meno, che dalla Kamut Enterprise…
L’ammettiamo: questo convegno ci è sfuggito. “E invece è stato un convegno molto importante, che ci dà la misura del segno dei tempi – ci dice Giuseppe Li Rosi (nella foto sotto), protagonista di Simenza, una delle esperienze più importanti portate avanti nella nostra Isola nel mondo dell’agricoltura, compreso il grano. Il convegno internazionale di Bologna è stato organizzato da un gruppo economico – la Kamut Enterprise – che fino ad oggi ha fatto grandi numeri con il Kamut-Khorasan (QUI UN APPROFONDIMENTO). Solo che, oggi, il mondo è cambiato. E questo gruppo non fa più i numeri di qualche anno fa. E allora…”.
E allora?
“E allora stanno cercando alternative. E, se proprio la volete sapere tutta, a
Se non ricordiamo male, il grano venduto con il marchio Kamut è geneticamente molto simile alla nostra varietà antica Perciasacchi. O almeno così scrive Giuseppe Russo, che su tale materia non è l’ultimo arrivato, secondo il quale la varietà di grano duro antico della Sicilia, Perciasacchi, sarebbe assimilabile al grano venduto con il marchio Kamut (il nome della varietà è Khorasan): insomma, sarebbero lo stesso tipo di grano, cioè il Triticum turgidum ssp. turanicum (QUI UN ARTICOLO). Lei che ne pensa?
“Non entro nel merito delle analisi biomolecolari, ma dico che questo dà forza alla mia tesi: gli americani potrebbero aver gettato gli occhi sui grani antichi della Sicilia”.
Ci dobbiamo preoccupare?
“Direi di sì”.
Non sono i primi: imprese lombarde e piemontesi producono pasta con i grandi duri antichi siciliani. Anche se i risultati non sono brillanti…
“Il punto è proprio questo: i grani duri siciliani possono essere coltivati bene nel Sud Italia e, in particolare, in Sicilia. Sa cosa significa questo?”.
Ci dica.
“Che potrebbero essere interessati non solo alle varietà di grani antichi, ma anche ai terreni della nostra Isola dove coltivarli”.
Quando abbiamo scritto che il Set-Aside è stato utilizzato per far arrivare in Sicilia il grano duro canadese e per convincere gli agricoltori siciliani ad abbandonare i terreni e, magari, a disfarsene, ci hanno preso per complottisti… (QUI IL NOSTRO ARTICOLO).
“Per mia abitudine, mi attengo ai fatti. Un noto gruppo statunitense che da anni opera con successo nel mondo dei cereali, dal 13 al 15 giugno scorso, organizza un convegno internazionale a Bologna. Parteciparvi costa 400 euro. Le relazioni sono in inglese. La maggior parte degli agricoltori che vi ha preso parte non era italiana e meno che mai siciliana”.
Hanno parlato dei grani antichi della Sicilia?
“Hanno parlato di innovazione legata alla valorizzazione della biodiversità dei grani italiani. E’ chiaro che hanno parlato anche dei grani antichi della Sicilia”.
Già un tentativo di mettere il ‘cappello’ sui grani antichi della Sicilia è stato messo in atto.
“Lo sappiamo. E noi di Simenza siamo scesi in campo per fare chiarezza e difendere la nostra storia (QUI L’ARTICOLO CON LA PRESA DI POSIZIONE DI MARIO DI MAURO, COFONDATORE SI SIMENZA). E’ per questo che noi dobbiamo tenere gli occhi ben aperti”.
Per evitare che i grani duri antichi della Sicilia facciano la fine della varietà Senatore Cappelli…
“Per l’appunto. La storia del Senatore Cappelli, che voi avete raccontato con dovizia di particolari, è incredibile. Una cultivar che è di tutti, che ha fatto la storia del grano duro del Mezzogiorno d’Italia, attraverso un bando molto discutibile, finisce nelle mani di una società privata che opera con contratti chiusi. In pratica, i signori della SIS hanno monopolizzato una delle più note varietà di grani duri antichi d’Italia: ti vendono il seme, a patto che tu consegni loro tutta la produzione. Se non lo fai non puoi vendere il grano o la pasta con il nome Senatore Cappelli. E’ una storia incredibile”.
Ma com’è che nessuno parla? Lo sa che l’ex Ministro delle Risorse agricole, Maurizio Martina, da qualche giorno segretario nazionale del PD, alla Camera dei deputati, durante un Question time, ha affermato che non c’era nessun pericolo di monopolio del Senatore Cappelli?
“Mi sembra che i fatti gli stiano dando torto”.
Ma com’è che non parla nessuno?
“Voi ne avete parlato e ne continuate a parlare. Ora ne stiamo parlando. Ma noi possiamo fare poco. Quello che possiamo ribadire è che quanto è avvenuto è assurdo. Santino Accalai, in Sardegna, è stato il protagonista della rinascita della varietà Senatore Cappelli! Con il contestato bando gli agricoltori sardi e, in generale, tutti gli agricoltori, sono stati espropriati. I sardi hanno fatto tutto il lavoro e una certa politica li ha messi di lato. I signori della SIS hanno bloccato la coltivazione di questa varietà, se non sotto il loro stretto controllo. Ribadisco: tutto questo è assurdo” (QUI UN ARTICOLO SULLO SCIPPO OPERATO A DANNI DELLA SARDEGNA e QUI UN SECONDO ARTICOLO).
Tutto questo potrebbe accadere con i grani antichi nella Sicilia?
“Noi ci auguriamo di no, ma dobbiamo essere vigili”.
Quanti ettari di grani antichi si coltivano oggi in Sicilia?
“Circa ottomila ettari. E sono in aumento. Però c’è un però”.
Cioè?
“Senza un’organizzazione alle spalle coltivare grani antichi potrebbe diventare non remunerativo”.
Ci spieghi.
“In questo momento, in Sicilia, c’è tanto grano duro antico varietà Timilia invenduto”.
Perché?
“Perché gli agricoltori siciliani, anche i più bravi, spesso sono monadi senza finestre. Non dialogano tra loro. Si rifiutano di fare sistema. Ma, come ribadisco spesso, nel mondo dei grani antichi siciliani, da soli, non si va da nessuna parte”.
Entriamo nel dettagli dei problemi.
“I titolari di alcuni molini siciliani lamentano che il grano duro Timilia che gli arriva non è in purezza. Anzi, in alcuni casi, non è affatto Timilia“.
Hanno ragione?
“In buona parte sì”.
Perché succede questo?
“Perché manca l’esperienza. La verità è che dei grani antichi della Sicilia si è persa la memoria. Molti agricoltori non conoscono la semenza. Vanno da soli. E sbagliano. E creano problemi a chi, invece, si attiene alle regole. Poi c’è il problema della vendita del prodotto: anche in questo caso, da soli, spesso, si va a sbattere”.
Quindi, se abbiamo capito bene, prima non bisogna sbagliare con le sementi, poi bisogna organizzare, a monte, la vendita del prodotto.
“Esattamente. Il nostro non è un mondo facile. Abbiamo parlato dell’incredibile vicenda del Senatore Cappelli. Non c’è niente di peggio che apparire come sommatoria di agricoltori senza una strategia comune. Già adesso sono in corso speculazioni”.
Tipo?
“I mugnai siciliani hanno fatto un cartello: il grano duro antico varietà Russello lo pagano a 20 euro al quintale. Altri grani antichi siciliani cartellinati e certificati li pagano 40 euro a quintale”.
Per il Russello il prezzo è basso, per gli altri, tutto sommato…
“Non è così, perché poi, questi signori, si vendono le farine a prezzi notevoli, sottraendo valore aggiunto agli agricoltori”.
Come si viene fuori da questo mondo di ‘squali’?
“L’unione fa la forza, si diceva un tempo. Se si è uniti e facciamo noi un cartello unico per l’offerta e – cosa molto importante – sappiamo in anticipo a chi dobbiamo conferire i nostri grani antichi cambia tutto. Noi vendiamo a 70 e anche a 90 euro al quintale. Ricordo che, da due anni, Simenza coordina una rete di agricoltori in biologico che producono grani antichi su contratto”.
Quanti sono?
“Oggi siamo una trentina destinati a crescere perché non riusciamo a soddisfare le richieste del mercato nazionale. Abbiamo creato un gruppo di lavoro che ha predisposto un progetto per ogni varietà”.
Per questo gli americani si vogliono gettare nell’affare?
“Certo. Per questo bisogna fare squadra. Per davvero, però”.
Insomma: ci sta dicendo che gli americani, super-organizzati dalla semina alla vendita, passando per il marketing internazionale, non ci mettono niente a prendersi tutto lasciando, tanto per cambiare, le briciole alla Sicilia?
“L’ha detto lei”.
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