Un ex dipendente della Formazione professionale siciliana che oggi vive fuori dalla nostra Isola ha scritto una lettera al Presidente Nello Musumeci. E’ la lettera di un uomo che, nel passato, ha apprezzato l’attuale Governatore. Ma oggi la pensa diversamente. E spiega il perché
da Giuseppe Verdi
riceviamo e pubblichiamo
Premetto che la chiamo “presidente” in maniera meramente convenzionale, innanzitutto perché non vivo più in Sicilia e in secondo luogo perché sento di non ritenerla tale. Mi spiego meglio.
Facevo parte anche io dell’esercito della formazione professionale siciliana, per la precisione i servizi. Conosce la differenza tra servizi e interventi, vero? Sa, glielo chiedo perché, quantunque dall’altro capo dell’Italia, continuo a seguire le vicissitudini dei miei ex colleghi (che considero tuttavia ancora tali) e vedo che, dopo avere difeso a spada tratta la categoria quando lei e il suo gruppo politico eravate all’opposizione, adesso la ignora… proprio adesso che, in veste di presidente, potrebbe e dovrebbe risolvere l’annoso dramma del settore della formazione, se non altro per dimostrare che all’epoca non cercava semplicemente consensi (sospetto che, lo ammetterà, oggi appare legittimo).
Al di là della sua posizione politica, personalmente l’ho sempre apprezzata e considerata persona corretta e affidabile, quasi una mosca bianca in quel mondo immondo (mi passi il calembour) che è la politica.
Fra l’altro, voglio confidarle una cosa. Quel mio giudizio positivo su di lei è stato anche influenzato da mio padre, oggi ultraottantenne, che era assessore nel piccolo comune di Vizzini ai tempi in cui lei ricopriva la carica di presidente della provincia di Catania; situazione che vi portò a conoscervi e incrociarvi più di una volta.
Probabilmente lei non si ricorderà, dopo tanti anni, di un piccolo assessore di un insignificante paesino dell’entroterra Catanese, anche perché oggi si trova all’apice e si sa, in politica raggiungere il vertice fa sì che sovente si venga colpiti da curiose amnesie riguardo ad antiche amicizie e conoscenze.
Ebbene, devo dirle (senza alcun rammarico, mi creda) che di quella mia antica opinione nei suoi riguardi non è rimasto nulla e quella visione positiva che nutrivo circa la sua persona è svanita nel nulla.
“Perché tanta acredine nei miei confronti da questo illustre sconosciuto”, si starà chiedendo in questo momento, “visto anche che nemmeno vive più in Sicilia?”. Glielo spiego subito.
Innanzitutto, perché se ho lasciato la Sicilia è proprio grazie alle “capacità” amministrative di persone come lei, come i suoi predecessori nella carica di presidente, come i vari assessori e burocrati che negli ultimi decenni sono riusciti ad affossare una delle terre più belle del mondo, rendendola talmente brutta (dal punto di vista della qualità della vita) che chi, come me, è dovuto andare via, quasi vi ringrazia, perché indirettamente gli avete risparmiato lo spettacolo dell’ignobile scempio che si sta compiendo e che, piano piano, porterà al disastro totale.
In secondo luogo, perché ieri è morto (e non è il primo, da qualche anno a questa parte) un mio ex collega, nonché amico, dato che lo conoscevo da trent’anni esatti: Giovanni La Rosa, un tempo dipendente della fu EnAIP di Ragusa. Sa com’è morto? Si è suicidato, lanciandosi dal balcone di casa, ormai allo stremo dopo anni di vuote promesse politiche e, soprattutto, di lotte e manifestazioni di piazza alle quali anche io ho preso parte innumerevoli volte, prima che il suo illustre predecessore, Rosario Crocetta, affossasse la formazione con la sua grottesca “rivoluzione” che tutto è stata fuorché una rivoluzione, traducendosi in una mattanza che ha fatto fuori circa ottomila persone nel vergognoso silenzio dei media locali e nazionali.
Altro che ILVA e Alitalia, caro Musumeci!
La politica siciliana è riuscita ad andare oltre, portando a compimento una sorta di mini-genocidio. Certo, mi rendo conto che per lei Giovanni La Rosa, così come tutti gli altri operatori della formazione, fosse un signor nessuno, tant’è che lei è rimasto indifferente e silenzioso anche di fronte ai pochi, eroici colleghi che hanno continuato a manifestare, anche in questi giorni, con un ennesimo sciopero della fame. Ma a lei cosa importa, Musumeci?
È arrivato al top, sta in quel bel palazzone, simbolo della decadenza di un’intera regione, dove insieme a qualche altra decina di individui si bea nel farsi chiamare “onorevole”, titolo che non vi spetta né di diritto né tantomeno per meriti.
“Sarà bellissima”, aveva chiamato la sua lista. Mi spiace deluderla, ma, vista dall’esterno (e ritengo anche e soprattutto dall’interno), la Sicilia sta diventando un orrore. E lei mi ricorda tanto (anche per fisionomia) Nerone che suona la cetra mentre Roma brucia.
Per quello che vedo da lontano, caro presidente, sta riuscendo in un impresa che a chiunque sarebbe apparsa impossibile: fare peggio di chi l’ha preceduta.
Auguro a lei e alla classe politica siciliana (pochissimi esclusi) di provare solo un decimo della disperazione in cui avete scaraventato migliaia di lavoratori incolpevoli, come Giovanni La Rosa, come chi prima di lui ha compiuto il gesto estremo, come chi ha dovuto vendere casa, come chi vive in macchina o deve mangiare alla Caritas.
Con immenso amore per la mia terra, ma senza alcun rimpianto per averla lasciata.