Come dimostra il ‘Collegato alla Finanziaria 2018’ approvato ieri sera dal Parlamento siciliano, Nello Musumeci e Gianfranco Miccichè sono condannati a convivere. Quasi sempre in disaccordo, su una cosa concordano: nel tenersi il potere. Prepariamoci ad altri quattro anni e mezzo di risse e affari
Intrappolati nello stesso incubo dalla propria misera ambizione personale, sballottati e agitati dalle proprie egoistiche passioni, Nello Musumeci e Gianfranco Miccichè, i due presidenti, le massime autorità politiche della Regione siciliana, si beccano tra di loro come i capponi che Renzo reca come omaggio al dottor Azzecca-garbugli.
Non c’era bisogno della Sibilla per prevedere questo squallido epilogo della messinscena politica chiamata patto dell’arancino/a che ha visto recitare insieme, per puri fini elettorali, Musumeci, Micchichè e tanti piccoli caratteristi opportunisti.
Uno, Musumeci, antico comprimario dei tempi del Senatore La Russa, padre di cotanto figlio, di Vito Cusumano e di Benito Paolone, radicati veterofascisti della Catania più nera, ma pur sempre dal volto umano; lui, tenace candidato in solitaria alla Presidenza della Regione, fino a quando la sua ostinazione non ha avuto la meglio sulla disperazione dell’altro, Miccichè, il quale, dopo avere pagato nelle precedenti elezioni, con una astinenza rivelatasi insopportabile, l’errore d’aver rotto il fronte del centrodestra siciliano alle elezioni regionali di 6 anni fa, alle elezioni del novembre dello scorso anno, pur di potersi consentire dosi all’altezza dei suoi gusti nobili, ha dovuto abbozzare alla ennesima candidatura del Nullo da Militello.
I duellanti si stanno rivelando per quello che purtroppo sono: la Nemesi, ossia la giusta punizione per quei siciliani che li hanno votati, incapaci di vedere al di là dei 50 euro che hanno ricevuto in cambio, incapaci di capire che l’essersi venduti con promessa di un posticino li costringe a subire ogni tipo di orrore civile e sociale, dalla monnezza alle soglie di casa all’impossibilità di avere un’assistenza sanitaria degna di un Paese civile e di quei siciliani che non hanno votato, in assoluto, i più “bestia” di tutti.
Si muovono, i due, come se fossero padroni della Sicilia, come se l’avessero conquistata con le armi. Preda di guerra ancora una volta, questa terra, bottino però difficile da dividere per tanta avidità e ingordigia.
Uno vuole la sparizione dell’ESA, l’Ente di Sviluppo Agricolo, l’altro ne vuole la sopravvivenza, ognuno per motivi assolutamente estranei all’interesse pubblico. Uno, per gli stessi nobili e personali motivi, vuole la fusione tra IRFIS e IRCAC, e l’altro no (ieri sera, a quanto pare, si sono finalmente messi d’accordo). In mezzo a tanta tempesta il disegno di legge detto ‘Collegato alla Finanziaria 2018’, dopo aver fatto la spola tra Aula e Commissione Bilancio, con la misera vile complicità dei deputati che ci hanno messo pure del proprio, è stato finalmente approvato.
Avremo modo di analizzare questa legge. Oggi non possiamo non sottolineare che i ritardi sono sotto gli occhi di tutti. Siamo a metà anno e gli strumenti finanziari della Regione sono al palo. Un anno perso. Il primo di cinque.
Perché ha un bel minacciare le dimissioni, Musumeci. Lui finalmente è diventato Presidente della Regione e poveri noi se neanche sa che cosa significhi essere Presidente della Regione. Il fatto certo è che non mollerà mai. E non molleranno nemmeno i deputati. E pur di non andare a casa – come avvenuto ieri sera – se la maggioranza non c’è, in un modo o nell’altro la maggioranza si trova: e vanno avanti, per fare che cosa non si capisce. Vanno avanti per resistere e, forse, per esistere.
Ci vorrebbero una dignità e una forza morale che, se le avesse possedute, non si sarebbe ingaglioffito con tatti banditi e ladri di passo impresentabili, utilizzandone i voti e facendo finta di niente. Nessun conto può farsi di costoro tra gli UOMINI, come diceva il vecchio Pirro in una tragedia greca.
Al contrario, con l’onestà che è stata la sua arma vincente, Musumeci non si fa scrupolo di tentare altre strade. Se a parole minaccia, nei fatti blandisce gli scontenti, corteggia i grillini, studia conversioni e convergenze. Se Parigi val bene una messa, Palazzo d’Orlens varrà bene una “malafiura”.