In un documento indirizzato al Presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci, i sindaci dei Comuni delle aree interne dell’Isola chiedono un sostegno concreto per il grano duro siciliano: dichiarazione dello stato di crisi e sospensione delle cartelle di pagamento, controlli sui prodotti agricoli importati (a cominciare dalle navi cariche di grano), sollecitare la UE a cambiare il disciplinare sul glifosato. Il dramma sociale delle banche che si appropriano dei terreni agricoli
“Le aree interne della Sicilia rappresentano il 65/70% della superficie coltivabile. Del disagio, in cui vivono gli agricoltori, se ne parla sempre meno perché il loro malessere e la loro sofferenza, essi stessi, tendono a nasconderlo per un senso di vergogna insita nella loro atavica storia. La cerealicoltura, con gli allevamenti, sono l’unica risorsa di questa area, insieme ad ormai qualche sporadica coltivazione di pomodoro, che pur essendo di qualità ‘eccelsa, è stata abbandonata a causa degli alti costi di produzione che non consentono di competere con i prodotti importati dai Paesi extracomunitari. Gli agricoltori sono per la globalizzazione dei mercati, ma, ad armi pari…”.
Si apre così un documento che i sindaci dei Comuni delle aree interne dell’Isola hanno inviato al Presidente della Regione, Nello Musumeci.
Il documento si articola in due parti: nella prima parte c’è un’analisi della situazione attuale dell’agricoltura nell’interno della Sicilia; nella seconda parte si formulano le richieste al Governo della Regione.
“Va premesso – si legge nel documento – che non ci sono alternative alle suddette attività in quanto il clima e la carenza d’acqua impediscono altre coltivazioni. La liberalizzazione dei mercati, con la conseguente importazione selvaggia di prodotti da Paesi extracomunitari, di dubbia qualità, in cui la manodopera costa 1/10 di quella Italiana, che non rispetta i minimi diritti dei lavoratori, ha portato le aziende dei nostri territori interni ad un abbandono graduale dei terreni ed ad un pesante indebitamento per chi tenta di resistere”.
“Il grano – prosegue il documento – principale coltura dei territori che noi Sindaci rappresentiamo, ha un prezzo di mercato che oscilla dai 17 ai 19 Euro/Q. e, da più di un anno, tende a diminuire. Va da sé, per inciso, che per pagare le spese di coltivazione, occorrono 20/22 E./Q. e, quindi l’integrazione Europea, di circa 260 Euro/Ha, viene pesantemente intaccata, se non esaurita, per coprire i residui costi. A questo si aggiunge che, quando (l’integrazione ndr) viene erogata dall’AGEA, con pesanti ritardi, viene a monte decurtata da pesanti tagli per cartelle INPS, Equitalia e quant’altro. Quello che, eventualmente, resta non basta alla sopravvivenza delle suddette aziende che si indebitano pesantemente con gli Istituti di credito (o con gli usurai…) e, non riuscendo a pagare le rate, sono pieni di decreti ingiuntivi e devono cedere i loro terreni che vengono svenduti all’asta con prezzi assolutamente ridicoli (tanto alle banche, salvate con i nostri soldi, interessa recuperare il capitale, pur avendo ipoteche per 2, 3 volte il superiori al valore del debito)”.
AGEA, per la cronaca, è l’Agenzia dello Stato che effettua i pagamenti in agricoltura. Spesso con ritardi notevoli.
“I giovani, di primo insediamento, che hanno voluto acquistare con ISMEA – si legge nel documento – non riescono ad onorare i pagamenti e restituiscono, al suddetto Istituto, il bene acquistato che, poi, viene messo all’asta. Per non parlare degli investimenti sul PSR, tanto decantati dalla Regione, ai quali la maggior parte degli agricoltori, rinuncia per non indebitarsi oltre…”.
Qui si ribadiscono i fatti inquietanti emersi nel corso del convegno sull’agricoltura promosso nei giorni scorsi dal gruppo parlamentare del Movimento 5 Stelle all’Ars (QUI L’ARTICOLO):
“Infatti – si legge nel documento – a parte le pratiche burocratiche estenuanti a cui si viene sottoposti (per un certificato antimafia occorrono anni…), bisogna presentare i progetti esecutivi che si devono esibire alla presentazione della pratica, anche se, la stessa, non viene accettata, e che hanno un costo iniziale di notevole rilievo”.
Questa è un’accusa, precisa, alla burocrazia dell’assessorato regionale all’Agricoltura.
“La Politica, totalmente assente – prosegue il documento – ha contribuito a mettere in ginocchio questa comunità che noi rappresentiamo. Il malessere diffuso, causa l’abbandono dei fondi e qualche volta, anche la vita… e ne abbiamo avuto contezza. E’ da sottolineare che i prezzi sono determinati dall’importazione di prodotti di scarsa qualità e, comunque, non paragonabili ai nostri, come i pomodori dal Marocco, o dalla Cina che, a parte i costi di produzione bassissimi, contengono sostanze e pesticidi proibiti (risulta che, in Africa e Cina, usano ancora il DDT…) nel nostro Paese. O il grano Canadese, Ucraino (anche da Cernobyl, il cui territorio, dicono gli scienziati, è inutilizzabile per decenni a causa dei residui atomici), Kazako etc. Per non parlare dell’olio d’oliva tunisino, recentemente arrivato in Italia e delle carni di importazione che contengono estrogeni…”.
“Tenuto presente – si legge sempre nel documento – che in Sicilia si produce grano, pomodoro, carne e olio di ottima qualità e, nel caso del grano, assolutamente privo di micotossine (cancerogene…) e di gliphosate (o glifosato, che è usato nei paesi freddi per la maturazione); glifosato accusato da diversi Istituti esteri, famosi ed accreditati, di causare diverse malattie: dalla celiachia ai tumori, alla predisposizione alla SLA etc., e si è accertato, anche in minima quantità, certamente anche in dosi inferiori al limite consentito (recentemente uno studio medico ha rilevato che su 100 donne in gravidanza in 90 sono state trovate tracce di questa sostanza)”.
“L’argomento ‘gliphosate’ (o glifosato) è particolarmente spinoso in quanto gli studi, su questo principio attivo, sono stati secretati per anni e sono stati tirati fuori e pubblicati grazie ad un’associazione privata: GranoSalus che, sostituendosi agli organismi pubblici che avrebbero dovuto vigilare, ha fatto analizzare i prodotti finiti a proprie spese: pasta e prodotti da forno, prelevati dai banchi vendita dei supermercati ed è stato rilevata la presenza di questo principio attivo. Tutto questo ha causato la reazione furiosa delle multinazionali della pasta che, dopo aver portato l’Associazione in Tribunale, hanno perso per le vie legali”.
In realtà, in Tribunale è finito anche il titolare di questo blog, per aver sposato la causa della difesa del grano duro della Sicilia.
“Senza contare che, quanto esposto , incide fortemente sulla spesa sanitaria del nostro Paese. I nostri rappresentanti politici in Europa, tra cui la quasi totalità degli europarlamentari siciliani, sono riusciti solo a fare approvare il CETA (Accordo col Canada che abbatte i dazi sulle nostre importazioni…) che reciterà il de profundis.. della nostra cerealicoltura…”.
In realtà, in favore del CETA hanno votato gli europarlamentari di centrodestra e centrosinistra; contro il CETA hanno lottato e votato i parlamentari del Movimento 5 Stelle.
A questo punto arrivano le richiesta dei sindaci al Governo regionale:
“Chiedono al Sig. Presidente della Regione, che, in virtù dell’art.17 dello Statuto della Regione siciliana, è il difensore della Salute pubblica e della nostra Economia di:
1) inserire una rappresentanza di questo Comitato delle aree Interne nel Tavolo di crisi dei mercati recentemente costituito;
2 ) dichiarare lo stato di crisi di mercato, con la conseguente messa in atto delle normative che prevedano la sospensione delle cartelle di pagamento, delle rate ISMEA e quant’altro sia nel potere della Regione e dello Stato, di concerto con la U.E., per un periodo che consenta la normalizzazione del mercato stesso;
3) attuare sistematicamente, e non sporadicamente, i controlli statistici e sanitari delle merci importate, affidandole ad un Ente che monitori costantemente quello che arriva, collegato ad una rete di laboratori già esistenti (ESA, Istituto di granicoltura) aggiornando i laboratori, se sprovvisti, degli strumenti idonei per il rilevamento del gliphosate (ci risulta che nella nostra Regione non ce ne sono…) e tenendo presente che, nel caso delle navi, basta un attracco al porto di Marsiglia o Amburgo, con conseguenti analisi (quali?..quella del grano Kazako dove e’ stata controllata?), per potere circolare e scaricare liberamente nei porti dei Paesi dell’Unione Europea;
4) chiedere al Ministero della Salute di attivarsi urgentemente, presso la U.E. per far abbassare il limite di residuo del gliphosate, stabilito su un consumo Europeo di pasta di 5 Kg annui pro capite, in considerazione che in Italia, specie nel Meridione, il consumo di pasta è di 26 Kg annui ad individuo; tutto questo ci porta ad ingerire 5 volte la dose consentita, minando anche la salute dei nostri bambini;
5) fermare i mezzi nei porti o su gomma fino all’espletamento del controllo analitico-analisi (un paio di gg….) e non fermarsi all’analisi visiva.;
6) avviare controlli nei mulini che importano e trasformano il cereale;
8) per quanto riguarda il grano, presentare progetti per la promozione dello stesso, mettendo in atto le procedure consentite dalla UE per un marchio singolo, non ad ombrello, che contenga la dicitura: ‘Grano duro di Sicilia’, comprensivo di disciplinare e promozione sui mass media nazionali ed esteri, per far conoscere la qualità del nostro prodotto, in modo da raggiungere le quotazioni del Desert Durum americano (oggi 40/E./Q.), del quale, il nostro prodotto, non è assolutamente inferiore (tale progetto è conservato nei cassetti del Consorzio Ballatore e fu presentato il 18 Dicembre 2009)”.