Ieri, a Palermo, interessante e partecipato convegno sull’agricoltura siciliana promosso dai deputati del Movimento 5 Stelle al Parlamento siciliano. Ignazio Corrao, Valentina Palmeri, Saverio De Bonis e altri relatori qualificati hanno messo a fuoco i problemi veri di questo settore. Con l’impegno, dei parlamentari siciliani, ad approfondire nei territori i temi trattati. Da trasferire in apposite iniziative legislative
Non è facile, oggi, vedere l’agricoltura al centro di incontri e dibattiti politici. Ci prova GranoSalus, che in Puglia e Basilicata ha organizzato vari incontri sul grano duro, chiamando a raccolta i politici sensibili a questi temi. Ci prova questo blog con la battaglia condotta in difesa del grano duro del Sud Italia in generale e della Sicilia in particolare. E ci stanno provando anche in Sicilia i politici di buona volontà, che per fortuna ci sono ancora. Non è un caso se, tra i convegni organizzati da GranoSalus nei mesi scorsi e il convegno andato in scena ieri a Palermo, a Palazzo Reale – la sede del Parlamento siciliano – c’è un denominatore comune: il Movimento 5 Stelle, una delle poche forze politiche, se non l’unica, che oggi è in grado di possedere la credibilità per dialogare con il mondo agricolo.
Nella battaglia, culturale e politica, per la CUN – la Commissione Unica Nazionale che dovrebbe mette fine alla speculazione sui prezzi del grano duro – GranoSalus si è trovata accanto i parlamentari nazionali del Movimento 5 Stelle. E ieri, a Palermo, tanti rappresentanti del mondo agricolo siciliano si sono presentati al convegno promosso dai parlamentari regionali grillini dell’Assemblea regionale siciliana.
Così al convegno di ieri – al quale hanno preso parte i parlamentari regionali
La Sicilia è una terra a vocazione agricola. È la seconda Regione italiana, dopo la Puglia, per la produzione di grano duro. È una delle prime Regioni italiane per la produzione di uva da vino (anche se non manca l’uva da tavola: per esempio, l’uva Italia di Canicattì). Notevole anche la produzione di olio di oliva extra vergine, di agrumi (arance, limoni e mandarini) e di altri frutti, oltre alle colture ortive di pieno campo e in serra.
Detto questo, non c’è un settore dell’agricoltura siciliana che non sia in crisi. Anche il vino – considerato uno dei fiori all’occhiello dell’agricoltura siciliana – vive tra ombre e luci: perché se è vero che una parte dell’industria del vino siciliano funziona, è altrettanto vero che chi acquista l’uva da vino dai produttori (cioè dagli agricoltori) li strozza con prezzi bassi. Cosa, questa, che è stata rimarcata nel convegno di ieri.
Eh sì, assurdo, quello che succede in questo settore. Con i titolari delle cantine sociali siciliane che fanno finta di non capire che ‘strozzare’, con prezzi irrisori, i produttori di uva da vino non conviene nemmeno a loro. Infatti, se i piccoli agricoltori siciliani che producono uva da vino dovessero chiudere i battenti, loro, i titolari delle cantine sociali (con in testa le grandi cantine sociali della nostra Isola) dove pensano di andare a prendere l’uva per fare il vino? O forse pensano di acquistare il mosto fuori dalla Sicilia? O ipotizzano ‘vini alternativi’?
Interessante anche una precisazione sui fondi europei in agricoltura. Si tratta del PSR, il Piano di Sviluppo Rurale della Sicilia, 2,1 miliardi di finanziamenti a cui vanno aggiunti altri 3 miliardi di euro circa del Feoga (Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia). Un agricoltore ha posto la seguente domanda: come può il titolare di un’azienda agricola presentare un progetto esecutivo che ha un costo variabile da 5 a 10 mila euro, con il rischio che il progetto venga ‘bocciato’?
In Sicilia, con alcuni bandi del PSR, funziona così: bisogna presentare i progetti esecutivi. E se il costo è quello illustrato nel convegno, è chiaro che a presentare i progetti esecutivi o sono coloro i quali si possono permettere il lusso di spendere 5-10 mila euro con il rischio di non vedere approvato il proprio progetto, o sono quelli che, invece, hanno la garanzia che il proprio progetto non verrà ‘bocciato’…
Cosimo Gioia ha detto che in Sicilia, per molte aziende agricole, la situazione economica è diventata insostenibile. “Molte aziende – ha detto – sono in mano alle banche. Le rate Ismea, in queste condizioni, sono insostenibili. Per non parlare del costo del lavoro agricolo, che in Sicilia costa dieci volte di più rispetto ad altri Paesi che esportano anche nella nostra Isola massacrando le nostre produzioni”.
Gioia ha ricordato la sua esperienza di dirigente generale del dipartimento Agricoltura della Regione. Fu lui, nel 2009, a disporre i primi controlli sulle navi cariche di grano che arrivavano – e che arrivano ancora oggi – in Sicilia. Controlli interrotti, perché il Governo regionale dell’epoca gli tolse l’incarico di dirigente generale.
“Oggi – ha concluso Gioia – i controlli potrebbero essere effettuati dall’Ente di Sviluppo Agricolo (ESA), che dovrebbe essere trasformata in Agenzia di sviluppo, occupandosi, anche, dei controlli sulla salubrità delle derrate alimentari che arrivano in Sicilia”.
Saverio De Bonis (foto sotto) ha portato in Sicilia la testimonianza di GranoSalus,
“Il nostro sforzo – ha detto De Bonis – è stato ed è ancora quello di portare chiarezza nel mercato del grano duro italiano. Sin da quando siamo partiti abbiamo avuto chiaro che avremmo dovuto lottare contro il gigante della globalizzazione dei mercati. All’inizio è stata dura. Ma adesso, piano piano, la nostra battaglia, dal basso, contro le storture della globalizzazione comincia a segnare qualche successo”.
GranoSalus è l’associazione che ha promosso i controlli di qualità sulla pasta e sulle semole. Scoperchiando il pentolone del glifosato e delle micotossine DON presenti in alcuni grani duri importati in Italia e, di conseguenza, nella pasta industriale prodotta anche con questi grani duri. Questa battaglia è stata sposata, in Sicilia, dal movimento I Nuovi Vespri, che con il proprio blog ha dato forza e visibilità ai contenuti culturali della battaglia di GranoSalus.
Non è un caso gli uomini e le donne di buona volontà della Puglia e della Sicilia abbiano trovato un punto in comune, trattandosi delle due Regioni italiane più importanti per la produzione del grano duro.
De Bonis ha ricordato l’importanza della CUN e della griglia di valutazione tossicologica del grano. Idee innovative, portate avanti con il Movimento 5 Stelle per rivisitare la vecchia legge sulle Borse merci che risale al 1913.
Il senatore del Movimento 5 Stelle ha sottolineato come la battaglia per un grano privo di contaminanti sia fondamentale per la salute e per l’economia italiana. “I due fattori – ha precisato – sono correlati: eliminando dalla nostra dieta i grani tossici si migliora la salute della popolazione che, negli anni successivi, avrà meno bisogno di cure, facendo risparmiare lo Stato italiano”.
Il protagonista di GranoSalus ha detto a chiare lettere che, in Italia, opera “un sistema paramafioso che ricicla grano tossico”. E ha citato il caso della nave con 5 mila tonnellate di grano duro del Kazakistan bloccato a metà marzo a Pozzallo, in Sicilia.
A margine del convegno De Bonis ha aggiunto:
“Vi siete chiesti perché ci sono voluti più di cinquanta giorni per rispedire in Kazakistan la nave con 5 mila tonnellate di grano duro che, ai controlli, era risultato in parte ammuffito? A noi risulta che le hanno provate tutte per tentare di commercializzare questo grano. E che, se non fosse stato per la responsabile degli uffici della Sanità marittima di Siracusa e Ragusa, una valente dottoressa in medicina che, evidentemente, sapeva il fatto suo, questo grano contaminato sarebbe stato commercializzato. Non è stata la politica che oggi governa la Sicilia e l’Italia a bloccare la commercializzazione di questo grano contaminato, ma un medico. Una battaglia durata più di cinquanta giorni e vinta non certo per merito della vecchia politica. E questo ci deve fare riflettere”.
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