Pene comprese tra 8 e 28 anni di carcere per gli ex vertici del Ros: Mario Mori, Antonio Subranni Subranni e Giuseppe De Donno, l’ex senatore Marcello Dell’Utri, Massimo Ciancimino e i boss Leoluca Bagarella e Antonio Cinà. Lo ha stabilito la Corte d’Assise di Palermo, che oggi si è pronunciata sul processo che va avanti da cinque anni. “Questo processo e questa sentenza sono dedicati a Paolo Borsellino, a Giovanni Falcone e a tutte le vittime innocenti della mafia”.
La trattativa Stato-mafia c’è stata. A gestirla sono stati alcuni boss mafiosi, tre alti ufficiali dei Carabinieri e il fondatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri. E’ la conclusione cui è arrivata oggi la Corte di Assise di Palermo che ha condannato a pene comprese tra 8 e 28 anni di carcere per la cosiddetta trattativa Stato-mafia gli ex vertici del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, l’ex senatore Marcello Dell’Utri, Massimo Ciancimino e i boss Leoluca Bagarella e Antonio Cinà
Nel dettaglio, gli ex vertici del Ros Mario Mori e Antonio Subranni sono stati condannati a 12 anni per minaccia a corpo politico dello Stato.
A 12 anni, per lo stesso reato, è stato condannato l’ex senatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri.
A 28 anni, sempre per minaccia a corpo politico dello Stato, è stato condannato il capo mafia Leoluca Bagarella. Sempre per lo stesso reato dovrà scontare 12 anni il boss Antonino Cinà.
L’ex ufficiale del Ros Giuseppe De Donno, per le stesse imputazioni, ha avuto 8 anni.
Massimo Ciancimino, accusato in concorso in associazione mafiosa e calunnia dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro, ha avuto 8 anni.
Assolto, invece, l’ex ministro democristiano, Nicola Mancino. Prescritte le accuse nei confronti del pentito Giovanni Brusca.
La sentenza è arrivata dopo cinque anni e oltre 200 udienze, in cui sono stati ascoltati centinaia di testimoni.
“Questo processo e questa sentenza sono dedicati a Paolo Borsellino, a Giovanni Falcone e a tutte le vittime innocenti della mafia”.
Lo ha detto il Pm del pool che ha istruito il processo sulla trattativa Stato-mafia, Vittorio Teresi, dopo la lettura del dispositivo.
“E’ stata confermata – ha aggiunto Teresi – la tesi principale dell’accusa che riguardava l’ignobile ricatto fatto dalla mafia allo Stato a cui si sono piegati ‘pezzi’ delle istituzioni. E’ un processo – ha concluso – che andava fatto ad ogni costo”.
Intervistato da affariitaliani.it, Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, commenta così:
“Voglio vedere chi continuerà a parlare di presunta trattativa. Voglio vedere che cosa diranno quelle persone che hanno sempre negato l’esistenza della trattativa o che magari l’hanno giustificata”.
Ma c’è un però. Precisa Salvatore Borsellino:
“Come al solito la politica non è stata toccata. È stato condannato Dell’Utri, ma credo che mancassero altri politici alla sbarra di questo processo. Si tratta di una giustizia parziale, ma questa sentenza costituisce comunque una pietra miliare”.
E ancora: “Ci saranno altri gradi di giudizio e la strada è ancora lunga, ma questa è sicuramente una svolta che indica una strada. Una strada lunga e piena di ostacoli ma che finalmente è stata imboccata”.
Parla anche il pm, Nino Di Matteo, simbolo di questo processo:
“Che la trattativa ci fosse stata non occorreva che lo dicesse questa sentenza. Ciò che emerge oggi e che viene sancito dalla sentenza è che pezzi dello Stato si sono fatti tramite delle richieste della mafia. Mentre saltavano in aria giudici, secondo la sentenza qualcuno nello Stato aiutava Cosa nostra a cercare di ottenere i risultati che Riina e gli altri boss chiedevano”.
“È una sentenza storica – aggiunge Di Matteo -. Questa sentenza, dopo cinque anni, riconosce che parte dello Stato negli anni delle stragi trattava con la mafia e portava alle istituzioni le richieste di Cosa nostra. Per la prima volta vengono consacrati i rapporti esterni della mafia con le istituzioni negli anni delle stragi ed è significativo che questa sentenza abbia riguardato un periodo in cui erano in carica tre governi diversi: quello Andreotti, quello Ciampi e quello Berlusconi”.
Torneremo a parlare di questa sentenza – che scatenerà certamente un vespaio di polemiche – con un commento di approfondimento.