La crisi della Catalogna può continuare ad essere ignorata?

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Le idee si possono e si devono discutere. Ma non si può imprigionare – come sta facendo il Governo spagnolo con gli indipendentisti catalani – chi propugna democraticamente tali idee. I catalani non sono terroristi. E la UE, in questa vicenda, non sta facendo una bella figura. Anzi. Per fortuna, nel mondo, si levano voci in favore di questo popolo in lotta per la libertà. E anche in Sicilia di manifesta in difesa dei catalani 

di Andrea Piraino

Ma veramente la Spagna e l’Unione Europea (e, naturalmente, tutti i Paesi che compongono quest’ultima, a cominciare dal nostro) pensano di poter seppellire la vicenda dell’indipendenza della Catalogna nella tomba di silenzio che hanno fatto calare sulla questione? Veramente credono che i Popoli europei siano così imbecilli da non capire che dietro la storia dell’indipendentismo catalano le forze retrive del centralismo autoritario stanno giocando una partita spregiudicata per tagliare le ali alla democrazia ed al diritto di autodeterminarsi dei Popoli?

Ancora: è possibile che il Governo spagnolo guidato da Mariano Rajoy sia così stupido o spregiudicato da pensare che la crisi catalana sia circoscrivibile ad una faccenda domestica e non interessi per nulla l’opinione pubblica europea ed internazionale?

Si può fare passare per ribellione e sovversione il Movimento di un Popolo, guidato da leader democraticamente eletti, che non si è mai, in nessuna circostanza, macchiato di alcun atto di violenza ed ha sempre manifestato le sue opinioni a mani nude?

E di questo Popolo in cammino verso traguardi ulteriori di libertà e democrazia si possono imprigionare ed anche fare arrestare da altri Paesi i dirigenti con l’intenzione di farli condannare ad una pena fino a 30 anni di reclusione come fossero pericolosissimi terroristi che hanno attentato alla sicurezza della Spagna e dell’Europa?

Naturalmente, la risposta a tutte queste domande non può che essere una ed una sola. No! Non è possibile che in un Paese democratico vengano fatti “prigionieri politici” cittadini incensurati, per di più investiti di ruoli di rappresentanza popolare, che abbiano soltanto tentato di attuare le loro idee con metodi assolutamente pacifici e rispettosi del principio del confronto e del dialogo politico.

No! Non è possibile che un Governo europeo quale quello di Rajoy, supportato incredibilmente anche dal Partito socialista, abbia prima rifiutato qualsiasi possibilità di dialogo politico e poi accusato i leader del Movimento indipendentista di agire in modo unilaterale e ribellistico. E lo stesso giudizio va espresso anche in ordine all’azione di Re Felipe VI che, pur essendo “simbolo dell’unità” dello Stato, allorché chiamato ad “arbitrare” la regolarità del funzionamento delle istituzioni nella vicenda catalana, lungi dall’usare quella “moderazione” che pretende il primo comma dell’art. 56 della Costituzione spagnola, ha assunto una risentita posizione di parte schierandosi pregiudizialmente ed apertamente con il Governo di Madrid.

A fronte di questa generale e radicale critica al modo di gestire la crisi da parte del Governo spagnolo, però, il fatto sconcertante è che essa, finora, è rimasta incomprensibilmente inespressa. L’opinione pubblica, i mass media, i social network non hanno saputo fare di meglio che ignorare il caso balbettando qualche riprovazione solo per le azioni violente della polizia statale spagnola in occasione delle varie manifestazioni popolari, ma evitando accuratamente di prendere posizione contro l’ottusità del Governo centrale di Madrid e soprattutto contro il pilatesco atteggiamento degli organi dell’UE che di uno dei più europeisti popoli del vecchio Continente ha deciso di fare un pericolo pubblico da sventare e, comunque, reprimere.

Per non dire della Politica e dei Governi di tutti gli altri Stati europei che, ormai preoccupati soltanto di preservare se stessi ed i loro equilibri interni, hanno fatto finta che la Catalogna appartenesse ad un altro pianeta disabitato. E ciò anche da parte di quelle forze politiche populiste e nazionaliste che del loro rapporto con il Popolo e con i suoi “diritti di nascita” hanno fatto la ragion d’essere della loro esistenza e battaglia contro un’Europa unita dagli interessi della globalizzazione.

Ma il massimo di indifferenza si è toccato nel nostro Paese. Dove né una forza politica, né un singolo leader, né un intellettuale, né una Università, né una associazione di studenti universitari (che hanno fatto l’Erasmus in una delle Università catalane) ha profferito parola. Nemmeno quelle Regioni (Lombardia e Veneto) che, in evidente emulazione di quanto avvenuto proprio in Catalogna, hanno voluto celebrare un referendum popolare per rafforzare l’aspirazione ad ottenere “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” secondo quanto previsto dall’art. 116, terzo comma, della nostra Costituzione.

Insomma, bisogna riconoscere con grande amarezza che finora il problema è stato rimosso. E ciò non perché si sarebbe dovuto dare necessariamente ragione alle posizioni assunte dal Parlamento catalano e giustificare la dichiarazione di indipendenza dalla Spagna. Queste sono scelte ampiamente discutibili. Se non per il merito. Sicuramente per il metodo. Tenuto anche conto della ‘lettera’ della Costituzione spagnola del 1978.

Ma non è questo il punto. Ciò che invece non è accettabile è che non si sia detto nulla sull’azione di forza dispiegata dal Governo madridista, giustificata con argomenti che richiamano teorie della costituzione e del diritto ormai sempre più obsolete perché risalenti all’idea che quest’ultimo sia forza, ancorché legittimata dal consenso popolare, e non prudenza guidata dal metodo del confronto, del dialogo, della comprensione.

Vedremo in altra circostanza che è tutto qui, in questa concezione delle istituzioni e del diritto, lo scontro tra la giovane Catalogna proiettata nel mondo futuro e la vecchia Castiglia ancorata a visioni dei secoli passati.

Ciò che, però, ora importa rilevare è che finalmente qualche cosa si muova. Prima il duro editoriale del Times contro il Governo spagnolo. Poi la richiesta del New York Times alla Germania (dove è detenuto) di un gesto di conciliazione nei confronti del presidente Puigdemont. Ed ora l’appello, dalle colonne del quotidiano francese Le Monde, di alcuni intellettuali italiani e francesi (Roberto Saviano, Daniel Pennac, Erri De Luca, Jean Marie Laclavetine) di liberare immediatamente i cittadini catalani incarcerati per le loro convinzioni politiche.

Sono tutte importanti prese di posizioni che cominciano, innanzi tutto, a chiarire che i detenuti catalani sono tutti “prigionieri politici” poiché, come dice l’appello di Le Monde, “le opinioni e le convinzioni si possono discutere, non mettere in prigione”. E poi a farci capire che le opinioni pubbliche delle maggiori Democrazie del mondo convergono sempre più nel giudicare l’azione del Governo spagnolo reazionaria e repressiva, liberticida dell’autodeterminazione del Popolo catalano ed oppressiva delle sue libertà politiche e civili.

Ma ciò che è ancora più importante rilevare è che questi giudizi espressi da sì autorevoli tribune hanno cominciato ad avere effetti di mobilitazione popolare in diverse Comunità europee, a partire dalla mia Sicilia dove il 30 marzo u.s., anniversario dei Vespri siciliani del 1282, si è tenuta una bella manifestazione di solidarietà al popolo catalano che lascia ben sperare per un risveglio sempre più ampio delle coscienze democratiche e della solidarietà autonomistica. L’importante, ora, è che non ci si fermi qui e si continui ad andare avanti in questa direzione con iniziative che coinvolgano soprattutto la politica, ahinoi, sempre più assente dai luoghi topici delle vicende dei Popoli.

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