Non solo l’ortofrutta e il grano che arrivano in Sicilia e nel resto d’Italia sono, spesso, di cattiva qualità. Ma, come si illustra in un articolo molto interessante scritto da un agronomo, proprio a causa dei lunghi viaggi sulle navi e negli aerei, provocano l’emissione di gas a effetto serra. La necessità di puntare su prodotti a km zero per tutelare salute umana e ambiente
Già è un errore far invadere l’Italia di grano duro estero, soprattutto se fallimentari politiche agricole hanno portato all’abbandono di 600 mila ettari di seminativi nel Mezzogiorno. Ma è folle far arrivare nel nostro Paese – com’è avvenuto con la nave bloccata nei giorni scorsi nel porto di Pozzallo – grano duro pieno di muffe (COME POTETE LEGGERE QUI).
C’è, poi, un altro aspetto – legato alla tanto mitizzata globalizzazione dell’economia – che non va assolutamente trascurato: l’inquinamento provocato dal trasporto di queste derrate alimentari.
A fare il punto della situazione sull’inquinamento dell’ambiente legato al trasporto di prodotto agricoli da una parte all’altra del mondo è un’interessante articolo di Guido Bissanti, agronomo, nel giornale on line Un mondo ecosostenibile:
“Quando i fautori del libero mercato parlano come di una conquista moderna non conoscono molto probabilmente le più elementari leggi della termodinamica. Le masse per poter viaggiare richiedono grandi apporti di energia e questa viene fornita a discapito dell’emissione di gas a effetto serra. E le maggiori emissioni si hanno proprio con le lunghe percorrenze e con i trasporti aerei e con la cattiva abitudine di consumare prodotti fuori stagione e spesso provenienti da emisferi diversi”.
A questo punto nell’articolo si elencano i tanti prodotti agricoli trasportati su aerei e navi che – proprio a causa di questo trasporto – sono fonte di inquinamento per la Terra:
“Tra i prodotti agricoli che inquinano di più troviamo al primo posto le ciliegie del Cile: un chilo di questa frutta percorre quasi 12mila chilometri per arrivare in Italia, con un consumo di 6,9 kg di petrolio e con l’emissione di 21,6 kg di CO2”.
La CO2, per la cronaca, è l’anidride carbonica.
“Seguono al secondo posto – leggiamo sempre nell’articolo – i mirtilli provenienti dall’Argentina, infatti un chilo di questo prodotto, percorrendo più di 11.178 chilometri, consuma di 6,4 kg di petrolio e produce 20,1 kg di CO2. Al terzo posto gli asparagi provenienti dal Perù, con un percorso di circa 10.852 chilometri, un consumo di 6,3 Kg di petrolio ed una produzione di 19,5 kg di CO2, sempre per ogni chilo di prodotto”.
“Le noci californiane – leggiamo sempre nell’articolo – percorrono poi 10.400 chilometri, bruciando oltre 6 Kg di petrolio con una emissione di 18,90 kg di CO2”. Noi ci siamo occupati delle noci californiane in un articolo che abbiamo scritto un anno fa, quando abbiamo segnalato che non soltanto le noci, ma anche altra frutta secca e legumi proveniente dall’estero soppiantano i prodotti siciliani (QUI IL NOSTRO ARTICOLO SULLA FRUTTA SECCA).
Poi l’articolo di Bissanti segnala “le rose prodotte in Ecuador (10.205 chilometri, 5,91 Kg di petrolio e 18,38 kg di CO2 emessa); le more del Messico (10.162 chilometri, 5,88 Kg di petrolio e 18,30 kg di CO2); i cocomeri del Brasile (9.198 chilometri, 5,33 Kg di petrolio e 16,56 kg di CO2); i meloni di Guadalupe (7.800 chilometri, 4,52 Kg di petrolio, 14,05 kg di CO2); i melograni provenienti dalla ‘vicina’ Israele (2.250 chilometri, con 1,30 Kg di petrolio e 4,05 kg di CO2); infine, quelli ‘meno inquinanti’ che risultano essere i fagiolini provenienti dall’Egitto che percorrono 2.132 chilometri, con un consumo di 1,234 Kg di petrolio ed una emissione di 3,84 di CO2”.
“È evidente – si sottolinea sempre nell’articolo – che il libero mercato, soprattutto di moltissimi prodotti agricoli, è un principio illogico sia dal punto di vista ecologico-economico che scientifico. Eppure i Paesi occidentali se ne vantano e lo inseguono anche in barba all’applicazione del protocollo di Kyoto. Ecco perché promuovere il consumo di prodotti locali, di stagione e a chilometro zero (con attenzione ad imballaggi ecologici), che permette di ridurre le emissioni di CO2, e promuove norme ed investimenti che creino la diffusione di mercati che permettono ai produttori locali di vendere i loro prodotti. Solo così si opera nella direzione dell’inversione di rotta ai cambiamenti climatici. Questa è Politica”.
Questo principio vale per tutti i prodotti agricoli che possono essere coltivati nel nostro territorio. Vale per la frutta, per gli ortaggi, per il grano.
Quello che succede con la globalizzazione dell’economia è illogico: si sfruttano i terreni di Paesi lontani, massacrando i lavoratori di tali Paesi con salari da fame; per poi esportare questi prodotti, per esempio in Sicilia (ma anche in tanti altri Paesi del mondo), andando a massacrare gli agricoltori siciliani, che non possono certo competere con i Paesi dove il costo della manodopera è dieci o venti volte inferiore al costo della manodopera della Sicilia!
Per avere che cosa, poi? Per avere frutta e ortaggi che, spesso, sono prodotti con pesticidi che la farmacopea agricola italiana ha bandito da decenni perché dannosi per la salute umana!
Questo folle sistema della globalizzazione dell’economia – che piace tanto al ministro uscente Carlo Calenda, che non a caso ha aderito al PD di Renzi, partito che ha avallato ed avalla questa follia economica! – non solo mette in crisi la nostra agricoltura, ma fa arrivare sulle nostre tavole prodotti agricoli freschi e trasformati (si pensi all’invasione della passata di pomodoro cinese) che, spesso, fanno male alla nostra salute e che, alla fine, appesantiscono i costi della sanità a causa delle tante persone che si ammalano!
E’ il caso della gluten sensitivity (sensibilità al glutine), una patologia simile alla celiachia, provocata dal glutine che finisce nel sangue (COME POTETE LEGGERE QUI e COME POTETE LEGGERE QUI).
In questo scenario la difesa e il rilancio del grano duro del Sud Italia acquista un ruolo centrale. Per questo è importante controllare le navi cariche di grano che arrivano in Sicilia e nel resto d’Italia. E, soprattutto, sono necessarie politiche che puntino al rilancio della coltura del grano duro nel Sud Italia, dalla Sicilia alla Puglia, dalla Basilicata al Molise fino alla Campania.
Anche per la pasta, per il pane, per le pizze e, in generale, per tutti i derivati del grano, vale da regola del km zero.
Per questo è necessario opporsi al CETA, il folle trattato commerciale tra Unione Europea e Canada che, tra le altre cose, prevede l’esportazione, in Europa, di grano duro prodotto nella aree fredde e umide del Canada e fatto maturare artificialmente con il glifosato.
Un trattato commerciale, il CETA, al quale il PD e Forza Italia – nel Parlamento europeo e in Italia – PD e Forza Italia hanno detto sì.
Grazie alla saggezza degli elettori italiani PD e Forza Italia, oggi, sono in minoranza nel nuovo Parlamento nazionale. Dove ci sono tutte le condizioni politiche per dire “No” al CETA, costringendo l’Unione Europea dell’euro a ‘ingoiarselo’…
QUI L’ARTICOLO DI UN MONDO ECOSOSTENIBILE
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