Oggi, 20 febbraio, ricorre l’anniversario della morte – avvenuta a Palermo, nel 1866 – di Rosina Muzio Salvo, poetessa, scrittrice, grande figura femminile, grande siciliana, che visse una vita intensa tra il 1815 e il 1866
Oggi, 20 febbraio, ricorre l’anniversario della morte avvenuta in Palermo nel 1866, di Rosina Muzio Salvo, poetessa e scrittrice, nata a Termini Imerese il 23 dicembre 1815.
Fu di famiglia aristocratica (suo padre era il marchese Giuseppe Salvo di Pietraganzili). A nove anni fu posta in un monastero di Termini, ma ne fu allontanata per la sua vivacità.
Era sorella maggiore dello scrittore Rosario Salvo. A 18 anni sposò il barone Gioacchino Murìzio Ferreri. La sua unica figlia, sopravvissuta di quattro, andò sposa al grande giurista Luigi Sampolo.
Ebbe vivissimo il senso della libertà che fu di ispirazione alle sue poesie e alle sue prose.
Tra le sue opere vanno ricordate: i romanzi Adelina del 1846, Giovanni e Martina, entrambi del 1852 , le novelle Lucia e Dio ti guardi (1862) con ampi riferimento ai fatti del 1860, novelle in versi, Roberto, Matilde e Bice. E poi racconti, studi morali, prose e poesie.
E’ sepolta a Palermo, nel cimitero di S. Maria di Gesù. La sua immagine in medaglione fu scolpita da Domenico Costantino.
“Rosina Muzio Salvo, la poetessa ribelle che aiutava le donne del popolo a studiare”: così la definisce Ester Rizzo in suo scritto del 25 gennaio 2017
La Salvo frequentò i salotti palermitani e molti intellettuali legati ai moti risorgimentali. Costituì una delle prime associazioni femminili siciliane, “La Legione delle Pie Sorelle”, che coordinava gruppi di donne dedite ad opere di carità e all’istruzione delle donne del popolo che non potevano accedere agli studi.
Fu un’attiva propagandista clandestina a favore dei patrioti mazziniani e più volte rischiò di essere arrestata. Diventò pure corrispondente della “Ruota”, un giornale letterario e scientifico.
Nel 1843 si separò dal marito e tornò nella casa paterna portando con sé l’unica figlia sopravvissuta. Nei suoi versi sottolineò come “la donna sia migliore dell’uomo perché poco sedotta da ambizioni. Se le si ferisce il cuore diventa una iena ma avrà sempre un’indole meno ferina dell’uomo che bacia per tradire e agogna il potere per calpestare”.
Nel 1856 iniziò a collaborare al giornale genovese “La donna” dove, in All’erta, sorelle, all’erta, identifica l’uomo con Satana che, celandosi sotto svariate e seducenti forme, non si stanca mai di insidiare le donne.
Firmò anche un articolo contro il ministro Giuseppe La Farina accusandolo palesemente di essere un incompetente. Lo scalpore che seguì costrinse Rosina a “lasciare il palcoscenico della politica agli uomini”.
Foto tratta da teletermini.it
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