Continuiamo a fare i conti in tasca a chi, con l’invasione del Mezzogiorno, risolse non pochi dei suoi problemi finanziari. Trovando anche le risorse per finanziare le guerre contro gli stessi meridionali…
A cura di Franco Busalacchi
Gli avvenimenti del 1860, dal 1 gennaio sino al 7 settembre (giorno dell’ingresso di Garibaldi in Napoli), costarono al Regno delle Due Sicilie la somma di 55.248.618,79 lire, mentre il Piemonte, in quello stesso anno, aumentava il suo debito di altri 150 milioni di lire. Seguiva l’anno 1861 ed il Regno d’Italia s’inaugurava a Torino con un altro debito di 500 milioni di lire. A questa cifra andò ad aggiungersi il disavanzo che, dal 7 settembre 1860 al 31 dicembre 1861, fu accumulato di governi dittatoriale garibaldino, prima, e luogotenenziale sabaudo, dopo, pari a 127.496.812 lire.
A conti fatti, alla fine dell’anno 1861, il debito pubblico piemontese aveva raggiunto i 2 mila milioni di lire, una cifra astronomica per quei tempi, specialmente per un piccolo Stato come il Piemonte. Inoltre, al Sud, con un terzo della totale popolazione italiana, circolava il doppio di moneta che nel resto d’Italia messo insieme. In particolare, al momento dell’annessione, le Due Sicilie possedevano 443.200.000 di lire-oro, mentre tutti gli altri Stati pre-unitari insieme ne avevano 225.200.000; il Regno di Sardegna, in particolare, possedeva appena 27.000.000 di lire-oro. Ma c’è di più. Nel Regno di Piemonte, le riserve auree garantivano solamente un terzo della carta-moneta circolante (vale a dire che 3 lire di carta valevano 1 sola lira d’oro); nelle Due Sicilie, invece, venivano emesse principalmente monete d’oro e d’argento, e le riserve coprivano interamente quel poco di valuta cartacea ivi esistente. La valuta piemontese era, quindi, carta straccia, mentre quella napoletana era solidissima e convertibile per sua propria natura: una moneta borbonica aveva un suo valore intrinseco, in quanto la quantità d’oro o d’argento in essa contenuta aveva valore pressoché uguale a quello nominale. In parole povere, mentre il Regno delle Due Sicilie era pieno di soldi, il Piemonte era pieno di debiti, tanto che, senza tema di smentita, possiamo affermare che l’impoverimento del Meridione per arricchire il Nord non fu la conseguenza, ma la ragione dell’Unità d’Italia. E solamente da questo punto di vista la spedizione dei Mille può essere considerata come un… «investimento» per i piemontesi! Oltremodo appropriata appare la colorita affermazione di Giacinto de’ Sivo: «…Torino fe’ debiti per 24 volte più di noi… e Torino, più non avendo da mangiare, venne a mangiar Napoli».
Infatti, «senza il saccheggio del risparmio storico del Paese borbonico, l’Italia sabauda non avrebbe avuto un avvenire. Sulla stessa risorsa faceva assegnazione la Banca Nazionale degli Stati Sardi. La montagna di denaro circolante al sud avrebbe fornito 500 milioni di monete d’oro e d’argento, una massa imponente da destinare a riserva, su cui la banca d’emissione sarda, che in quel momento ne aveva soltanto per 100 milioni, avrebbe potuto costruire un castello di carta-moneta bancaria alto 3 miliardi…», scriveva Zitara, per poi concludere: «insomma, per i piemontesi, il saccheggio del Sud era l’unica risposta a portata di mano, per tentare di superare i guai in cui s’erano messi».
In sostanza, il Sud fu costretto a pagare tutte le spese di guerra del Piemonte, anche quelle sostenute per combattere i meridionali stessi! Sotto il profilo squisitamente storico degli avvenimenti, è ormai stucchevole la solita vulgata risorgimentalista, da Calatafimi (la vittoria comprata),alla conquista di Palermo conseguita da 3,000 garibaldini mentre 25.000 soldati borbonici venivano lasciati in caserma e non fatti scendere in campo.
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