Del glifosato e dei suoi effetti sull’uomo si parlerà il 25 novembre, a Matera, nel corso del Simposio nazionale sul Grano. Interverrà, tra gli altri, la direttrice del ‘Centro Ricerca Tumori Ramazzini’ di Bologna, Fiorella Belpoggi. Facciamo il punto della situazione sul controverso erbicida alla luce delle attuali conoscenze scientifiche
Torniamo a parlare del glifosato, l’erbicida più diffuso al mondo. Lo facciamo cominciando a leggere un articolo pubblicato dal sito di GranoSalus, che cita una notizia:
“Il glifosato altera il sistema ormonale. Non è più un sospetto. Lo ha dichiarato apertamente in una intervista televisiva a Report la dottoressa Fiorella Belpoggi, Direttore del ‘Centro Ricerca Tumori Ramazzini’ di Bologna. E verrà a dimostrarlo anche a Matera in occasione del prossimo Simposio Nazionale sul Grano che si terrà il prossimo 25 novembre nella città dei Sassi. Nel frattempo a Bruxelles si continua a decidere di non decidere, in attesa di una nuova mediazione prevista per fine mese”.
A Matera, nel corso di un convegno internazionale sul grano, si parlerà anche del glifosato. Il tema, come già accennato, verrà affrontato dalla scienziata Fiorella Belpoggi, che in unì’intervista al Salvagente afferma:
“I primi risultati del nostro studio sugli effetti del glifosato non sono sufficienti per definirlo cancerogeno, ma è certa l’interferenza endocrina capace di condizionare lo sviluppo sessuale”.
Noi siamo andati a riprendere alcuni passi di un’intervista che la dottoressa Belpoggi ha rilasciato a Non solo ambiente.it nel marzo dello scorso anno (e che potete leggere per esteso in alce a questo articolo):
“Conobbi il tema del glifosato e cominciai a lavorarci 4 anni fa, quando fui chiamata a un’audizione al Parlamento europeo per parlare delle linee guida per la valutazione delle sostanze cancerogene. La produttrice principale era la Monsanto, veniva irrorato sui campi per seccare mais e soia in modo da evitare la produzione di muffe. Il prodotto più diffuso, il Roundup, ha un brevetto (il brevetto della Monsanto è scaduto nel 2000) molto antico, il suo uso era già una prassi nell’agricoltura industriale del dopoguerra e le strisce gialle di erba secca da esso causate sono visibili anche nei giardini di casa, nei parchi, nelle scuole. All’epoca certo non si immaginava che potesse contaminare acqua, frutti e piante. Nel 2013 fui poi contattata da un gruppo di ricercatori inglesi, americani e russi, che mi chiesero se fossi stata disponibile a pianificare insieme a loro un progetto integrato denominato Factor GMO, coordinato dall’Accademia delle Scienze Genetiche di Mosca. La ricerca, partita nel Novembre 2014, coinvolgeva finanziatori da ogni angolo del globo e impiegava scienziati ricercatori di altissimo livello, tutti partecipanti volontari. Inizialmente lo studio si compose da un lato di una parte epidemiologica da svolgere negli Usa, dall’altro di un’analisi sui ratti riguardante l’alterazione del microbioma intestinale e la cancerogenesi. C’erano tutti gli end-point che avrebbero fatto luce su quegli aspetti della sostanza rilevati, ma non approfonditi a sufficienza dagli studi industriali. Lavorai al progetto per un anno, presentandolo a scienziati governativi americani e condividendo il protocollo con quelle figure che, a livello internazionale, si occupavano di risk assessment e che ritenevano che lo studio andasse fatto in un certo modo per risolvere le incertezze. La raccolta fondi a livello internazionale non si è ancora conclusa e, quindi, per non ritardare troppo i tempi, abbiamo deciso di partire con l’autofinanziamento della ricerca da parte dell’Istituto Ramazzini, almeno per la fase preliminare allo studio di cancerogenesi”.
Interessante anche questo passaggio dell’intervista:
“Mentre partiva lo studio Factor GMO si misero a lavorare anche IARC e BSR per la valutazione del glifosato. Il dossier di quest’ultima fu trasferito, senza modifiche, all’EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare). Lo IARC (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) è sinonimo di una valutazione scientifica compiuta da esperti del mondo accademico, studiosi che vantano un’indipendenza intellettuale enorme nel valutare i dati. Sono arrivati alla conclusione che il glifosfato fosse un probabile cancerogeno, ma, con qualche dato in più, avrebbero parlato di evidenza cancerogena. È difficile capire come gli stessi identici dati abbiano dato un risultato opposto al tavolo dell’EFSA. Ma il punto è un altro. Entrambi i giudizi rivelano un fattore comune: l’insufficienza dei dati a disposizione per una sufficiente evidenza di cancerogenicità. Rimandare il giudizio sull’uso del glifosato non basta, di fronte all’incertezza l’Europa dovrebbe promuovere uno studio integrato omnicomprensivo con un pathology working group indipendente, e fornire così dati adeguati per una solida valutazione e quantificazione del rischio”.
Segnaliamo ai nostri lettori anche una seconda intervista alla dottoressa Belpoggi pubblicata nei giorni scorsi da euronews (che trovate, sempre per esteso, in calce a questo articolo). Ecco una sintesi dei risultati ottenuti dalla ricerca sugli effetti provocati dal glifosato:
“Ritardi nello sviluppo sessuale delle femmine, frammentazione del DNA dei cromosomi nelle femmine e nei maschi, alterazione della flora batterica intestinale nel primo periodo della vita, cioè dalla nascita fino al primo sviluppo sessuale. Ai neonati, durante l’allattamento, evidentemente, arrivava attraverso il latte. Poi bevevano l’acqua perché si svezzano abbastanza presto, e quindi il loro intestino, nei piccoli, ha subito delle alterazioni importanti, statisticamente significative. Un altro risultato che abbiamo già visto è un danno ai reni nelle madri gravide. I reni sono organi molto sensibili al sovraccarico tossico, unite al glifosato queste patologie sono risultate molto evidenti. Per ora questi sono i dati che abbiamo in nostro possesso. Secondo me mostrano già problematiche a sufficienza per dire: blocchiamo questa sostanza, no? Perché dobbiamo arrivare al cancro? Questi sono dati sicuri che ho prodotto nel mio laboratorio al Mount Sinai di New York (il Mount Sinai Hospital, fondato nel 1852, è uno dei più antichi e grandi ospedali didattici degli Stati Uniti. Nel 2011-2012, è stato classificato dalla rivista News & World Report come uno dei migliori ospedali degli USA per 12 specialità mediche e all’Istituto tumori di Genova)”.
La ricercatrice non nasconde i problemi che lei e il suo gruppo di lavoro stanno incontrando:
“E’ vero che da anni siamo senza soldi pubblici, in Italia. In Europa li abbiamo solo perché partecipiamo ai consorzi, e a delle call pubbliche europee, ma non abbiamo fondi. Quest’anno c’è stato un piccolo segnale di 30 mila euro dall’INAIL. È poco, però è positivo, mi ha fatto un gran piacere. Poi il condizionamento esiste anche attraverso altre strade, magari indirettamente. Avrà visto sicuramente questa triangolazione degli attacchi dell’industria, dei senatori americani al National Institute of Environmental Science, la IARC e noi, in particolare a me. Un triangolo di distruttori dell’umanità! Semplicemente perché siamo rimasti, più o meno, i baluardi della scienza indipendente e qualificata”.
“L’Istituto Ramazzini – leggiamo nel sito di GranoSalus – ha inviato al governo, in particolare al ministro delle Risorse agricole e alimentare, Maurizio Martina, i primi rilievi emersi dallo studio-pilota al fine di proporre all’Europa di autorizzare l’uso del glifosato per non più di 5 anni”.
“Sul punto, però – leggiamo sempre nell’articolo di GranoSalus – anche se la scienza non può appellarsi al principio di precauzione, ci viene in soccorso il diritto comunitario di cui il principio di precauzione rappresenta un pilastro importante. Di questo ed altro si parlerà nel Simposio di Matera il 25 novembre prossimo”.
E l’Unione Europea che fa? “Gli Stati membri, in merito alla richiesta della Commissione di riautorizzare per altri 10 anni l’uso del glifosato, hanno nuovamente deciso di non decidere, nonostante la proposta di riduzione a 5 anni, rinviando a fine mese la prossima decisione. Gli esiti del voto sono i seguenti: 14 Paesi hanno votato a favore, 9 contro (tra cui l’Italia) e 5 si sono astenuti: non abbastanza per la necessaria maggioranza qualificata”.
“Ora la situazione si complica – prosegue l’articolo di GranoSalus – perché l’attuale autorizzazione della Monsanto scade il 15 dicembre: per questo la Commissione ha convocato a fine novembre una riunione per sottoporre una nuova proposta. Se anche l’ultima mediazione dovesse fallire, la Commissione ha la possibilità di approvare in ultima istanza il rinnovo anche senza l’ok degli Stati membri”.
“GranoSalus non vuole glifosato nella pasta, nelle semole e nel pane – conclude l’articolo -. GranoSalus, da tempo, invoca misure coerenti sul glifosato importato. E’ necessario che le misure precauzionali introdotte a livello nazionale riguardino coerentemente anche l’ingresso in Italia di prodotti stranieri, come il grano proveniente dal Canada dove viene fatto un uso intensivo di glifosato, che ritroviamo nella pasta, semola e pane”.
Proprio in queste ultime settimane GranoSalus e I Nuovi Vespri hanno pubblicato i risultati sulle analisi promosse su alcune semole italiane (CHE POTETE LEGGERE QUI E CHE POTETE LEGGERE ANCHE QUI).
La battaglia per bandire il glifosato dalla nostra vita non è facile. basti pensare che la Monsanto – la multinazionale americana che ha lanciato questa sostanza nel mercato internazionale degli erbicidi – è stata di recente acquistate dalla tedesca Bayer (COME POTETE LEGGERE QUI).
Eliminare il glifosato, poi, significherebbe mettere in discussione una parte del CETA, il trattato internazionale tra Unione Europea e Canada che consente a quest’ultimo Paese di importare in Europa il grano duro canadese che contiene glifosato (COME POTETE LEGGERE QUI).
Articoli da leggere.
Di seguito l’articolo pubblicato da Nonsoloambiente.it
Qui di seguito l’articolo pubblicato da euronews:
Qui di seguito un nostro articolo:
Qui di seguito l’articolo per esteso di GranoSalus:
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