All’indomani delle elezioni ci si interroga su cosa possa spingere un siciliano a votare per Salvini. C’è chi, come Pippo Scianò, parla di alienazione culturale. E c’è chi, come Carlo Bonaccorso, si spinge oltre. Ricordandoci che il popolo siciliano non è stato sempre così passivo, ma che se oggi siamo al punto in cui siamo….
Astensionismo e voti alla Lega Nord: all’indomani delle elezioni regionali siciliane che, come sappiamo, hanno decretato la vittoria del centrodestra e di Nello Musumeci (leader storico della destra siciliana), ci si interroga su questi due fenomeni che in verità meriterebbero analisi sociologiche (e forse psicologiche) approfondite. Sull’astensionismo abbiamo detto tutto quello che, a nostro avviso, c’era da dire già prima di domenica: di fatto chi non ha votato- va da sé che non ci riferiamo a chi è stato impossibilitato a farlo- ha contribuito alla vittoria dei soliti noti. Non votare è già una scelta che aiuta chi vuole mantenere lo status quo. Con buona pace di chi pensa che sia una forma di protesta: non lo è, non porta a nulla e a nulla di nuovo.
Ad urne aperte poi, scopriamo anche un discreto numero di siciliani ha votato per la lista della Lega Nord. E’ vero, in quella lista c’erano anche esponenti di Fratelli d’Italia, ma cambia poco. Al suo interno ci sono esponenti fieri di appartenere al partito di Salvini. Già questo dovrebbe bastare a dirottare il voto altrove perché, checché se ne dica, quello è un partito che da sempre, al di là delle parole, rappresenta gli interessi dei territori del Nord Italia. Che c’azzecca- direbbe qualcuno- un siciliano con Salvini?
A questo proposito ‘rubiamo’ una risposta a Pippo Scianò, presidente del Centro studi Andrea Finocchiaro Aprile, esponente storico dell’indipendentismo, tra i massimi esperti di storia siciliana (quella che non insegnano a scuola) Risponde ad un collega che pone la nostra domanda e dice così: ” IPOTESI PROBABILE: complesso di inferiorità e alienazione culturale. Sono queste, infatti, le principali “malattie sociali” dovute alla condizione coloniale nella quale vive il Popolo Siciliano dal 1860 in poi e per le quali – come ci spiega Frantz Fanon – il “conquistato” finisce con l’identificarsi con il conquistatore e con gli interessi di quest’ultimo…”.
Si tratta ovviamente di una risposta estemporanea e conoscendo Scianò sul tema potrebbe scrivere libri, ma il senso è chiaro.
Interessantissima anche la risposta di Carlo Bonaccorso che si sofferma un po’ più a lungo sul tema ponendo l’accento su due aspetti essenziali: 1) non è vero che il popolo siciliano non si è mai ribellato. 2) Se la Sicilia oggi è quello che è, la colpa è di noi tutti. Prenderne atto sarebbe già un primo passo.
Ringraziamo Carlo per questa riflessione che aggiunge nuovi elementi di riflessione rispetto alle analisi più scontate.
Eccola:
“Continuare a parlare di 1860, con tutto il rispetto, è ormai deleterio. D’accordo studiare il periodo risorgimentale e divulgare la verità circa i fatti avvenuti in quella fase storica, ma rifarsi ad esso in una ottica contemporanea, non porta a nulla. Anche perché se andiamo ad analizzare quel periodo che intercorre tra il 1860 e il 1950, ci rendiamo conto dell’esistenza di un popolo siciliano ribelle; molti dei garibaldini furono siciliani, credevano in una Italia unita ma non accettavano la Sicilia come semplice territorio inglobato all’interno di un qualcosa di più grande. E di fatti ne sono un esempio Francesco Ferrara e Paolo Perez , economisti che riconobbero il forte bisogno di autonomia in Sicilia, di autogoverno. Basta citare il Consiglio Straordinario di Stato, ultimo tentativo prima del plebiscito farsa, di considerare il punto di vista dei siciliani circa l’unità. Il 1866 e la Rivolta del Sette e Mezzo, indipendentemente dal suo aspetto di jacquerie o meno, dimostrarono il malcontento di un popolo ridotto alla fame. E soprattutto il senso di protesta ben presente. Il 1892, 32 anni dopo, fu ancora più forte e preoccupante per lo Stato accentratore, in quanto fu il primo vero movimento sindacale dei lavoratori (ancora oggi questo non è riconosciuto), composto da gente che preferiva una bandiera al coltello e al fucile; i suoi promotori non avevano paura di mostrare la loro faccia e dichiarare i loro nomi. Entrambe le rivolte, represse nel sangue.
“Il 1943 – continua Carlo Bonaccorso- vide il Movimento separatista coinvolgere 500000 siciliani, un gruppo armato e un senso di appartenenza alla propria terra che comunque non era mai stato abbandonato dal popolo isolano. La protesta della classe contadina siciliana fu l’ultima vera dimostrazione di forza. Cosa è successo dopo? Niente. Perché? I motivi sono tanti e probabilmente la vera causa della condizione di oggi; la gente era stanca di combattere, voleva la pace. La mafia posò la lupara e il cavallo e iniziò ad indossare giacca e cravatta e a sedersi all’interno dei posti che contano. L’introduzione di mezzi di distrazione ci ha messo il suo, la gente lavorava per potersi permettere la macchina, per mandare i figli all’università, le piazze erano piene di figli di papà che si ammazzavano tra loro e intanto i poteri forti conquistavano potere e il popolo perdeva capacità rivoluzionarie. La Sicilia fu completamente conquistata da Cosa Nostra, strumento di controllo dello Stato e unico interlocutore con cui discutere. L’ideologia neoliberista e capitalista distrusse quel poco di identità che rimaneva”.
“Le persone non sanno più chi sono, semplicemente perché non sono più considerate come tali; si parla di popolo siciliano, ma oggi non esiste niente di tutto ciò e sforzarsi di cercare giustificazioni non ha senso. La gente in Sicilia è colpevole della situazione odierna; vittima, certo, di un sistema potente, ma complice del suo successo. E sarebbe ora di riconoscere questo, invece di continuare a parlare di 1860, di povero popolo oppresso, etc. Siamo colpevoli. Tutti. Riconoscerlo sarebbe già un primo passo”.