Per i liberali, lo Stato non dovrebbe intervenire nelle vicende economiche. Dimenticando che, così, facendo, i più forti massacrerebbero i più deboli. Se ci riflettiamo, è quello che sta avvenendo nel nostro tempo: tempo di liberismo sfrenato e di ‘rigore’ economico. Ma siamo proprio sicuri che questo sia il metodo migliore per gestire una società? La riflessione del filosofo e commentatore, Diego Fusaro
di Diego Fusaro
In un rovesciamento integrale della prospettiva che fu anticamente di Platone e Aristotele e modernamente, sia pure su diverse basi, di Hegel e Fichte, per Hobbes, Locke e la tradizione liberale la comunità non è il prius logico e cronologico, la realtà che permette la genesi e lo sviluppo delle libere individualità. È, al contrario, un momento derivato e secondario, frutto dell’unione di individualità già formate e autonome, che si uniscono in seconda battuta non perché intrinsecamente socievoli e comunitarie, secondo la prospettiva aristotelica, ma perché consapevoli che il loro egoismo acquisitivo può trovare una più libera ed efficace attuazione unicamente nel quadro di una relazione intersoggettiva di tipo concorrenziale; rispetto alla quale la potenza statale è chiamata a svolgere la funzione esclusiva di guardiano notturno e di pouvoir neutre.
Secondo quanto programmaticamente asserito da Hume nel suo testo “Sull’indipendenza del parlamento” (1742), “è giusta la massima politica secondo la quale bisogna presumere che ogni uomo sia una canaglia” (it is a just political maxim that every man must be supposed a knave).
Secondo quanto ebbe a rilevare Wilhelm Röpke, l’ordoliberista fondatore della social market economy, lo Stato dovrebbe limitarsi a “vegliare con assoluta imparzialità e incorruttibilità per la più stretta osservanza delle regole del gioco e della correttezza sportiva” . In ciò e soltanto in ciò starebbe la giustizia.
A questa tesi si potrebbe, non senza buone ragioni, obiettare che difficilmente può definirsi giusta una situazione in cui il massacro del debole si produce senza l’intervento attivo di chi, in teoria, potrebbe e dovrebbe farlo. Giustizia sarebbe, anzi, l’intervento etico di uno Stato che normasse la relazione impedendo al più forte di massacrare il debole.
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Caro Diego,
molto semplicemente noi non siamo una democrazia, perché non è il popolo ad esercitare il potere come ognuno di noi popolo può vedere e constatare.
E parlando di fatti:
l'ultima notizia del folklore di governo, ergo come riflesso della - cultura del potere- è quella per cui il ministro Alfano sarà duro e tosto contro la Corea, espellendone l'ambasciatore in ...Italia: Ambasciatore che non è mai stato accreditato!
Per contro abbiamo rinviato in Egitto , in quell'Egitto del dittatore Al Sisi che sa tutto del trucido assassinio del nostro connazionale Regeni... l' ambasciatore.
Credi che questi fatti possano ascriversi alla volontà di un popolo sovrano?
Potrebbe un popolo siffatto farsi guidare da tale scempio politico in capo a questi ministri, e contro lo stesso popolo? Tu che pensi? Io dico di no.
Allora, vedi che questa "nostra" non è democrazia, ma un ridicolo regime.
Può reggersi un governo, il potere di una nazione con i voti del 2% di Alfano?
Quanta partecipazione di popolo c'è in quel 2% ? e come si può tollerare un governo che non conosce rappresentanza di popolo se non per alchimie dei tanti voltagabbana?
Tutto il resto è conseguenza.
Vedi che cosa fa l'eroico popolo della Catalogna: si sta facendo massacrare dal potere, lo stesso che impedisce a tutto un popolo di esprimersi per la sua indipendenza.
Ma non era la voce di popolo quella di Dio nella "cattolicissima" Spagna e anche altrove?
Io sostengo che per il fatto che si vive una sola volta, ogni popolo ha il diritto di decidere come e con chi vivere.
Ma nemmeno una sola volta questi regimi permettono di vivere.
Perché il potere ha il monopolio della forza. Anche quando il potere ha solo quella forza e se ne serve per abbattere la democrazia.
A dire il vero basterebbe leggere Adam Smith per capire...anzi, per vedere che i liberali erano consapevoli e convinti che lo Stato avesse l'obbligo di eliminare determinate ingiustizie sociali attivandosi per dare a tutti le stesse opportunità di partenza e per fronteggiare quelle degenerazioni causate dalla assenza di limiti.