“La libera elezione dei padroni non abolisce né i padroni né gli schiavi”, ci ricorda Herbert Marcuse. Il liberismo economico – ricorda in una riflessione scritta per noi il filosofo e commentatore, Diego Fusaro – dissolve i vincoli etici della comunità che diventano incompatibili con la dinamica di allargamento smisurato della forma merce in ogni ambito della vita delle persone
di Diego Fusaro
La neolingua del pensiero unico la chiama “democrazia”, quando in verità la nuova società globalizzata e borderless si presenta come una blindatissima oligarchia di miliardari dell’upper class apolide delle global cities di Nuova York e di San Francisco, avallata elettoralmente da plebisciti composti da cittadini dimidiati (e ridefiniti come consumatori), privati tanto della base informativa imprescindibile per una corretta analisi della manipolazione mediatica, quanto dei diritti fondamentali – ancora garantiti nel quadro del capitalismo borghese e proletario – per un’esistenza degna di persone libere.
In questo quadro, la democrazia liberale coincide con l’autogoverno dei ceti possidenti: con le parole di Marcuse, “la libera elezione dei padroni non abolisce né i padroni né gli schiavi”.
Secondo la ragione dominante, si dà piena coincidenza tra democrazia, libertà e capitalismo: sicché chiunque critichi quest’ultimo è esorcizzato senza riserve come nemico anche delle prime due. Per questo, la deeticizzazione neoliberistica prevede la distruzione dello Stato come momento culminante della vita etica borghese, affinché l’economico spoliticizzato diventi la sola realtà sovrana e, in maniera convergente, si dissolvano i vincoli etici della comunità, essi stessi incompatibili con la dinamica di allargamento smisurato della forma merce a ogni ambito.
In questo nuovo contesto, il Signore neofeudale può dominare incontrastato.
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