Un post su facebook di Ignazio Coppola, con una pregevole citazione tratta dalle opere di Francesco Saverio Nitti, fa giustizia di tutti i disinformati (o “scrittori salariati”, come li definiva Gramsci) che scrivono e blaterano sullo stato delle finanze del Regno delle Due Sicilie prima della disgraziata unificazione del 1860. Quando Nitti parla di finanze è difficile che sbagli, visto che nei primi del ‘900 il suo testo di Scienza delle Finanze veniva adottato dalle università di mezzo mondo
Il tema non è nuovo: il Regno delle Due Sicilie era più ricco del Regno di Sardegna? Insomma, nel Sud Italia, prima dell’unificazione – o presunta tale – del 1860 si stava meglio o peggio?
Ci sembra molto interessante un post pubblicato su facebook da Ignazio Coppola, che come i nostri lettori sanno è un collaboratore apprezzato di questo blog. Coppola riposta un passo di un grande meridionalista, Francesco Saverio Nitti, che ha giustizia delle bugie interessate che quelli che Antonio Gramsci, sempre a proposito della questione meridionale, definiva “scrittori salariati”, ovvero gli storici, o presunti tali, che ancora, su tale tema, negano la verità dei fatti.
leggiamo insieme la citazione di un passo degli scritti di Nitti:
“Ciò che è certo è che il Regno di Napoli era nel 1857 non solo il più reputato d’Italia per la sua solidità finanziaria – e ne fan prova i corsi della rendita – ma anche quello che, fra i maggiori Stati, si trovava in migliori condizioni. Scarso il debito, le imposte non gravose e bene ammortizzate, semplicità grande in tutti i servizi fiscali e della tesoreria dello Stato. Era proprio il contrario del Regno di Sardegna, ove le imposte avevano raggiunto limiti elevatissimi, dove il regime fiscale rappresentava una serie di sovrapposizioni continue fatte senza criterio; con un debito pubblico enorme, su cui pendeva lo spettro del fallimento. Bisogna, a questo punto, riconoscere che, senza l’unificazione dei vari Stati, il Regno di Sardegna per l’abuso delle spese e per la povertà delle sue risorse era necessariamente condannato al fallimento. La depressione finanziaria, anteriore al 1848, aggravata fra il ’49 e il ’59 da una enorme quantità di lavori pubblici improduttivi, avea determinato una situazione da cui non si poteva uscire se non in due modi: o con il fallimento, o confondendo le finanze piemontesi a quelle di altro Stato più grande”.
“Ed infatti – commenta Ignazio Coppola – è quello che avvenne dopo il 1860 con l’unificazione e la confusione della disastrose finanze piemontesi con quelle floride e rigogliose condizioni economiche del regno delle Due Sicilie. Per cui il Sud fu costretto ad accollarsi l’enorme debito accumulato negli anni precedenti l’Unità d’Italia dal regno di Sardegna. Questo per la verità dei fatti”.
Questo scritto è importante perché Nitti, nato a Melfi, in Basilicata, nel 1868 e morto Roma nel 1956, oltre che essere stato un grande uomo politico è stato anche – e forse soprattutto – un grande meridionalista e un grande economista.
Quando Nitti parla di condizioni economiche del Mezzogiorno d’Italia bisogna seguirlo attentamente, non tanto e non soltanto perché, come già ricordato, è stato un meridionalista, ma soprattutto perché nel suo lavoro di economista è stato un’autorità, in Italia e in altri Paesi del mondo.
Nitti, di mestiere, era professore di Scienza delle finanze e diritto finanziario presso l’Università di Napoli e conosceva a fondi i problemi dell’agricoltura italiana e meridionale.
“La scienza delle finanze“, pubblicata ne 1903, è considerata universalmente la sua opera più importante. Un volume che, all’epoca, ebbe una distribuzione a livello mondiale, se è vero che fu tradotta russo, in francese, in giapponese, in spagnolo e in portoghese. Un testo adottato in Italia, nell’Europa centrale, in Russia e in Sudamerica.
Quando Nitti scrive delle condizioni economiche del Sud Italia prima dell’unificazione lo fa con cognizione di causa: con la conoscenza che gli derivava dai suoi studi, dalla sua profonda conoscenza dell’economia del Sud e della Scienza delle finanze e, anche, dal fatto di essere stato molto vicino a un altro grande meridionalista, Giustino Fortunato.
Questo ci dice che chi scrive cose diverse, su questo tema, da quello ha scritto Nitti, o è in malafede (e qui torniamo agli “scrittori salariati”…), o non conosce le cose.
Il resto sono chiacchiere.
Foto tratta da parcofedericosecondo.it
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con tutti questi post sulla vera storia dell'Italia come mai ancora oggi dopo quasi 160 anni ancora i ragazzi a scuola debbano studiare una storia falsata??? a chi giova oggi tutto ciò?????? senza parole!!!!!!!!!!!!!!! siamo in mano a dei signor nessuno
Quando nella seconda metà del
settecento, nel meridione d'Italia
fioriva il Barocco e il Liberty, in
pieno boom economico, nel nord
Italia si diffondeva una strana
malattia chiamata Pellagra, che
cresceva di pari passo con i consumi
di polenta, un problema molto
esteso in quelle regioni, specie
nel nord est della pianura padana.
Secondo la prima indagine sanitaria
dell'Italia unita, nel 1878, oltre 200
mila persone in Italia ne erano
affette, quasi tutti contadini, 9 su
10 vivevano nel nord Italia. La
pellegra, termine preso dal
dialetto lombardo, diminuì con
il diffondersi di una dieta più
varia, ma nel nord Italia
continuò a fare vittime fino al
secondo dopoguerra (1945)
fino a chè non migliorarono
le condizioni di vita di quelle
popolazioni. La pellagra è
stato lo sfacelo delle campagne
della pianura padana, la si
credette per secoli causata da
un'infezione del mais, ma era
colpa della miseria e non della
polenta. Nel 1881, grazie ad
ingenti finanziamenti pubblici
fu diffusa nel nord Italia, una
alimentazione sulla base di
quella mediterranea, già,
quella del sud Italia, dove
questa malattia era
completamente sconosciuta.
Ma cosa faremmo senza i "revisionisti"? Chi avrebbe mai supposto che in Sicilia il "Liberty" sarebbe fiorito "nella seconda metà del Settecento", in anticipo di ben centocinquanta anni rispetto al resto d'Europa ? Un architetto eclettico avrebbe addirittura potuto progettare un edificio stilisticamente Liberty e Barocco insieme, visto che "fiorivano" contemporaneamente. Ma allora, la chiesa palermitana di S. Giuseppe dei Teatini, completata nel 1645, in che stile sarà ? Se lo saranno chiesti i palermitani, vigorosi e robusti, che la affollavano ? Vero è che secondo Cacioppo la vita media nella Palermo borbonica si aggirava sui trent'anni: ma, come si sa, Cacioppo era pagato da Garibaldi.
Vero, lo stile architettonico Liberty
arriva dopo il Barocco, e si sviluppano
nell'arco temporale di duecento anni
circa, quando nello stesso periodo
avvengono i fatti narrati sulla pellagra
nel nord Italia.
Nitti ha parlato: tutti pronti a giurare "in verba magistri" ? Vediamo. Nitti scrive:
Noi abbiamo detto finora: l'Italia è naturalmente ricca, e solo l'attività degli individui è scarsa e l'opera dei governi cattiva. [...] Ora la verità è che cinquant'anni or sono l'Italia era ben poca cosa, e che ora ha nel mondo una situazione che da due secoli non aveva. Tranne la Germania, l'Ungheria e gli Stati scandinavi nessun paese d'Europa ha progredito dopo il 1860 quanto l'Italia.
Noi ingrandiamo il passato, e non vediamo con serenità il presente; e viene a noi uno stato d'animo di dolorosa incertezza e di debole operosità.
Pure, traverso l'errore, un gran cammino si è fatto. [...] l'Italia dunque non è una "decaying nation": essa presenta anzi tutti i sintomi di risveglio. E si può dire che costituisca una grande eccezione; poichè nella storia della civiltà quasi non è esempio di una vera resurrezione, dopo servitù e decadenza di secoli".
F. S. Nitti, L'avvenire economico dell'Italia. Le vie della resurrezione (1901) in Scritti di economia e finanza, Bari, Laterza, 1966, pp. 55-57. Insomma a Nitti la nuova Italia proprio piaceva.