Stamattina abbiamo scritto un articolo che dava, erroneamente, la coltivazione del pistacchio a Raffadali e in altri centri dell’Agrigentino in crisi. Ci basavamo su notizie del passato. Oggi, invece, questa coltura, in provincia di Agrigento, è in netta ripresa. E’ una realtà produttiva in ascesa, con caratteristiche un po’ diversa dal polo di Bronte. le tradizioni dolciarie che affondano le radici nell’Agrigento del 1200
Stamattina abbiamo pubblicato un articolo in cui raccontiamo un’indiscrezione legata alle elezioni regionali del prossimo 5 novembre: la possibilità che il sindaco di Raffadali, Silvio Cuffaro (fratello dell’ex presidente della regione, Totò Cuffaro) possa candidarsi nella lista dei ‘Territori’ che il sindaco di palermo e presidente dell’ANCI, Leoluca Orlando sta mettendo a punto a sostegno del candidato del centrosinistra alla presidenza della regione, Fabrizio Micari, voluto da Renzi (QUI POTETE LEGGERE L’ARTICOLO).
Nell’articolo, di ‘striscio’, abbiamo parlato della coltura del pistacchio, un tempo gloria e vanto dell’Agrigentino. Che fosse “un tempo gloria e vanto”, in verità, lo pensavamo noi: sbagliando. Perché come ci ha fatto notare Francesco Nocera, tra i protagonisti del rilancio del pistacchio nell’Agrigentino, oggi questa coltura ha ripreso piede, tanto che in questa provincia si contano circa 500 ettari investiti a pistacchieti.
La presenza di questa coltura è oggi una realtà importante: quindi affermare, ad esempio, che i gelati artigianali al pistacchio di queste contrade – che vantano una lunga tradizione proprio a Raffadali (e nella nota gelateria di San Leone, ad Agrigento – sono preparati con i pistacchi di Bronte è un errore.
Negli anni ’80 e nei primi anni ’90 del secolo passato era così, perché questa tradizionale coltura era scomparsa. Ma non è più così, se è vero che, tra gli agricoltori di queste zone, è rinata la voglia di scommettere sul pistacchio.
Oggi, ci racconta Francesco Nocera, a Raffadali e dintorni, si coltivano tre varietà di pistacchio: la Bianca napoletana, la Grattarola e la Cappuccia.
Rispetto al polo produttivo di Bronte, provincia di Catania, la realtà della produzione agrigentina è più piccola (a Bronte, infatti, la coltura del pistacchio si estende per circa 2 mila e 600 ettari con un migliaia di agricoltori coinvolti).
Ci sono anche differenze pedoclimatiche tra il polo di Bronte e i pistacchieti dell’Agrigentino: all’ombra dell’Etna, spiega sempre Nocera, i terreni sono per lo più asciutti, mentre a Raffadali e dintorni i terreni sono calcarei.
Cambiano anche le tecniche di coltivazione. A Bronte, ci spiega Nocera, gli alberi di pistacchio si potano in modo tale da farli salire verso l’alto; mentre nell’Agrigentino si lasciano crescere in orizzontale.
Queste differenze si riflettono sulle caratteristiche organolettiche dei pistacchi.
“Anche nella colorazione – ci racconta sempre Nocera – ci sono differenze: il nostro pistacchio è più verde, perché contiene più clorofilla”.
I produttori di pistacchio dell’Agrigentino si stanno muovendo bene sia su fronte produttivo, sia su quello del marketing.
Sul fronte produttivo lavorano per ottenere un pistacchio biologici, ovvero semi senza il ricorso ai pesticidi: e questo potrebbe essere un valore aggiunto, a patto che i controlli non si limitino, come avviene oggi con il biologico, con la semplice certificazione – che significa poco o nulla – ma con interventi doversi e più stringenti.
Si lavora anche, come già accennato, sul fronte del marketing: basti pensare, ci fa notare sempre Nocera, al gemellaggio con il passito di Pantelleria e con i rapporti con Seul e la California.
Ci sono anche le tradizioni locali. Come quella delle monache di clausura del collegio di santo Spirito, ad Agrigento, che dal mille e 200 conservano particolari tradizioni dolciarie come, ad esempio, il ‘Cus cus di pistacchio’.
Sono in corso le pratiche per il riconoscimento della DOC.
C’è anche una tradizione legata ad Antonio Colonna, di Joppolo Giancaxio, piccolo centro a due passi da Raffadali, centro di grano duro e di fave, ma anche di pistacchi.
Il pistacchio è una pianta che può vivere oltre 300 anni. Ebbene, Antonio Colonna, un nobile appassionato di botanica, aveva raccolto una collezione di antichi pistacchi che, purtroppo, oggi, sono andati perduti.
“Di queste alberi che ci riportano nel passato – ci racconta ancora Nocera – ne è rimasto solo uno. Pensate che queste piante antiche producevano fino a 150 chilogrammi di prodotto all’anno, quando oggi la produzione di una pianta non supera i 30 chilogrammi all’anno”.
ALTRE NOTIZIE LE TROVATE SULLA PAGINA FACEBOOK DELLE CUSPIDI
E NELLA PAGINA FACEBOOK DEL PISTACCHIO DI RAFFADALI
SE VOLETE CONOSCERE DI PIU’ SU QUESTA PIANTA MILLENARIA, ORIGINARIA DELLA PERSIA, POTETE LEGGERE QUI