La ‘riforma’ delle Province siciliane è iniziata male e sta finendo in peggio. Ormai siamo alla farsa, con Leoluca Orlando e Enzo Bianco che reclamano le poltrone di sindaci metropolitani che la legge nazionale Delrio – sbagliata e fallimentare – applicata in Sicilia gli aveva regalato senza passare dagli elettori. Il maldestro tentativo dei parlamentari condannati dalla Corte dei Conti di restare a galla: cosa che non gli riuscirà
Cosa combinano in Assemblea regionale siciliana? Di tutto e di più. Provano a mettere in difficoltà il Governo nazionale che – verosimilmente dopo le elezioni regionali – potrebbe finire per creare un caso unico in Italia in materia di ex Province. Dopo di che la maggioranza del deputati dello stesso Parlamento dell’Isola s’illude di aver allontanato lo spettro di una legge nazionale in materia di ineleggibilità e incandidabilità che, gettata fuori dalla porta, potrebbe rientrare dalla finestra.
Vediamo di raccontare e commentare, per grandi linee, i possibili retroscena di alcune contestatissime norme approvare due giorni fa dall’Ars.
La prima norma riguarda le nove ex Province della nostra Isola. O meglio, una legge di riforma papocchio voluta sì dal Governo regionale di Rosario Crocetta, ma approvata dall’Ars a larga maggioranza (tra i sì, oltre a quelli dei deputati di centrosinistra, c’è anche il sì dei grillini).
E’ una legge sulla quale Sala d’Ercole è intervenuta più volte.
Il Governo regionale di Crocetta e la maggioranza di centrosinistra sostengono di aver applicato l’articolo 15 dello Statuto, che è quello che prevede l’abolizione delle vecchie Province sostituite da ‘Liberi consorzi di Comuni’.
In realtà, Governo e Ars non hanno applicato l’articolo 15 dello Statuto. Per un motivo semplice: perché i Comuni siciliani non hanno potuto scegliere liberamente come organizzarsi in ‘Liberi consorzi di Comuni’.
Le Province di Palermo, Catania e Messina – per citare tre esempi – sono state trasformare in grottesche Città metropolitane (non previste dall’articolo 15 dello Statuto!), mantenendo gli stessi confini e tenendo insieme gli stessi Comuni che facevano parte delle vecchia Province.
Così a Palermo, a Catania e a Messina abbiamo Comuni montani intruppati nelle Città metropolitane: una farsa!
Alle altre sei ex Province hanno cambiato solo il nome: si chiamo ‘Liberi consorzi di Comuni’ che di libero non hanno nulla, se è vero che – come le tre Città metropolitane – hanno mantenuto insieme i Comuni che facevano parte delle vecchie Province: un’altra farsa!
Questa legge non ha applicato l’articolo 15 dello Statuto autonomistico siciliano. Al contrario, con questa legge l’articolo 15 è stato aggirato e calpestato.
Tra l’altro, l’articolo 15 dello Statuto va visto insieme con altri due articoli dello Statuto: l’articolo 21 e l’articolo 31.
L’articolo 21 prevedere che in Sicilia “Il Presidente è Capo del Governo regionale e rappresenta la Regione”.
“Egli – prosegue l’articolo 21 con riferimento sempre al presidente della Regione – rappresenta altresì nella Regione il Governo dello Stato, che può tuttavia inviare temporaneamente propri commissari per la esplicazione di singole funzioni statali.
3. Col rango di Ministro (con riferimento sempre al presidente della Regione ndr) partecipa al Consiglio dei Ministri, con voto deliberativo nelle materie che interessano la Regione”.
L’articolo 31 così recita:
“Al mantenimento dell’ordine pubblico provvede il Presidente della Regione a mezzo della polizia dello Stato, la quale nella Regione dipende disciplinarmente, per l’impiego e l’utilizzazione, dal Governo regionale. Il Presidente della Regione può chiedere l’impiego delle forze armate dello Stato”.
Cosa vogliamo dire?
Semplice: che articolo 15, articolo 21 e articolo 31 dello Statuto siciliano prevedono, tra le altre cose, non soltanto il superamento delle vecchie Province (con i Comuni che, liberamente, scelgono come dare vita a un organo intermedio tra Regione e Comuni), ma anche la scomparsa delle Prefetture, che in Sicilia non dovrebbero esistere da un pezzo.
Se le Prefetture continuano ad esistere è perché una politica siciliana di ascari li mantiene in vita.
Altra questione: il governo delle Città metropolitane.
In democrazia governa chi viene eletto dal popolo. La legge nazionale che ha istituito le Città metropolinane nel resto d’Italia, che prende il nome dal Ministro Graziano Delrio, prevede che i sindaci diventino, automaticamente, sindaci delle Città metropolitane.
Il Parlamento siciliano ha provato – utilizzando le proprie prerogative legislative – ad approvare una legge diversa da quella nazionale, introducendo l’elezione dei presidenti delle Città metropolitane. Ma alla fine – con una forzatura operata dal presidente dell’Ars, Giovanni Ardizzone – anche l’Ars ha approvato una legge che, come la Delrio, ‘nomina’ i sindaci di Palermo, Catania e Messina sindaci metropolitani senza passare da elezioni democratiche. Una vergogna istituzionale e costituzionale!
Con la legge approvata nei giorni scorsi dall’Ars – con il presidente Ardizzone che, manzonianamente, è ‘fuggito’ dall’Aula – il Parlamento siciliano ha ritrovato un po’ di orgoglio e ha ripristinato l’elezione dei presidenti delle Province e dei Consigli regionali.
Passaggio che vale anche per le tre Città metropolitane di Palermo, Catania e Messina.
Da qui il commento stizzito del sindaco di Palermo, Leoluca Orlando:
“La norma sulle città metropolitane votata dall’Ars conferma lo stato di sempre più grave calamità istituzionale in cui versa la Regione siciliana il cui Parlamento, fra le tante gravi e gravissime emergenze che colpiscono i siciliani, non trova altro di cui occuparsi se non norme che sempre più mortificano il senso dell’autonomia, fino a rendere questo istituto un pericolo per i processi democratici e per la corretta gestione degli enti locali a tutti i livelli”.
Sulla stessa lunghezza d’onda il sindaco di Catania, Enzo Bianco, al quale la legge approvata dall’Ars toglia la poltrona di sindaco metropolitano di Catania.
Ma quale sarebbe questo “pericolo”? Il fatto che la legge toglie ad Orlando e a Bianco, rispettivamente, le poltrone di sindaco metropolitano di Palermo e di Catania? Fare votare i cittadini “mortifica” l’autonomia?
Ma che idea di democrazia hanno Orlando e Bianco?
Qualcuno dirà: vabbé ora il Governo nazionale, visto che hanno abolito l’Ufficio del Commissario dello Stato, impugnerà la legge approvata dall’Ars e Orlando a Palermo, Enzo Bianco a Catania e Renato Accorinti a Messina ridiventeranno sindaci metropolitani, rispettivamente, di Palermo, Catania e Messina.
Purtroppo, però, questa volta la prepotenza romana potrebbe non funzionare. L’eventuale impugnativa potrebbe funzionare per le Città metropolitane di Palermo, Catania e Messina, con la scusa che si tratta di “grandi riforme dello Stato” che si applicano anche alle Regioni a Statuto speciale.
Già questa sarebbe una grande forzatura. Ma tale principio non potrebbe essere applicato alle altre sei Province siciliane (cioè ai Consorzi di Comuni di Siracusa, Ragusa, Agrigento, Caltanissetta, Enna e Trapani). Non si tratta, infatti, di Città metropolitane, ma di sei Province alle quali hanno solo cambiato il nome.
Quindi, un’eventuale impugnativa della legge regionale da parte del Governo nazionale dovrebbe ripristinare, senza passare dal voto popolare, le poltrone dei sindaci metropolitani di Palermo, Catania e Messina, consentendo agli elettori delle altre sei Province siciliane (cioè ai Consorzi di Comuni di Siracusa, Ragusa, Agrigento, Caltanissetta, Enna e Trapani) di eleggere i rispettivi presidenti.
L’eventuale impugnativa creerebbe una disparità di trattamento per mantenere in vita le poltrone di sindaci metropolitani di Orlando, Bianco e Accorinti.
Certo, il Governo nazionale, calpestando la legge, potrebbe estendere anche ai Consorzi di Comuni di Siracusa, Ragusa, Agrigento, Caltanissetta, Enna e Trapani la legge Delrio.
Il problema, per il Governo nazionale, è che tutto questo si verificherà subito dopo le elezioni regionali di novembre, quando a Palazzo d’Orleans – sede della presidenza della Regione siciliana – potrebbe essere stato eletto un presidente della Regione non-ascaro.
Il presidente della Regione non-ascaro, lungi dall’accettare supinamente l’impugnativa di Palazzo Chigi – sede della Presidenza del Consiglio dei Ministri – si rivolgerebbe alla Corte Costituzionale. E qui ci divertiremo.
La Regione siciliana – con il proprio presidente non-ascaro, farà presente che il Governo nazionale, con l’impugnativa della legge regionale, vorrebbe costringere la Sicilia ad applicare una legge – la legge Delrio – che nel resto d’Italia è fallita su tutta la linea.
Eh già, perché quello che il ‘geniale’ costituzionalista presidente dell’Ars, Giovanni Ardizzone, e i ‘giuristi’ Leoluca Orlando ed Enzo Bianco non dicono è che nel resto d’Italia la legge Delrio è fallita e ha fatto fallire le ex Province trasformate in Città metropolitane, che si ritrovano – grazie ai dettami del Finanz-capitalismo folle – senza Bilancio e senza soldi.
Provate a immaginare la faccia dei giudici costituzionali chiamati ad esaminare il ‘caso’ di un Governo che vuole applicare in Sicilia una legge nazionale fallimentare che ha fatto fallire le Città metropolitane d’Italia…
Certo, la Corte Costituzionale, con la Regione siciliana è stata spesso, come dire?, ‘creativa’: ma questa volta la creatività cozzerebbe con la realtà delle Città metropolitane volute da Delrio colate a picco…
Poi c’è l’altro papocchio. Del quale i protagonisti assoluti sono i deputati di Sala d’Ercole che, qualche giorno fa, di fronte alla legge nazionale che ha introdotto l’ineleggibilità e l’incandidabilità per particolari situazioni, hanno preferito infilare la testa sotto la sabbia.
A presiedere i lavori dell’Ars c’era il vice presidente, Giuseppe Lupo. Che ha giudicato “inammissibile” l’emendamento – presentato dal parlamentare regionale del PD, Pino Apprendi, e già approvato dalla commissione legislativa di merito – che, se approvato, avrebbe introdotto l’ineleggibilità (e l’incandidabilità) per i parlamentari condannati dalla Corte dei Conti sancita da una legge nazionale.
Ora, si può obiettare che tale legge nazionale non distingua tra casi che possono essere banali (questioni di poche migliaia di euro) dai casi gravi: e su questo punto il Legislatore nazionale farebbe bene a intervenire.
Ma da qui a considerare “inammissibile” una legge nazionale che, peraltro, in Sicilia è già stata applicata ne corre!
Sull’applicazione di questa legge in Sicilia è pendente un ricorso. E sarebbe veramente singolare non applicare tale legge in una Regione nella quale la Corte dei Conti ha condannato una sfilza di parlamentari ed ex parlamentari dell’Ars, accusati di aver utilizzato in modo strano, se non distorto, i fondi pubblici a disposizione dei gruppi parlamentari.
Ricordiamo che dalle carte dell’inchiesta sulle ‘spese pazze’ dell’Ars sono emersi fatti non certo encomiabili: soldi dei gruppi parlamentari spesi per panettoni, pranzi, cene, viaggi, regali (anche di compleanni a base di gioielli) e persino fumetti!
Quindi la legge che impedisce ai protagonisti di questi ‘gesti’ contabili (a spese della collettività) sarebbe “inammissibile” per il Parlamento siciliano? E perché? Perché ai ‘califfi’ di Sala d’Ercole tutto è concesso?
A nostro modesto avviso, con la poco opportuna dichiarazione di “inammissibilità” dell’emendamento presentato dal parlamentare Apprendi da parte della presidenza dell’Ars, il problema, in Sicilia, si riproporrà lo stesso.
Il mancato recepimento, nella legislazione regionale, di una norma nazionale – peraltro, lo ribadiamo, già applicata in Sicilia – non metterà al sicuro i parlamentari condannati (e gli amministratori comunali condannati, perché la norma riguarda tutti gli enti locali). Dopo le elezioni, i primi dei non eletti proporranno ricorso e – se sarà stato deciso che tale norma si applica anche in Sicilia: cosa molto probabile – i deputati, i sindaci e i consiglieri comunali condannati e rieletti andranno a casa!
P.S.
Una considerazione e una domanda per la presidenza dell’Ars.
La considerazione. Fateci capire: là dove il Parlamento siciliano ha titolarità per legiferare – le ex Province – date spazio a una fallimentare legge dello Stato; mentre sui fatti contabili l’Ars si sostituisce allo Stato…
La domanda. Ma se in questo momento le Province o ex Province siciliane non riescono nemmeno a pagare gli stipendi ai dipendenti (l’Amministrazione provinciale di Siracusa non paga i propri dipendenti da sei mesi: qualcuno ha avvertito di ciò l’assessore-commissario, Alessandro Baccei?), come potranno pagare il presidente e i Consigli provinciali rieletti (e gli assessori)?
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