In Canada si spera nell’intervento dell’Ue per bloccare l’indicazione dell’origine del grano usato dalle industrie della pasta. Una misura che non serve a granché sotto il profilo della sicurezza alimentare, ma che metterebbe a rischio l’export di grano scadente dal Canada all’Italia
Non è una misura risolutiva. Anzi, ha il sapore di una mossa propagandistica. Ma sta destando non poche preoccupazioni in Canada che, comunque, rischia di perdere una fetta importante del mercato italiano al quale rifila, ed è ormai cosa nota, tonnellate di grano al glifosate. Sostanza velenosa per la salute soprattutto se, come fanno loro, usato in fase di pre raccolta (ovvero, per fare maturare la pianta in quelle condizioni climatiche ostili).
Parliamo dei decreti – firmati dai Ministri Maurizio Martina (Politiche agricole) e Carlo Calenda (Sviluppo economico) – che, in teoria, se passeranno indenni il vaglio dell’Ue (cosa improbabile), obbligheranno i produttori di pasta ad indicare nelle etichette le origini del grano utilizzato.
In realtà serve a poco. Perché, come vi abbiamo spiegato qui, non conta dire da dove arriva il grano (che poi, dovremmo solo accontentarci, secondo il decreto, dell’indicazioni Ue o extra Ue). Quello che servirebbe, per garantire la tutela della salute, sarebbe specificare cosa contiene ogni singolo pacco di pasta. Analisi più approfondite per evitare che i consumatori si ritrovino nel piatto un prodotto fatto con grano etichettato come europeo e magari pure come biologico, ma che in realtà contiene sostanze pericolose come il glifosate e le micotossine. Le truffe, come sappiamo, non sono rare. (Qui potete leggere l’articolo che illustra i risultati sui controlli effettuati su otto marchi di pasta industriale prodotta in Italia cura di GranoSalus, associazione di produttori di grano duro del Sud e di consumatori da dove si evince che non tutti i grani presentati come sani lo sono per davvero….).
Il Canada, però, è comunque allarmato. E lo scrive apertamente sul sito producer.com Perché grazie alle campagne di informazione lanciate da comitati come Granosalus, da questo blog e da altri siti che si occupano della salute dei consumatori, la gente sa ormai che certamente il grano che arriva da quelle parti non è salutare.
“Questa misura- dice un analista del mercato cerealicolo canadese- potrebbe cambiare la destinazione del nostro export di grano”.
Una cosa buona per noi, ma non per loro. L’Italia, infatti, paradosso tra i paradossi visto che nelle regioni meridionali si produce grano eccellente e se ne potrebbe coltivare in grande abbondanza, è il secondo mercato di destinazione del grano duro canadese: “A Maggio erano stato esportati in Italia già 70mila tonnellate di grano”.
Va ricordato che in Canada la normativa vigente prevede, per la presenza di DON (micotossine) nel grano duro non trasformato, un limite di 1000 ppb e che esporta in Europa il grano con DON superiore a questa soglia. In Europa il limite è di 1750 ppb, ma si tratta di una soglia tarata su consumi europei che sono ben diversi da quelli italiani.
In altre parole, non basta il glifosato, ma il Canada ci rifila anche il grano che loro non consumano per l’alta presenza di DON.
Sempre sul sito producer.com si legge che il Governo canadese sta facendo pressioni affinché questa misura “protezionistica” non ottenga il via libera dell’Union Europea.
E, a Bruxelles, le previsioni, sic stantibus rebus, danno nuvole nere. Perché sappiamo tutti il peso che esercitano le multinazionali – sia quelle interessate a produrre pasta con grano scadente, sia quelle che vendono il grano- sulle istituzioni europee.
La realtà che viviamo è fatta così: le multinazionali dettano le regole a quelli che una volta erano gli Stati democratici e l’Unione europea è l’emblema di questo potere.
Probabile, dunque, che l’Ue avvi una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia per il decreto in questione, come ha fatto notare lo stesso comitato GranoSalus. Che ricorda anche che l’unico modo concreto per difendersi dal grano canadese è il respingimento del CETA, il trattato di libero scambio tra Ue e Canada, approvato a Strasburgo anche con i voti di PD e Forza Italia e che se approvato da tutti gli Stati della UE, consentirà ai canadesi di continuare ad esportare in Europa il propri grano duro che viene coltivato nelle zone umide e fatto maturare artificialmente con il glifosato.
Il Governo italiano, che come le istituzioni che detengono il potere esecutivo nell’Ue è un perfetto esempio di un Governo fantoccio al servizio del capitalismo finanziario e, quindi, degli interessi delle multinazionali, ha provato ad accelerarne l’approvazione. A differenza di Francia e Germania che stanno approfondendo il caso anche grazie a proteste e ricorsi delle associazioni dei consumatori.
Probabilmente rendendosi conto dell’impopolarità del gesto, per ora tutto tace. Ma non è da escludere un colpo di coda estivo.
Per quanto riguarda l’Ue, l’unica istituzione che ha tentato di ridare voce al popolo sul CETA è stato il Tribunale dell’UE (insieme con la Corte di Giustizia è uno degli organi giurisdizionali che compongono la Corte di giustizia dell’Unione europea). Che, in una sentenza storica, ha affermato, contro il parere della Commissione europea, che i cittadini hanno il diritto di proporre iniziative legislative e di dire la loro contro questo trattato (e contro il Titip, l’altro trattato di liberalizzazione commerciale transatlantico negoziato in gran segreto tra Commissione UE e Governo USA ).
Una vittoria per tutti quei cittadini europei che stanno cercando di lottare contro la dittatura delle multinazionali anche in campo alimentare.
Una notizia che non sarà sfuggita al Canada e che, probabilmente, alimenta le sue ansie.
Va da sé che si tratta di una battaglia che deve essere condotta dai cittadini. Riporre qualsiasi speranza sull’attuale classe di governanti, sarebbe inutile.
Ricordiamo anche che questo blog è finito nel mirino delle multinazionali per avere denunciato la presenza di veleni nel grano usato dalle industrie italiane.
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