La Corte d’appello ha ribaltato la sentenza di primo grado che aveva assolto un ex direttore delle Agenzie delle Entrate che si deliziava a palpeggiare il lato B di una collega. Dovrà risponderne in sede civile: la toccato di culo ‘sportiva’ non esiste...
Ricordate il caso dell’ex direttore delle Agenzie delle Entrate di Palermo che ogni tanto si dilettava a palpeggiare il lato B di una collega? Su giornali se ne è parlato tanto perché un giudice aveva stabilito che quel gesto non era reato. Ve ne avevamo parlato qua, ironizzando non poco su una decisione che aveva lasciato sbalorditi e che ci aveva in qualche modo riportato alla memoria la tradizione letteraria siciliana in tema di donne.
Ebbene, oggi, la Corte d’appello, ha ribaltato quella decisione: non era una una toccata di culo sportiva, era molestia. I giudici hanno disposto il risarcimento, da stabilire in sede civile.
Con buona pace di quel giudice giocoso che non aveva visto nel gesto malizia, né reato. Ispirato, probabilmente, da Giovanni Verga e Luigi Capuana che sul maschio siciliano avevano le idee chiare: “La verità è che siamo degli ingravida balconi”. Erano i tempi in cui il mito della donna, in questo caso siciliana, restava quasi appeso all’idea petrarchesca di Madonna Laura. Magari un po’ più formosa e formata: ma sempre da immaginare, lontano mille miglia l’idea di sfiorarla se non con il soave pensiero.
Niente da fare. Per i colleghi d’appello il palpeggio, lungi da qualsiasi tradizione letteraria e da qualsiasi visione petrarchesca della donna, non è solo una degenerazione di quella che una volta si chiamava educazione, ma un gesto da censurare. In sede civile.