Lettera aperta al Presidente Mattarella: il 2 giugno parliamo di Dante e non di armi

1 giugno 2017

Perché, in Italia, le forze armate si sono appropriate della giornata in cui si celebra l’identità nazionale? Dobbiamo continuare ancora con le parate militari e con le Frecce tricolori? Perché invece di esibire armi e militari non parliamo di Dante Alighieri, il più grande degli italiani?   

Signor Presidente,

un Paese turbato, smarrito, confuso e incattivito si appresta a celebrare l’anniversario della nascita della Repubblica. Come sempre, il cuore della festa sarà costituito dalla parata militare, con sfoggio finale di frecce tricolori. Niente di più e niente di meno dei festeggiamenti, mi permetta, in un qualunque paesucolo del pianeta senza storia e senza memoria.

Nel puntuale rinnovarsi di questo rito, mi chiedo sempre come sia stato possibile che, nel nostro Paese, tra i primi al mondo per storia e cultura, della celebrazione dell’identità nazionale si siano potute appropriare le forze armate. Anzi, ne siano le uniche rappresentanti, e che anche quest’anno, dunque, mentre il Paese soffre e brucia, sfileranno ai Fori Imperiali, tronfi e pettoruti, “i nostri figli migliori”.

Io credo invece che il cuore della festa stia nella celebrazione e nel ricordo di quegli uomini che hanno sognato, amato e cantato, un’Italia diversa, un giardino, unita dall’Adige al Peloro e che con la loro vita l’anno onorata e arricchita. Quell’Italia che poteva essere e che non è per gli egoismi e la miopia di troppi.

Se non li ricordiamo, quei grandi, se non ne facciamo il centro della nostra riconoscenza, rischiamo di tradire la nostra autentica missione nel mondo.

Signor Presidente, mi piace pensare che, domani, il 2 di giugno, Lei, il primo degli italiani, di buon mattino, in buona e scelta compagnia, uscito dal Quirinale da una postierla poco frequentata, si metterà in viaggio in direzione di Ravenna e, giunto davanti alla tomba venerata di Dante, il più grande italiano, ci parlerà.

Parlerà a tutti noi, a tutti gli italiani turbati, smarriti, confusi. Ci parlerà del “cor che egli ebbe, mendicando sua vita a frusto a frusto”, della sua forza morale, ci ricorderà le sue parole sdegnate e il suo messaggio di speranza non solo in una vita celeste, ma in una vita vissuta su questa terra, laicamente, da “cive”, nobilmente e semplicemente facendo il proprio dovere.

Signor Presidente, l’immortalità di Dante non è esclusivo appannaggio dei professori di italiano, né degli alunni canaglie, come li chiama affettuosamente Montale.

E’ nostra, prima di tutti gli italiani, poi del mondo intero ed è a noi che parla e parlerà per sempre.

Con profondo rispetto

Franco Busalacchi

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