Oggi ricorre l’anniversario dell’assassinio di Rosolino Pilo (in realtà Rosalino). La sua morte resta un ‘giallo’

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Nel 157esimo anniversario dell’assassinio di Rosolino Pilo (che in realtà si chiamava Rosalino), seguace di Garibaldi e dei Mille, il nostro Ignazio Coppola ricostruisce l’atmosfera in cui maturò la sua morte. A voi le ipotesi di un omicidio che, ancora oggi, rimane avvolto nel mistero. Anche se alcune tracce portano dritti dritti a un possibile regolamento di conti tra garibaldini… 

di Ignazio Coppola

Alle ore 10 di un lunedì del 21 maggio del 1860, esattamente 157 anni fa, a soli 41 anni, sulla montagna delle Neviera, poco sopra l’abbazia di San Martino delle Scale, raggiunto da un misterioso colpo che lo centrò alla nuca, si chiudeva l’esistenza terrena di Rosalino (e non Rosolino) Pilo, Conte di Capaci, dioscuro e precursore dei Mille, così come infatti fu definito dallo stesso Garibaldi assieme al suo compagno di tante lotte ed avventure Giovanni Corrao, con il quale, appunto, precorrendo i Mille assieme minuziosamente prepararono lo sbarco di Garibaldi in Sicilia.

Qualche anno addietro il giornalista Matteo Collura nel suo romanzo storico dedicato alla morte di Giovanni Corrao avvenuta a Palermo nell’agosto del 1863 dal titolo: Qualcuno ha ucciso il generale riaprì di fatto, in un apposito capitolo del suo libro anche l’interrogativo e il giallo della morte di Rosalino Pilo nella parte dal titolo: “L’amico caduto”, che meriterebbe un titolo più appropriato quale: ”Chi ha ucciso Rosalino Pilo?”.

Sulla morte del conte di Capaci, proprio perché non fu mai chiaro come fu ucciso, si rincorsero, da quel lontano 21 maggio 1860, una ridda di ipotesi che, per la dinamica degli avvenimenti e per i fatti accaduti avrebbero dato, senz’altro, interessante materiale ad un fantasioso scrittore di libri gialli…

Molte furono, infatti, le versioni che dalla morte di Rosalino Pilo presero spunto.

Una prima, ossia quella accreditata dalla storiografia ufficiale, fu quella che sostenne che Rosalino Pilo alla Neviera, mentre, con i suoi picciotti, circondato dalle truppe borboniche di Bosco e di Von Meckel, stava scrivendo un messaggio di richiesta d’aiuto a Garibaldi, che si trovava accampato a passo di Renda, fu raggiunto da una pallottola di rimbalzo sparata dai borbonici e che poi lo colpì accidentalmente alla nuca.

L’altra ipotesi fu quella che il conte di Capaci fu ucciso da uno dei suoi indisciplinati e poco raccomandabili picciotti, come lui stesso spesso li definiva e che aveva precedentemente redarguito con l’aggiunta di un pesante ceffone. Il picciotto offeso e umiliato, spinto da evidente spirito di vendetta,,non trovò, a quel punto di meglio, che sparare a tradimento al suo capo centrandolo alla nuca.

Una terza versione la più traumatica e inverosimile per i seguaci e i cultori della mitologia risorgimentale fu quella che ad uccidere Rosalino Pilo fosse addirittura il suo luogotenente compagno ed amico, Giovanni Corrao. Questa fu una “diceria” che in seguito misero in giro i detrattori e i rivali politici del Corrao, sostenendo che il Corrao, uomo dal carattere forte e prepotente, uccise Rosalino Pilo perché geloso del fatto che questi avesse assunto il comando supremo delle squadre ritenendosene lui, per il suo carisma, il degno successore. Cosa che del resto puntualmente avvenne, dando adito a quei sospetti che, molto spesso, sono l’anticamera della verità.

Queste dunque le tre versioni sulla misteriosa uccisione di Rosalino Pilo.

Bisogna aggiungere all’irrisolto giallo un fatto di non poco conto. Subito dopo essere stato colpito, a quanto ricostruito da varie cronache e discordanti testimonianze, rantolante venne soccorso dallo stesso Corrao e da Salvatore Calvino che si premurarono di far trasportare il corpo in una casupola della Neviera abbandonandolo e attivandosi, giacchè incalzati dai borboni, di fare avvisare, attraverso alcuni contadini del luogo, l’abate del convento di San Martino, padre Luigi Castelli di Torremuzza, perché ne recuperasse il cadavere.

Padre Castelli, tra l’altro legato da stretti vincoli di parentela con lo stesso Pilo, appresa con dolore la notizia della morte del congiunto, al termine degli scontri tra picciotti e borboni, calmatesi le acque, alcune ore dopo, verso le cinque del pomeriggio, inviò alla Neviera tre inservienti del monastero, Rosario e Pietro Pellerito e Gaspare Schiera. Giunti sul luogo per i tre grande fu la meraviglia di trovare il cadavere del conte di Capaci completamente nudo, spogliato e depredato di ogni cosa.

Prima dell’uccisione così lo descrive Emanuele Librino nel suo libro Rosalino Pilo nel risorgimento italiano:

“Vestito in borghese, giacca e calzoni chiari, cappello nero, stivali alla polacca, fazzoletto al collo, una fascia tricolore sotto la giacca fatta di seta lavorata a crochet ed un orologio d’oro con una catenella di vari fili di platino. Di tutto questo all’atto del prelevamento del cadavere da parte dei tre inservienti inviati dall’abate Castelli non esisteva più niente. Il conte di Capaci era stato denudato e depredato di tutto. La salma posta dagli inservienti in una rozza cassa fu poi trasportata nella chiesa della Badia, dove la sera stessa del giorno 21 fu sepolta nella cappella centrale detta di San Gregorio.

Il seppellimento nello stesso giorno della morte è certificato nel registro dei defunti del monastero datato 1839 e custodito nell’attuale biblioteca del monastero di San Martino delle Scale. Alla pagina 19 di detto registro è così dettagliatamente riportato a firma dell’estensore dell’epoca, padre Guglielmo Martino:

”1860 – 21 maggio- Rosalino Pilo dei conti di Capaci di anni 41 è morto stamattina alle ore 10 nella montagna, il suo corpo fu seppellito nella nostra chiesa”.

Nella pagina 18, in corrispondenza del nome di Pilo, è poi riportato con grafia molto più chiara della pagina successiva:

“Morto nell’assalto al Castellaccio”.

Sgombrato il campo che sia stato, avendoli di fronte, ucciso dai borboni, perché colpito alla nuca da una pallottola di rimbalzo su una roccia (il più eccellente giocatore di carambola non sarebbe mai stato capace di tanto). Rimane in piedi indiziariamente l’ipotesi che Rosalino Pilo sia stato ucciso da “uno dei suoi”. Dunque ucciso alle spalle da fuoco amico.

In buona sostanza, seguendo la logica dei fatti, una pallottola amica e non una pallottola “pazza” di rimbalzo pose fine alla vita di Rosalino Pilo. Un omicidio in piena regola, come regolamento dei conti a tutti gli effetti da parte di un picciotto offeso e umiliato o di un sodale quale il Corrao per rivalità di comando e per cui dalla soppressione del Pilo lo stesso ne avrebbe tratto vantaggi, gloria e giovamenti. Cosa che in effetti avvenne.

Il 24 agosto del 1860 quando la Sicilia era ormai totalmente in mano ai garibaldini e Mordini ne era il prodittatore, poco più di tre mesi dopo la sua uccisione, la salma di Rosalino Pilo verrà traslata dall’abbazia di San Martino per essere seppellita, in pompa magna, nella chiesa di San Domenico, il Pantheon di Palermo, e dove ad oggi giace tra molti dei più illustri insigni siciliani e dove è ricordato da un monumento opera dello scultore Rosario Bagnasco erettogli nel 1878.

Le celebrazioni funebri furono imponenti e le esequie che durarono oltre tre ore si conclusero con un discorso ricco di enfasi e retorica di un frate domenicano che così concluse:

“I siciliani sapevano che senza Rosalino Pilo forse la loro libertà non sarebbe un fatto. Sapevano che senza di lui Garibaldi non avrebbe avuto l’ultima spinta che rese possibile l’Unità d’Italia: Pilo con cuore devoto e con risoluta volontà aveva dunque giovato alla patria sopra ogni altro e i siciliani ebbero ragione se, con esequie tanto solenni, ne onorarono la salma”.

Quello che le cronache del tempo, tanto prese dall’enfasi delle loro celebrazioni, omisero di riportare fu che:

“I siciliani non avrebbero mai saputo chi, in quel lontano 21 maggio del 1860, uccise a tradimento con un secco e proditorio colpo alla nuca Rosalino Pilo”.

Foto tratta da maremagnum.com

Visualizza commenti

  • ma picchi un muria prima di nvadiri la Sicilia nsemmula a garibbardi e tutti li cammisi russi e li savoia chi li mannaru.

  • Il poeta catanese Mario Rapisardi lo ricorda così: « Precursore nobilissimo di libertà, morto combattendo per la patria addì 21 giugno 1860, il popolo monrealese auspice il Municipio consacrava questo conoscente ricordo, perché la dissimile età non dimentichi quanta religione d'amore di dolore di sacrificio leghi ancora, dopo tante amare delusioni, la generosa anima siciliana all'unità e alla gloria della religione. »

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