Mentre l’alta finanza europea brinda per la vittoria di Macron, cominciamo un viaggio nel mondo di quegli economisti italiani che si sono battuti e si battono ancora oggi contro la capitolazione dell’Italia di fronte all’imposizione catastrofica dell’euro gestita dall’oligarchia finanziaria che manovra Bruxelles. Si parte con Nino Galloni, keynesiano doc
Da oggi cominciamo un viaggi nel mondo dei ‘sovranisti’ italiani. Chi sono costoro? E perché se ne parla così poco? La risposta è unica per entrambe le domande. Parliamo, nella maggior parte dei casi, di economisti keynesiani contrari alla finanziarizzazione dell’economia e al sistema euro di questa Europa tenuto in piedi dalle oligarchie finanziarie. Ecco perché se ne parla poco: gli Stati attuali, Italia inclusa, hanno abbandonato le politiche keynesiane per darsi al neoliberismo più selvaggio da un pezzo, così come si sono piegati alla dittatura della finanza.
Per i sovranisti, in estrema sintesi, non c’è più una lotta tra destra e sinistra, ma una ben più feroce guerra tra finanza e territori. Tra affaristi di alto livello e stati democratici.
Oggi proviamo a conoscere un po’ meglio – per chi non avesse letto i suoi libri- uno di questi economisti: Nino Galloni. Keynesiano, allievo del professor Federico Caffè, collaboratore di Aldo Moro, fiero avversario della capitolazione dell’Italia di fronte all’imposizione catastrofica dell’euro gestita dall’oligarchia finanziaria che manovra Bruxelles, in una intervista rilasciata a Libero, racconta particolari poco conosciuti (sempre per i motivi di cui sopra) dell’ingresso dell’Italia nel sistema euro.
Da una posizione di vertice al ministero del Bilancio a fine anni ottanta, Galloni aveva osato avversare apertamente i trattati europei. Tanto che le cronache di allora parlarono di lui come del funzionario che fece paura ad Helmut Kohl. E, infatti, in quel ruolo, durò pochi mesi. Si parla del 1989, quando Galloni è al vertice del mistero del Bilancio (ministro Cirino Pomicino).
Durò pochi mesi. Perché?
“Guido Carli, ministro del Tesoro,- spiega Galloni- ricevette una telefonata da Helmut Kohl. Andreotti si arrese alle sue pressioni, che si univano a quelle di Bankitalia, Fondazione Agnelli e Confindustria, la quale invece di fare gli interessi degli iscritti faceva gli interessi dei pochi che avrebbero poi venduto le proprie aziende a buon prezzo, mentre quelle di Stato furono svendute a prezzo di magazzino».
Perché Kohl aveva voce in capitolo?
“Kohl e Mitterrand avevano fatto un patto. Il primo voleva la riunificazione tedesca, il secondo voleva evitare, per ragioni di immagine, la svalutazione del franco come via alla competitività dell’ economia francese. Da quel patto nacque l’ euro”.
Quel patto cosa significò per noi? Chiede il giornalista di Libero.
“Con i cambi fissi e poi la moneta unica, che ci impediva di svalutare, perdemmo la grande impresa privata e si ridimensionò notevolmente l’ industria a partecipazione statale. Solo le pmi, contro i pronostici, resistettero. In fondo, la Francia ha pagato un prezzo maggiore”.
Dell’ enorme debito pubblico non ci siamo più liberati.
“Ma con i tassi in calo dagli anni ’90 e con gli avanzi di bilancio che registriamo da tempo, avrebbe dovuto calare. Invece sale”.
Come lo spiega?
“È l’ effetto dei contratti derivati firmati da Stato ed enti locali dopo il 1992. Una finanza nascosta, segretata, fatta di accordi con grandi banche che, sapendo che i tassi di interesse sarebbero scesi, si assicuravano dai mancati arricchimenti facendo pagare la differenza allo Stato, alle Regioni, ai Comuni. Sul tema una commissione d’ inchiesta sarebbe doverosa”.
Critico anche con la parola d’ ordine dei tempi nuovi: la flessibilità.
“Non con la flessibilità in sé, – dice Galloni- ma con la flessibilità come obiettivo da massimizzare. Confindustria svalutava il lavoro e i sindacati si giravano dall’ altra parte, mentre si spartivano la torta della formazione professionale. La flessibilità è necessaria, ma va scambiata con salario: più sei flessibile, più ti pago”.
La domanda successiva è una riflessione sulla svalutazione del lavoro, sull’ attacco al sistema industriale sul freno agli investimenti pubblici e sulla cessione della sovranità monetaria. Il filo rosso – osserva il giornalista- che collega gli ultimi 30-40 anni.
“Ecco perché- risponde l’economista- non va attaccato semplicisticamente l’ euro, ma tutto l’ impianto di cui l’ euro è una parte”.
Qui l’intervista integrale dove nella prima parte si parla dell’origine del debito pubblico italiano.
Qui, invece, vi abbiamo parlato della Confederazione per la liberazione nazionale, movimento che si è riunito recentemente a Roma e che ha come obiettivo il ripristino della politica sull’economia.
Questi alcuni libri di Galloni:
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L' EURO è stata la salvezza del sistema monetario e dell'economia
ciò che si è tardato da fare è stato
l'unificazione dei sistemi tributari con un unico ministero europeo
un piano di ammortamento di tutti i debiti pubblici dei paesi europei
una Federal Reserve europea
l'EURO è nato per spronare l'Europa a fare l'Unione Federale politica
NOI invece di ridurre il debito pubblico abbiamo buttato
25 miliardi per l'elemosina di 80 euro ai redditi
20 miliardi per l'incentivo ai nuovi assunti
30 miliardi in regalie inutili e improduttive
non abbiamo dismesso Terreni e immobili demaniali inutili e improduttivi
il debito pubblico può essere azzerato in un decennio
basta un po di serietà