Un bell’interrogativo che la dice lunga – ma veramente molto lunga – su un personaggio del risorgimento sul quale gli storici ‘officiali’ del nostro Paese hanno scritto e continuano a scrivere cumuli di bugie. Anche nella vicenda della morte della moglie Anita, Garibaldi ne esce malissimo. Ombre pesanti che non sono legate a dicerie, ma a fatti di cronaca ancora oggi rintracciabili: fatti che sono stati semplicemente nascosti per dare al mondo un’immagine sbagliata di questo personaggio torbido
di Ignazio Coppola
Ed è del periodo riograndese l’incontro di Giuseppe Garibaldi con Anita, che la dice, anche qui lunga, su questo “gentiluomo” senza scrupoli. È lui stesso nelle sue memorie a raccontare dettagliatamente dell’incontro avvenuto nell’ottobre del 1838 con la donna che poi lo seguirà per undici anni nella sua avventurosa esistenza, condividendo le sue peripezie prima di finire abbandonata, morente, in fuga dagli austriaci nella pineta di Ravenna.
“Passeggiavo sul cassero della mia nave – ricorda il nizzardo – perso nei miei cupi pensieri. A un tratto, posai lo sguardo all’ingresso della Laguna dove vi erano alcune pittoresche e semplici abitazioni. Puntando il cannocchiale, che abitualmente tenevo a portata di mano quand’ero sul cassero, vidi una giovane e ordinai che mi portassero immediatamente a terra in quella direzione. Appena sbarcato, mi diressi dove avrebbe dovuto essere la meta del mio viaggio. Ma non trovai nulla. Per caso incontrai un abitante del luogo, che avevo conosciuto subito dopo il mio arrivo in città (si trattava di Manoel Duarte, il legittimo marito di Anita) e egli mi invitò a prendere un caffè a casa sua. Entrammo e la prima persona che vidi era la donna che mi aveva spinto a sbarcare. Era Anita”.
“Restammo affascinati, guardandoci come persone che non si vedono per la prima volta e che cercano, sul viso dell’altra, qualcosa che aiuti a ricordare – scrive sempre Garibaldi -. La salutai e le dissi: devi essere mia (coupe de foudre, da vero tombeurs des femmes). Parlavo poco il portoghese e pronunciai in italiano queste parole impertinenti. Comunque, la mia insolenza fu magnetica. Avevo stretto un nodo, una sentenza che solo la morte poteva distruggere. Se vi fu colpa, fu interamente mia. E vi fu colpa. Due cuori si univano e si annientava l’esistenza di un innocente. Ora lei è morta, io sono infelice e lui è vendicato. Così capii il male che avevo fatto”.
Una confessione postuma, nelle sue memorie, di colpevolezza e di rimorso nei confronti di Anita ma, soprattutto, nei confronti dell’incolpevole marito. Che fine abbia fatto Manoel Duarte non si sa. Qualcuno azzardò a dire che, per non essere d’ingombro, lo sfortunato marito fu eliminato. A rafforzare questa tesi, la testimonianza postuma di un discendente del marito tradito, Taciano Barreto Nascimento, che così riferisce nel 1935 a proposito delle memorie della sua famiglia:
“Anita, sposatasi con Manoel, andò a vivere in casa del bisnonno, Joao Duarte, sulla collina di Barra, di fronte al molo dove ancoravano le navi dei farrapos. Garibaldi, frequentando la casa dei Duarte, conobbe Anita e se ne innamorò. Il marito di Anita fu arrestato dai soldati di Garibaldi e quest’ultimo si impossessò della ragazza con la quale già amoreggiava”.
L’eroe dei due mondi, secondo la versione del discendente del legittimo marito, s’era impegnato a liberare il Duarte ma, a quanto pare, i soldati lo avevano già ucciso.
All’atto del matrimonio, celebrato a Montevideo il 26 marzo 1842, Aña Maria de Jesus Ribeiro da Silva, stranamente, risultava nubile. Dall’unione con Anita, Garibaldi ebbe quattro figli: Menotti, Rosita (morta a 2 anni), Teresita e Ricciotti. Ma, se un alone di dubbio e mistero caratterizzò l’incontro tra Garibaldi e Anita a proposito della scomparsa del suo marito legittimo, ancora più di giallo si tinge la morte della stessa Anita avvenuta il 4 agosto del 1849.
Garibaldi, in fuga dalla Repubblica Romana e inseguito dalle truppe austriache e papaline, ai primi di agosto, lasciata San Marino con i pochi uomini che gli erano rimasti e con Anita in gravissimo stato, cercava di arrivare alla costa romagnola per poi raggiungere Venezia. Braccato dagli inseguitori, trovò alla fine rifugio nella fattoria Guiccioli, in località delle Mandriole, nei pressi di Ravenna.
Il fattore Ravaglia e la moglie assieme al medico Piero Nannini prestano i soccorsi alla morente Anita che, a detta di Garibaldi, cessò di vivere tra le sue braccia alle 7 e tre quarti del 4 agosto 1849. Così riporta nelle sue memorie:
“Le presi il polso, più non batteva. Avevo davanti il cadavere di colei che io tanto amava. Piansi amaramente la perdita delle mia cara Anita. Raccomandai alla buona gente che mi circondava di dare sepoltura a quel cadavere e mi allontanai sollecitato dalla stessa gente di casa che io compromettevo rimanendo più tempo”.
Fin qui il racconto di Garibaldi che non fa una grinza. Ma la vicenda si tinge a forti tinte di giallo quando, sei giorni dopo la morte, il 10 agosto, una ragazzina del luogo, tale Speranza, rientrando nella propria casa che sorgeva a breve distanza della fattoria Guiccioli, inciampa in qualcosa di indefinito e, con grande raccapriccio e paura, s’accorge che si tratta di una mano che emerge da uno strato di sabbia ed è scarnificata perché probabilmente divorata dai cani.
Intervengono la polizia del luogo e le autorità competenti. Viene dissotterrato un cadavere. È quello del corpo in decomposizione e martoriato di Anita Garibaldi.
“Trattasi del cadavere di Anita Garibaldi incinta e moglie del bandito Giuseppe Garibaldi, che tra l’altro presenta segni non equivoci di sofferto strangolamento”, scriverà poi nel suo rapporto il delegato di polizia riprendendo il referto, in seguito all’esame autoptico eseguito dal medico legale, il professor Luigi Foschini primario dell’ospedale di Ravenna.
Certificata morte per strangolamento, dunque. Ma allora che cosa accadde alle ore 7 e tre quarti del 4 agosto? Anita era ancora viva, a differenza di quanto sostiene Garibaldi nelle sue memorie? E chi la uccise, strangolandola per eliminare, essendo lei debole e malata, un ostacolo alla fuga del marito o un pericolo compromettente la sua presenza alla fattoria Guiccioli? Motivi per cui, essendo ancora viva, era opportuno in qualunque modo disfarsene.
Sorge per questo una miriade di interrogativi e illazioni. Le autorità, in un primo momento, fanno balenare l’ipotesi che sia stato lo stesso Garibaldi a uccidere la moglie incinta. Poi procedono all’arresto del fattore Ravaglia e di sua moglie sotto l’accusa di correità e complicità nel supposto omicidio dell’incognita donna del ben noto Garibaldi e di ospitalità al ricercato. Al processo, i Ravaglia saranno assolti. Tutto chiaro? Mica tanto!
Ma, allora, chi ha strangolato Anita?
Si mormorò allora che il processo fosse pilotato per evitare lo scandalo che sicuramente avrebbe coinvolto il marchese Guiccioli, persona di grande prestigio e notabile del luogo. Per i Ravaglia, finiti i guai giudiziari, continuarono quelli con il più terribile brigante romagnolo di quei tempi: Stefano Pelloni, detto il Passator Cortese, il quale, convinto che i Ravaglia si fossero impossessati di un tesoro abbandonato da Garibaldi in fuga, cercò in tutti i modi di far loro rivelare, con le buone e con le cattive, il luogo dove avevano nascosto l’ipotetico tesoro.
Di ciò non se ne seppe più niente, sottaciuto da storiografi e agiografi compiacenti, ma rimane il be-neficio del dubbio su una vicenda poco chiara da cui Garibaldi, certamente, ancora una volta non ne esce molto bene.
Come altrettanto poco bene, anzi ridicolizzato, se ne uscirà dal suo secondo matrimonio da commedia all’italiana, quando lui aveva già 52 anni con la giovanissima marchesina Giuseppina Raimondi, e celebrato a Como il 24 gennaio del 1860. Un matrimonio che durò in tutto poco meno di un’ora e che all’epoca, fece ridere mezzo mondo (qui potete leggere l’articolo del matrimonio boccaccesco di Giuseppe Garibaldi).
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...ma allora la scuola che ci raccontava era tutta un'altra storia. L'eroe dei due mondi sarebbe stato un bandito a mando di chi? Della casa Savoia? Lamentevole!
Si mormora, si dice, si racconta.
Coppola continua con la sua campagna demonizzatrice, al punto da far circolare la presunta leggenda nera della morte di Anita Garibaldi.
Leggenda nera smentita da questo passo: "Sul punto il presidente del Tribunale di Ravenna Giovanni Guaccimanni nella sua relazione al Ministero di Grazia e Giustizia 8 ottobre 1849 ebbe a scrivere: «Quei guasti nel ridetto cadavere riscontrati l'11 agosto non derivano che dall'effetto della inoltrata putrefazione, la quale avendo agito meno nella parte anteriore del collo, perché il mento lo aveva maggiormente difeso dal calore tramandato dalla sabbia ivi aveva lasciato un cerchio come di depressione, nel che convenne poscia lo stesso Fisico in un successivo esame sostenuto».
Conseguentemente «questro Tribunale Collegiale nella sua Camera di Consiglio del 1º settembre sospese la inquisizione ristrettivamente al titolo di preteso omicidio sul conto dei fratelli Ravaglia per addimostrare gli indizi raccolti non solo equivocità ed inefficacia, ma piuttosto innocenza dei prevenuti dimessi liberamente dal carcere il 7 ottobre 1849».
L'autore dell'articolo sul preteso 'strangolamento" di Anita Garibaldi è invitato a leggere gli anzidetti documenti giudiziari oggi all'Archivio di Stato di Bologna, peraltro riportati nel volume di Umberto Beseghi 'Il maggiore leggero e il trafugamento di Garibaldi. La verità sulla morte di Anita» Edizioni Stern di Ravenna 1932.
Questi storici documenti fanno tabula rasa delle fandonie circolate a quei tempi e rimetterle in circolazione 157 anni dopo è veramente fuori luogo oltre che oltraggioso alla memoria di Anita e Garibaldi.
Né vale a sostegno sulla morte di Anita riportare il brano a pag. 95 del volume 'italiane" offerto in omaggio ai lettori dal Dipartimento delle pari opportunità ove sono state scritte inesattezze che vanno rettificate.
Non è vero che «La donna impavida e orgogliosa è divenuta per i fuggiaschi un peso»: se materialmente lo era, sentimentalmente Garibaldi era sempre a fianco del 'biroccino che andava a passo lento", nonostante fosse braccato dalle pattuglie austriache e pontificie sguinzagliate dopo l'avventuroso sbarco a Magnavacca del giorno prima con Anita morente.
Continua il giornalista col dire che «Si insinuò perfino che coloro che avrebbero dovuto proteggerla l'assassinarono»: ciò dimostra che non ha mai letto la relazione del presidente del Tribunale di Ravenna Guaccimanni 8/10/1849 con la quale pose in libertà i fratelli Ravaglia dopo soli 27 giorni di detenzione dal ritrovamento del cadavere di Anita Garibaldi. Celerità giudiziaria di tempi addietro che dovrebbe essere esempio per quella d'oggi appesantita da troppa burocrazia e procedure che ritardano il corso della giustizia.
Non è vero infine che Anita fu 'abbandonata morente in un casolare?" ma 'partita da Roma affetta da febbri terzane che pel viaggio erano diventate doppie, per le scale della Villa Mandriole fu investita da una specie di convulsione che la tolse ai viventi" ebbe a scrivere l'eletta mente del magistrato Guaccimanni che ebbe a scindere dopo scrupolose indagini la realtà dei fatti da tutte le vociferazioni pubbliche, sospetti ed intrighi polizieschi."
http://ricerca.gelocal.it/lanuovaferrara/archivio/lanuovaferrara/2004/03/15/UX1PO_UX101.html
Basti leggere i documenti ufficiali che scagionano Garibaldi per evitare i si mormora, si dice e si racconta.
La cultura del sospeto fa parte della mentalità gesuitica.
Non so se Coppola è mai stato a Caprera (strano che nel suo resoconto non venga citato uno dei protagonisti della fuga il maddalenino Maggior Leggero Giovanbattista Culiolo).
Nella casa museo è possibile vedere tra i tanti cimeli garibaldini una ciocca di capelli appartenuta ad Anita.
Caro Fulgenzio, per evitare clamorosi infortuni e pretese scoperte sarebbe sufficiente leggere il rapporto che proprio il delegato di Polizia Lovatelli, l'estensore del documento qui citato, redasse il 15 agosto 1849 per le autorità di governo, e che venne pubblicato nel secondo volume del libro di Achille Gennarelli, Il governo pontificio e lo Stato romano, Prato, 1860, alle pp. 608-609. Anche questo libro è reperibile in books.google. Per quanto mi riguarda, come le ho già detto, ho smesso di correggere gli articoli di Coppola, che sarebbero ottimi spunti per lezioni in classe di metodologia storica. Buona Pasqua.
Caro Fulgenzio in tutta la sua, per certi versi meritevole, appassionata ed a tutti costi difesa della integrità morale dell’avventuriero dei “due mondi” proprio in considerazione di quello che lei sostiene ossia delle più che tempestiva e anche per quei tempi inusuale e veloce decisione del giudice Giovanni Guaccimanni di assolvere i Ravaglia non le viene il ragionevole dubbio che si volle stendere un velo pietoso su questa incresciosa vicenda a tutela del marchese Guiccioli nella cui proprietà avvennero i fatti e di cui i Ravaglia erano i fattori ? Fu opinione comune e generale a quel tempo appunto che il processo fu pilotato per evitare lo scandalo che sicuramente avrebbe coinvolto il marchese Guiccioli persona di grande prestigio e notabile del luogo. E poi mi aspettavo che, lei caro Fulgenzio, avesse qualche cosa da dire sulla misteriosa scomparsa in sud America del primo marito di Anita, Manuel Duarte e sulla quale scomparsa vi è l’autorevole testimonianza e dello stesso Garibaldi nelle sue memorie quando scrive : “Avevo stretto un nodo, una sentenza che solo la morte poteva distruggere. Se vi fu colpa, fu interamente mia. E vi fu colpa. Due cuori si univano e si annientava l’esistenza di un innocente( il marito di Anita). Ora lei è morta, io sono infelice e lui è vendicato. Così capii il male che avevo fatto”.E se lo dice lui gli si può credere . E poi a proposito, della scomparsa di Manuel Duarte allora marito di Anita fa testo l’autorevole testimonianza di Taciano Barreto Nacsimento discendete dello sfortunato consorte di Anita ed ostacolo da sacrificare all’amore sorto tra i due piccioncini . Ecco quanto riporta nella sua testimonianza il discendente dello sfortunato Duarte: ““Anita, sposatasi con Manoel, andò a vivere in casa del bisnonno, Joao Duarte, sulla collina di Barra, di fronte al molo dove ancoravano le navi dei farrapos. Garibaldi, frequentando la casa dei Duarte, conobbe Anita e se ne innamorò. Il marito di Anita fu arrestato dai soldati di Garibaldi e quest’ultimo si impossessò della ragazza con la quale già amoreggiava”. E di Manuel Duarte non se ne seppe più nulla. Questo caro Fulgenzio è un'altra ciliegina sulla torta che “arricchisce”la vita del nostro eroe. Ma anche qui è opportuno per amor di “patria” stendere un pietoso velo
Caro Marinelli con mio grande disappunto ho appreso della sua irrevocabile decisione di rinunciare, d’ora in avanti, a correggere le “bozze” dei miei articoli. Mi dispiace moltissimo ne sentirò soffertamente la mancanza e spero di riuscire a sopravvivere . Di sicuro non ne sentiranno la mancanza le migliaia di lettori che non da ora su Facebook condividono i miei articoli. Con stima suo Ignazio Coppola
GARIBALDI è stato la rovina di un meridione florido che era la terza potenza mondiale economica. dopo l'unione tutto ciò è stato rubato dai savoia e portato al nord. quando i meridionali si accorsero della fregatura cominciarono a ribellarsi e siccome erano tanti e di tutti i ceti sociali, i Piemontesi furono i primi ad inventarsi un lager che fu copiato in seguito dai nazifascisti.
utilizzarono la fortezza di Fenestrelle, sulla strada che da Pinerolo porta al Sestriere, all'interno della quale furono massacrati oltre 5000 ( cinquemila) patrioti che loro definivano " briganti".
Ma suvvia, non siamo tirchi. Le Due Sicilie terza potenza economica del mondo? Ma almeno seconda, e forse forse … Non si vorranno paragonare i suoi formidabili 126 km. di ferrovie nel 1861 con gli appena 11.089 dei paesi tedeschi, i 1051 della Svizzera, i 1730 dell’insignificante Belgio o i 53.416 degli Stati Uniti? E vogliamo parlare dell’industria cotoniera? Ben 70.000 fusi attivi nel 1860. E la perfida Albione? 31 milioni. La derelitta Francia? Cinque milioni e mezzo. I soliti tedeschi? Due milioni e duecentomila. Il povero Belgio? 612.000. E non trascuriamo la strepitosa produzione di ghisa. La Germania arrancava con le sue 422.000 tonnellate annue, il Belgio non superava le 366.000, gli ungheresi ne producevano non più di 80.000. Nulla, a confronto delle forse 15.000 del regno borbonico.
E sarà bello tacere dell’economia siciliana che, con l’esportazione delle sue derrate, risanava il deficit commerciale dei «Domini al di qua del Faro».
Meno male che ci sono i «revisionisti» a mettere a posto le cose.
Quando nel 1839 fu aperta la prima
tratta ferroviaria del Regno delle due
Sicilie, quattordici anni dopo l'inglese
Stockton-Darlington, prima linea
ferroviaria al mondo,il regno napole-
tano fu l'undicesimo paese ad adotta-
re il nuovo rivoluzionario modo di
trasporto terrestre.
Da precisare che il treno non era
previsto nell'ambito dei progetti dei
trasporti nel Regno delle due Sicilie
per un motivo molto semplice, la
mancanza del prezioso combustile
fossile, così abbondante nelle mini-
ere carbonifere inglesi,francesi,
tedesche,belghe,russi, non a caso
queste nazioni sono state le prime
ad investire in questo mezzo di
trasporto. Il Regno delle due Sicilie
infatti, si affidava ad un ottimo ed
efficente trasporto marittimo.
Nonostante questo, Ferdinando
secondo, volle investire in questo
nuovo progetto, il primo in Italia,
perchè aveva le risorse per farlo.
D'altronde,le officine di Pietrarsa
nate nel 1840, sei anni prima
della Taylor-Prandi (che dal 1853
diventa Giovanni Ansaldo),44 anni
prima della Breda di Pistoia, 57
anni prima della Fiat di Torino, la
dicono lunga su quello che era
all'epoca il Regno delle due Sicilie.
Nel 1861, anno della costituzione
del Regno d'Italia, la rete ferroviaria
italiana si sviluppava per 2035 km;
Gli stati germanici nel 1856 avevano
7.700 km, nel 1912 58.298 km;
Le ferrovie federali svizzere sono nate
solo nel 1902, i treni della schwei-
zerische centralbahn circolavano
però già dal 1 gennaio 1901 per conto
della federazione. La rete ferroviaria
dello stato Belga contava solo 380 km
sviluppata nel corso degli anni 1830-
1854 per collegare il Belgio alla
Francia e alla Prussia.
Purtroppo, la cifra di 5 mila patrioti
borbonici prigionieri nelle carceri
del nord italia (e non solo), deceduti
durante l'infame detenzione, sembra
essere sottostimata e pure di molto.
Basterebbe citare i 1800 soldati
borbonici mandati a morire nella
guerra di secessione americana.
Solo dopo la conquista della fortezza
di Gaeta, i savoia fecero 40 mila
prigionieri, quasi tutti deportati al
nord, a questi bisogna aggiungere
tutti i giovani prigionieri rastrellati
nel sud italia con lo scopo di essere
arruolati nell'esercito piemontese,
costoro non solo aggredirono il sud
depredandolo di tutto quello che
potevano arraffare al momento,
ma cercavano a tutti i costi i figli
giovani delle vittime allo scopo
di rimpinguare le fila del loro
esercito come carne da cannone
costringedoli alla leva di dieci anni
o più, a questi bisogna aggiungere
coloro che per varie motivazioni si
opponevano agli invasori, che se
non venivano uccisi all'istante
venivano inviati nelle prigioni dei
savoia, tutta questa gente non è
più tornata nella propria terra a
rivedere i propri cari, salvo rari casi.
Nel forte di Bard (AO) ,località
che si trova nei pressi di Pont St,
Martin, furono reclusi dei prigionieri
borbonici, deportati dai piemontesi.
Per provare questa presenza basta
consultare i registri di morte
parrocchiali dove appaiono, in quel
periodo registrati, numerosi decessi
con nomi e cognomi di provenienza
meridionale.Con questo metodo,
consultando i registri di morte dei
vari carceri savoiaiardi, ove non sono
stati fatti sparire, oppure mai tenuti
e registrati i decessi, perchè troppo
compromettenti, si può arrivare
con buona approssimazione a
stabilire quanti furono le vittime
della feroce repressione operata
dai savoia e dei caduti all'interno
delle carceri piemontesi.
In un mio viaggio in Brasile, conversando con un viaggiatore del posto, mi fu detto che Anita fosse stata maritata all'Imperatore Pedro II e poi ripudiata dallo stesso...