Dato ufficiale: oltre il 77% del grano duro estero che arriva in Puglia è di scarsa qualità!

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Il dato deve fare preoccupare tutti gli italiani. Ricordiamo che è proprio in Puglia – e precisamente nel ‘triangolo’ Altamura-Corato-Foggia – che viene macinato il grano che poi finisce in mezza Italia sotto forma di farina e semola. Quindi il pane, la pasta, le pizze, i biscotti, i dolci e tutti gli altri prodotti che arrivano sulle nostre tavole provengono, ci piaccia o no, da questo grano! Il dato non ce lo inventiamo noi, ma è stato fornito a GranoSalus dall’Agenzia delle dogane     

La notizia dovrebbe fare riflettere tutti i cittadini-consumatori italiani (e forse non soltanto italiani, come diremo più avanti): il 47% di grano duro estero che arriva in Puglia è di bassa qualità; il 30% è di media qualità; mentre solo il 23% è di alta qualità. Sono questi alcuni dei dati che l’Agenzia delle dogane ha fornito a GranoSalus, l’associazione che raccoglie produttori di grano duro di tutto il Sud Italia e consumatori.

Il tema i nostri lettori lo conoscono già: stiamo illustrando i primi controlli avviati da GranoSalus sul grano duro che arriva in Italia e sui derivati dello stesso grano duro (i primi risultati su questi ultimi dovrebbero essere disponibili la prossima settimana).

“Già di per sé il dato è preoccupante – commenta Saverio De Bonis, presidente di GranoSalus -. Di fatto, i nostri dubbi trovano un primo, importante riscontro: solo il 23% del grano duro che sbarca in Puglia con le navi viene definito di alta qualità. Il resto – stando a dati ormai ufficiali – è di media e bassa qualità. La prima domanda che ci dobbiamo porre è: dove finisce il 47% del grano duro estero che sbarca in Puglia e che gli uffici delle dogane definiscono di bassa qualità?”.

“Il dubbio, che poi è più di un dubbio – ci dice sempre De Bonis – è che finisca sulle tavole di milioni di ignari consumatori, non soltanto italiani, ma anche europei e di altri Paesi del mondo. Basti pensare alla pasta industriale che il nostro Paese esporta, per l’appunto, in mezzo mondo, fregiandosi di un Made in Italy garantito da un codice doganale secondo il quale è italiano ciò che ha subìto l’ultima trasformazione sostanziale nel nostro Paese”.

“Detto questo – spiega sempre il presidente di GranoSalus – non possiamo non notare, nella lettura di questi dati che ci sono stati forniti dall’Ufficio delle dogane, altri elementi che ci lasciano perplessi. Quando lo scorso gennaio le dogane ci hanno fornito i primi dati (che potete leggere in questo articolo), il grano estero che arriva nei porti pugliesi veniva classificato in sette codici. Ora i codici sono diventati tre: grano di bassa qualità, di media qualità e di alta qualità. Ma queste sono indicazioni che danno loro: indicazioni generiche, senza ulteriori specificazioni”.

“Che significa, infatti, grano di bassa qualità? – si chiede e chiede ancora De Bonis -. E che significano grani di media e alta qualità? La qualità, o meglio, le caratteristiche della qualità del grano che arriva con le navi non viene esplicitata. Ci riferiamo alle qualità nutrizionali, alle proteine presenti e, perché no?, all’eventuale presenza di miceti e di micotossine. Per non parlare del glifosato. Insomma, in questi dati che ci sono stati forniti fino ad oggi mancano le informazioni che interessano ai consumatori, che hanno diritto di conoscere notizie precise sulla qualità degli alimenti”.

Di fatto, le parole di De Bonis confermano quanto abbiamo scritto qualche giorno fa:

Incredibile: nessuno controlla le navi che scaricano il grano estero in Italia… E noi mangiamo!

In attesa di conoscere gli altri dati che GranoSalus renderà noti la prossima settimana e nei prossimi mesi – si spera anche con l’aiuto dei cittadini, che debbono diventare i veri protagonisti e partner di questa presa di coscienza alimentare – torna la domanda che ci siamo posti nei giorni scorsi: cosa dobbiamo fare per difenderci dal grano cattivo?

Una prima risposta abbiamo provato a illustrarla nel seguente articolo:

Che fare per contrastare il CETA? Intanto cominciamo a non acquistare più la pasta industriale!

Ma questo, forse, non basta. De Bonis ci invita ad essere ancora più attenti. Spiega:

“Non acquistare più la pasta industriale è un primo passo importante – dice – almeno fino a quando non avremo i dati esatti sulla qualità della pasta industriale. Se verrà fuori che la pasta industriale è sana e non contiene contaminanti e, in generale, sostanze che provocano danni al nostro organismo, per carità: ben venga la pasta industriale. Mi sembra comunque ottima l’idea di cominciare a pensare di fare la pasta e il pane in casa. Ma, anche in questo caso, bisogna stare attenti”.

“Quando andiamo ad acquistare la farina dal mugnaio – aggiunge De Bonis – dobbiamo chiedergli: il grano lo ha acquistato dai commercianti o dagli agricoltori? Il passaggio è fondamentale. Perché nel grano duro del Sud è importante applicare la regola del prodotto a chilometro zero o comunque riconducibile a una zona del Mezzogiorno che garantisca la qualità dello stesso grano duro. Così diventa necessario conoscere il luogo di provenienza del grano del mugnaio che vi vende la farina. In altre parole, il consumatore deve esigere dal mugnaio prove documentali che dimostrino la ‘tracciabilità’ dell’acquisto di materia prima che nei supermercati non è possibile ottenere”.

“Detto in parole ancora più semplici – aggiunge il presidente di GranoSalus – i consumatori potrebbero chiedere al mugnaio di esibire la fattura di acquisto del grano duro. Dovrebbe essere lo stesso mugnaio ad esibire la fattura a garanzia di chi va ad acquistare da lui la farina”.

Fermo restando che i dati forniti dalle dogane vanno presi con le pinze, in attesa di ulteriori delucidazioni, salta agli occhi un dato: il 60% del grano duro canadese che arriva in Italia sbarca in Puglia. Domanda: e l’altro 40% dove va?

“Noi abbiamo il dubbio che possa sbarcare nei porti siciliani, a Ravenna, ad Ancona, a Savona e a Civitavecchia”, sottolinea De Bonis.

“Un altro dato che ci sembra importante segnalare – sottolinea sempre il presidente di GranoSalus – è che l’88% del grano duro estero che arriva in Puglia affluisce nel porto di Bari. Quali gruppi industriali orbitano nell’area di Bari?”.

“Va ricordato – conclude De Bonis – che, oltre ai gruppi industriali della molitura e della pastificazione, nella zona pugliese e lucana ci sono due noti presidi famosi per il pane che, da alcuni anni, hanno cambiato i propri disciplinari per inserire il grano estero tra le miscele di varietà di grano che utilizzano”.

 

 

 

 

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