Un interessantissimo post del giornalista pugliese, Raffaele Vescera pone un tema sempre attuale:la divisione dei gruppi che si battono per la difesa del Mezzogiorno, le manie di protagonismo, la convinzione di essere gli unici titolari di un brand:”Di che lamentarsi poi se la loro azione politica è debole e la loro comunicazione quasi inesistente li relega nell’oscurità mediatica”?
I militanti hanno già compreso, per i profani è necessaria una spiegazione.
L’anima meridionalista del M5S, ve lo garantisco ne esiste una per conoscenza personale dei loro portatori, ha deciso di lanciare nei consigli regionali delle regioni del Sud una mozione che chiede l’istituzione di un giorno della memoria per le vittime del genocidio del popolo meridionale avvenuto per mano sabaudo-piemontese tra il 1860 e il 1870. Dieci anni di stupri, massacri, stermini, carneficine subiti dagli abitanti delle Due Sicilie per mano di un esercito invasore straniero, qual era quello piemontese. Avvenimenti ben raccontati in “Terroni” e “Carnefici” di Pino Aprile, solo per citare i più popolari, libri che hanno contribuito a creare un’opinione di massa favorevole ai temi meridionalisti.
Ebbene, anziché esultare per il risultato raggiunto dal movimento meridionalista nel suo insieme, i capetti tribali attaccano brutalmente l’iniziativa al grido di “siamo noi i meridionalisti puri e nessuno deve fare ciò che noi non riusciamo a fare.” Incredibile ma vero, e significativo delle tante divisioni che corrono tra i movimenti meridionalisti. Essi continuano ad agire come sette minoritarie per vocazione e non si rendono conto che sono portatori di segreti ormai diventati di massa. Alcuni meglio strutturati e forniti di un minimo spirito unitario, altri gruppi isolati, settari, chiusi a ogni dialogo e senza prospettive di sviluppo. Composti da pochi iscritti, agiscono da alcuni anni, forse dieci, agitando temi di lotta giusti quali il riscatto del Mezzogiorno, ma trascurando di allargare le proprie truppe, vedono come nemico i gruppi concorrenti che agitano gli stessi temi, anziché lo Stato italiano, antimeridionale per sua istituzione.
Il bacino politico meridionalista al Sud è ormai ampio, riguarda alcuni milioni di potenziali sostenitori, lo scorso referendum è stato un segnale importante, lo vediamo anche nelle piazze, nelle librerie, nelle sale conferenze dove parliamo di Sud. A fronte di ciò, l’organizzazione politica dei movimenti meridionalisti è ancora ampiamente deficitaria per le ragioni sopra dette. Sciocchi diritti di “primogenitura ed esclusiva sul brand Sud”, infantili protagonismi personali, il meschino piacere di autodefinirsi presidente o segretario di un numero esiguo di iscritti, incapacità al dialogo, negazione di qualsivoglia autocritica. Di che lamentarsi poi se la loro azione politica è debole e la loro comunicazione quasi inesistente li relega nell’oscurità mediatica?
Come non ricordare le regionali campane di due anni fa con il giornalista meridionalista Marco Esposito candidato presidente per conto di Mo-Um, e le incomprensibili posizioni di gruppi rivali quali i Meridionalisti democratici e Insorgenza civile sostenitori addirittura dell’impresentabile De Luca, mentre il Partito del Sud se ne andava col Pd e altri “impolitici” invitavano ad andare al mare? E come dimenticare le passate comunali di Napoli con ben 3 liste tre differenti, di Mo-Um, Meridionalisti Democratici e Partito del Sud, puniti con uno zero virgola ciascuno, insieme avrebbero preso almeno un consigliere meridionalista.
Che cosa li divide politicamente, sebbene i loro programmi sembrino simili, c’è qualcuno in grado di spiegarmelo, non ci arrivo? Ah, sì, le ragioni sopraddette. Qui non accuso alcuno in particolare, la colpa è di tutti i componenti, come in ogni divisione, forse occorre una terapia di gruppo, metterli tutti intorno a un tavolo e farsi dire che cosa li divide per davvero e perché non riescono ad accordarsi su uno straccio di programma politico unitario da sostenere insieme, pur restando ciascuno a casa propria, per quanto diroccata sia. Che cosa impedisce loro di ricorrere a normali procedure democratiche per eleggere i rappresentanti di un eventuale movimento unito almeno per le elezioni? Scusatemi la brutalità, ma chiedo ai militanti di base di “fare il culo” ai propri dirigenti per spingerli giocoforza all’azione comune. I renitenti se ne vadano grillinamente affanculo.
In questo, non è forse il caso di imparare qualcosa dalle regole stabilite nel M5S che riesce a tenere insieme molte anime diverse, comunque impegnate su un programma di riscatto politico-morale del paese? Certo i meridionalisti vogliono qualcosa in più, si battono per il riscatto del Sud, trattato quale colonia interna dallo Stato italiano. Ma se davvero lo vogliono, perché dividersi e rifiutare la mano di possibili alleati che vogliono la stessa cosa? Non so davvero se il mistero abbia una soluzione logica oppure psico-logica.