Una retorica buonista fa perdere di vista il problema di un sistema marcio fatto di business e clientele. Rappresentanti istituzionali che si vantano di quanto siamo bravi ad accogliere, dimenticando che per primo dovremmo ‘accogliere’ i Siciliani: quelli costretti ad andarsene e quelli che vorrebbero tornare…
C’è una retorica melensa che accompagna il dibattito sull’immigrazione in Italia. Che scade nel buonismo più sterile con cui si tenta di coprire tutti i difetti di un sistema marcio, che degli immigrati ha fatto un business e/o strumento clientelare. Basterebbe citare l’inchiesta Mafia Capitale per ricordare cosa il fenomeno dell’immigrazione sia diventato (ricordate? “Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno” diceva al telefono l’indagato Buzzi).
Ma è difficile parlarne perché c’ è sempre il sapientone di turno che ti ricorda che parliamo di salvare vite umane. Come se salvare vite umane significasse per forza continuare ad alimentare un sistema fradicio. E’ una retorica interessata, strumentale, con la quale è pure inutile perder tempo.
E’ una retorica largamente abusata anche dai politici siciliani.A partire dal Presidente della Regione, Rosario Crocetta, che in televisione si pavoneggia con l’immagine di una Sicilia “terra d’accoglienza”. Che i Siciliani siano solidali di spirito, lo sappiamo. Ma da un rappresentante delle istituzioni siciliane preferiremmo sentire qualche parola in difesa di quei Comuni che devono sostenere i costi di una politica immigratoria discutibile. Come dimenticare lo sfogo del Sindaco di Pozzallo, Luigi Ammatuna, che ha accusato il Governo nazionale di scaricare sul suo ente i costi dell’accoglienza? E non è il solo. Si fanno belli sulla pelle dei cittadini siciliani già costretti a vivere in Comuni senza risorse a causa dei tagli regionali e nazionali.
Crocetta non è il solo. Anche il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, dell’immigrazione fa il suo mantra. Lo ha fatto anche in occasione dell’incoronazione del capoluogo siciliano a Capitale della Cultura Italiana: “Chi arriva a Palermo è palermitano, l’integrazione è la nostra filosofia”. Bene, bravo, applausi. Quanta sensibilità degna di lode.
Ma c’è un però grande quanto una casa. Che Paese è un Paese che parla di accoglienza e immigrazione ma non riesce a frenare l’emigrazione, né tanto meno si impegna per fare tornare tutti quei Siciliani e quegli Italiani che vorrebbero tornare?
Non possiamo dimenticare che i rapporti ufficiali parlano di un vero e proprio esodo dalla Sicilia (e dal resto del Sud) verso l’estero. La Svimez- Associazione per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno- ha denunciato più volte il rischio “desertificazione umana” nel Mezzogiorno. La Fondazione Migrantes, lo scorso dicembre, ci ha fornito i numeri, sempre più allarmanti:
1) aumenta il numero di italiani che lasciano il Paese per andare a vivere all’estero. Sono 4,8 milioni. Circa 110 mila se ne sono andati soltanto nell’ultimo anno; in dieci anni si è registrato un aumento del 54,9% di iscritti all’Aire (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero).
2) La Sicilia con 730.189 persone costrette ad andarsene, resta la prima regione di origine degli italiani residenti all’estero.
3) Il 51,4% di iscritti all’Aire è di origine meridionale: dal Sud sono 1.560.542 e dalle Isole sono 822.810. Il 33,2% è partito dal Settentrione (Nord Ovest: 772.620 e Nord Est: 766.900) e il 15,4% è originario di una regione del Centro Italia (713.775)
E, allora, va bene l’integrazione culturale, va benissimo, per carità, il salvataggio delle vite umane e porte aperte a chi fugge da guerra e povertà. Ma il problema deve essere gestito a livello europeo dove l’Italia conta poco o forse vuole contare poco per continuare a fare business e clientele sulla pelle dei migranti.
Ma i Siciliani, dalle loro istituzioni, dovrebbero pretendere impegni e sforzi per frenare l’emorragia che svuota le nostre città e per fare tornare chi non aveva nessuna voglia di andarsene. E, ovvio, non vale solo per la Sicilia: “Fabrizia era andata via da qui per cercare lavoro, ha dovuto lasciare questa terra che non riesce a dare speranza a questi giovani per il lavoro”. Parole di denuncia, tanto amare quanto vere quelle pronunciate durante l’omelia dal vescovo di Sulmona, Angelo Spina, che ha celebrato le esequie di Fabrizia di Lorenzo, la 31enne morta nella strage di Berlino del 19 dicembre.
Questa è la verità.
Occuparsi degli altri, prima che dei Siciliani, forse fa chic, radical chic. Ma non è per questo che i Siciliani pagano i loro rappresentanti istituzionali. Che avrebbero il dovere di occuparsi di loro. Poi il resto.
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