Dimostriamo con i numeri che, prima della ‘presunta’ unificazione italiana, nel Regno delle due Sicilie si viveva molto meglio che nel Centro Nord Italia. Gli ‘storici’ prezzolati, al servizio dei vincitori, sono riusciti a falsificare la storia, raccontando solo volgari ‘verità’ di regime. Ma le nebbie della menzogna si vanno diradando e la verità, piano piano, va emergendo. Tranquilli ‘nordisti’ e ‘romanocentrici’ predoni e bari: stiamo arrivando…
di Ignazio Coppola
È ormai ricorrente, da parte di una prevalente pubblicistica che ha avviato da tempo una attenta e illuminata revisione storica, l’opinione che, prima dello sbarco dei Mille, nel Regno delle due Sicilie era in atto un vero e proprio miracolo economico. Un pubblicistica che, attraverso studi e documentate ricerche, tende a dimostrare, a differenza di quanto sinora ci hanno raccontato, che nel Sud, ancor prima dell’Unità d’Italia, era stato avviato un proficuo e significativo processo di industrializzazione.
Quando Garibaldi, prima del 1860, si incontrò in America Latina con gli emigrati, questi erano quasi tutti settentrionali. I meridionali, a quel tempo, a casa loro ci stavano bene. Il Regno delle due Sicilie possedeva la seconda flotta di Europa (9.848 bastimenti con 259.910 tonnellate di stazza totale), un debito pubblico ininfluente, una moneta forte. Il complesso siderurgico di Pietrarsa, nel Napoletano, vantava un fatturato che al Nord si sognavano.
Quella delle due Sicilie fu la prima nazione ad esportare in Russia, instaurando anche solidi rapporti commerciali con l’America. Gli armatori De Pace, con le loro navi, collegavano l’Europa con il Nuovo Mondo e i Florio avevano iniziato la loro scalata industriale e commerciale. Fu nel Regno delle due Sicilie, il 3 ottobre 1831, a essere inaugurata la prima ferrovia in Italia, la Napoli-Portici.
Una riuscita iniziativa industriale, impregnata di socialismo, fu la colonia di San Leucio, nei pressi di Caserta, chiamata Ferdinandopoli in onore del penultimo re borbonico che ne fu il fondatore. Una sorte di “Comune”. La “Città del Sole” di Tommaso Campanella non era più una utopia; una città socialista in cui gli operai, con pari diritti e doveri, autogestivano il proprio lavoro, producendo seta con tecniche avanzatissime. Quando, dopo l’Unità d’Italia, nel 1866, fu nazionalizzata, Ferdinandopoli cadde in disgrazia, fallì e fu chiusa.
Prima dell’annessione, il Regno del Sud, nel settore dell’industria, contava 2 milioni di occupati a fronte dei 400.000 della Lombardia, possedendo 443 milioni di moneta in oro, ossia l’85% delle riserve auree di tutte le province.
Ma anche in Sicilia, in quei tempi, al pari dei territori continentali del Regno di Napoli, era tutto un fiorire di iniziative economiche.
La Sicilia, alla condizione di regione depressa venne condannata non prima, ma dopo l’arrivo di Garibaldi.
La favola di una Sicilia e del Sud irrimediabilmente negati a ogni forma di sviluppo industriale faceva parte di un alibi tendente, successivamente, a giustificare una politica di asservimento del Mezzogiorno all’esclusivo ruolo di mercato e sbocco dei consumi dei prodotti agricoli e industriali del Nord.
Ancora prima dell’Unità, fioriva nelle due maggiori città dell’Isola, Palermo e Catania, l’industria della seta esportata con successo, per la qualità dei suoi prodotti, nei mercati europei e mediterranei.
L’industria del tabacco produceva migliaia di tonnellate di manufatti all’anno, occupando tra operai e indotto, diverse migliaia di Unità lavorative.
Fiorenti, a quei tempi, erano anche le attività cantieristiche, navali, metalmeccaniche, chimiche, della lavorazione del cotone e del lino, l’industria conserviera, la produzione e la commercializzazione dei vini e l’estrazione e la lavorazione dello zolfo, quest’ultima la più importante e ricca d’Europa.
Vero fiore all’occhiello, poi, dell’economia isolana era la flotta mercantile con la compagnia Florio che gareggiava con le principali marinerie del Mediterraneo.
Nel decennio che va dal 1850 al 1860 era stato varato, dal punto di vista amministrativo, un notevole numero di provvedimenti, a salvaguardia dell’economia isolana, di innegabile portata. Fu costituito un debito pubblico con un immediato risveglio nel movimento dei capitali.
Fu creato il Banco Autonomo di Sicilia, due casse di sconto e numerose casse di risparmio.
Costituita la redimibilità dei censi degli enti morali, ripristinato il libero cabotaggio tra l’Isola e il continente e istituito il fido doganale.
Istituito il Portofranco di Messina, riorganizzato e aggiornato il catasto fondiario e creato ex novo il genio civile.
Con l’Unità d’Italia di tutto questo non rimase più nulla. Il nascente sistema industriale e le risorse del Sud furono progressivamente smantellate e trasferite al Nord. E fu appunto allora che con l’Unità d’Italia sorse “La questione meridionale”.
A tal proposito Edmondo Capocelatro e Antonio Carlo due insigni scrittori d’economia che nel loro libro: “La questione meridionale – Studio sulle origini dello sviluppo capitalistico in Italia” edizioni la Nuova Sinistra del 1972, testualmente sostengono tra l’altro:
“Anche dal punto di vista sociologico politico l’arretratezza e l’ottusità della borghesia meridionale è una colossale invenzione e mistificazione storica. Resta perciò da chiarire perché, pur non essendo questa borghesia inferiore a quella del Nord per forza economica e lungimiranza politica, essa venisse praticamente distrutta o quanto meno soggiogata. Le cause del sottosviluppo del Sud e della Sicilia che, al momento dell’Unità, non era inferiore al Nord sono da individuare nell’azione dello Stato unitario dominato dalla borghesia settentrionale, attraverso il soffocamento della nascente industria meridionale, la legge sul corso forzoso e il protezionismo che si concluse con la definitiva subordinazione e la integrazione dell’economia meridionale nello sviluppo capitalistico del triangolo industriale del nuovo stato unitario”.
E fu così , con l’impoverimento e le spoliazioni del Sud e della Sicilia, che iniziarono i grandi flussi migratori dalla Sicilia verso le Americhe e verso altri Stati europei e verso altri Paesi del mondo. Prima della costituzione del nuovo Stato unitario, ossia prima del 1860, negli Stati Uniti, per esempio, si contavano molti più emigranti del Nord che del Sud. L’impoverimento e lo stravolgimento delle regioni meridionali invertirono tali tendenze.
Le rimesse e i risparmi degli emigranti meridionali finirono poi, negli anni a venire, paradossalmente, per favorire lo sviluppo delle fiorenti industrie del Nord e l’acquisto delle materie prime necessarie alla loro crescita.
Le enormi risorse drenate e rapinate, i grandi sacrifici imposti, l’impoverimento del Sud a favore del Nord, le repressioni soffocate nel sangue furono un prezzo che il Mezzogiorno e la Sicilia furono costretti a pagare, più di tutti gli altri, al processo di Unità nazionale. E nella perdurante logica economica che si instaurò allora un Paese “programmato” a due velocità con un Nord ricco e produttivo e un Sud povero, colonizzato ed assistito che ancora oggi continuiamo a pagarne le drammatiche conseguenze.
I libri di scuola dicono che il Regno delle Due Sicilie era arretrato e povero, ma non era così.
Ecco quali erano i primati del Regno, tratti da “Le industrie del Regno di Napoli” di Gennaro De Crescenzo.
I primati del Regno delle Due Sicilie.
1735. Prima Cattedra di Astronomia in Italia
1737. Costruzione S.Carlo di Napoli, il più antico teatro d’Opera al mondo ancora operante
1754. Prima Cattedra di Economia al mondo
1762. Accademia di Architettura, tra le prime in Europa
1763. Primo Cimitero Italiano per poveri (Cimitero delle 366 fosse)
1781. Primo Codice Marittimo del mondo
1782. Primo intervento in Italia di Profilassi Antitubercolare
1783. Primo Cimitero in Europa per tutte le classi sociali (Palermo)
1789. Prima assegnazione di “Case Popolari” in Italia (San Leucio a Caserta)
1789. Prima assistenza sanitaria gratuita (San Leucio)
1792. Primo Atlante Marittimo nel mondo (Atlante Due Sicilie)
1801. Primo Museo Mineralogico del mondo
1807. Primo Orto Botanico in Italia a Napoli
1812. Prima Scuola di Ballo in Italia, gestita dal San Carlo
1813. Primo Ospedale Psichiatrico in Italia (Real Morotrofio di Aversa)
1818. Prima nave a vapore nel mediterraneo “Ferdinando I”
1819. Primo Osservatorio Astronomico in Italia a Capodimonte
1832. Primo Ponte sospeso, in ferro, in Europa sul fiume Garigliano
1833. Prima Nave da crociera in Europa “Francesco I”
1835. Primo Istituto Italiano per sordomuti
1836. Prima Compagnia di Navigazione a vapore nel mediterraneo
1839. Prima Ferrovia Italiana, tratto Napoli-Portici
1839. Prima illuminazione a gas in una città città italiana, terza dopo Parigi e Londra
1840. Prima fabbrica metalmeccanica d’ Italia per numero di operai (Pietrarsa)
1841. Primo Centro Sismologico in Italia, sul Vesuvio
1841. Primo sistema a fari lenticolari a luce costante in Italia
1843. Prima Nave da guerra a vapore d’ Italia “Ercole”
1843. Primo Periodico Psichiatrico italiano, pubblicato al Reale Morotrofio di Aversa
1845. Primo Osservatorio meteorologico d’Italia
1845. Prima Locomotiva a vapore costruita in Italia a Pietrarsa
1852. Primo Bacino di Carenaggio in muratura in Italia (Napoli)
1852. Primo Telegrafo Elettrico in Italia
1852. Primo esperimento di illuminazione elettrica in Italia, a Capodimonte
1853. Primo Piroscafo nel Mediterraneo per l’America (il “Sicilia”)
1853. Prima applicazione dei pricìpi della Scuola Positiva Penale per il recupero dei malviventi
1856. Expò di Parigi, terzo paese al mondo per sviluppo industriale
1856. Primo Premio Internazionale per la produzione di Pasta
1856. Primo Premio Internazionale per la lavorazione di coralli
1856. Primo sismografo elettrico al mondo, costruito da Luigi Palmieri
1860. Prima Flotta Mercantile e Militare d’Italia
1860. Prima Nave ad elica in Italia “Monarca”
1860. La più grande industria navale d’Italia per numero di operai (Castellammare di Stabia)
1860. Primo tra gli stati italiani per numero di orfanotrofi, ospizi, collegi, conservatori e strutture di assistenza e formazione
1860. La più bassa mortalità infantile d’Italia
1860. La più alta percetuale di medici per numero di abitanti in Italia
1860. Primo piano regolatore in Italia, per la città di Napoli
1860. Prima città d’Italia per numero di Teatri (Napoli)
1860. Prima città d’Italia per numero di Tipografie (Napoli)
1860. Prima città d’Italia per di Pubblicazioni di Giornali e Riviste (Napoli)
1860. Primo Corpo dei Pompieri d’Italia
1860. Prima città d’Italia per numero di Conservatori Musicali (Napoli)
1860. Primo Stato Italiano per quantità di Lire-oro conservata nei banchi Nazionali (443 milioni, su un totale 668 milioni messi insieme da tutti gli stati italiani, compreso il Regno delle Due Sicilie)
1860. La più alta quotazione di rendita dei Titoli di Stato
1860. Il minore carico Tributario Erariale in Euro.
Foto tratta da firstonline.info
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Non vorrei ripetere lo stesso concetto, che potrebbe apparire volgare ma la storia dei primati mi rcorda tanto quel gioco praticato dai fanciulli in età prepuberale sulla lunghezza et grandezza della virilità maschile.
Con questa storia dei primati si vorrebbe dimostrare una presunta ricchezza in uno stato che non ha mai avuto una vera rivoluzione industriale paragonabile a quella dell'Inghilterra, che ha sempre avuto l'appoggio delle potenze europee per tornare a galla (si pensi al 1799 e all'intermezzo dei regni di Giuseppe Bonaparte prima e di Gioacchino Murat, regni nei quali vi fu una forte modernizzazionne in tutti i campi compreso l'esercito; murattiani erano Morelli e Silvati, murattiano era Guglielmo Pepe etc..) e che ha determinato con la nascita del Regno delle due Sicilie l'abolizione della Costituzione del 1812 la ribellione della Sicilia che per ben 5 volte si ribellò ai Napoletani (così erano chiamati dai contemporanei i borbonici, non si utilizzava il neologismo duosiciliano) si pensi in particolar modo alla vicenda del colera nel 1837 che colpì l'isola e alla violenta reazione che subì Catania per la ribellione e la repressione subita dal Ministro Del Carretto, noto per aver distrutto il paese di Bosco nel 1838 (altro che Borbonia felix, si doveva chiamare Borbonia ferox!)...
Per il resto, ancora una volta si critica l'approccio metodologico dell'autore, che oltre alle dicerie e alla ricostruzione mitologica del passato, tipica di chi idealizza unna presunta età dell'oro, non supporta le sue tesi con testi o fonti, ma si limita a fare una sterile gare su primati come quello della ferrovia Napoli-Portici che non fu di alcun ausilio per il ritorno a casa di Ferdinando II inteso Re Bomba (chiamato così dai siciliani, mentre il poverello franceschiello era soprannominato dal gentore in Lasagna!) che morì in viaggio a causa della setticemia causata dal fallito attentato alla vita del sovrano fatto dal soldato Agesilao Milano.
Errata corrige il paese di Bosco fu distrutto, sempre dal Del Carretto, nel 1828 e non nel 1838 come ho erroneamente scritto, rivedendo sommariamente le bozze del mio intervento... Sarebbe interessante portare alla luce un episodio poco conosciuto e poco studiato dalla storiografia soprattutto da coloro che si definiscono senza cognizione di causa neoborbonici...
Non credo che i neoborbonici abbianno l'interesse ad affrontare un tema spinoso come quello della cancellazione forzata e della deportazione degli abitanti di Bosco.
L’articolo di Ignazio Coppola richiederebbe una lunga serie di “puntualizzazioni”. Mi limito a tre per non risultare fastidioso. 1. La ferrovia Napoli-Portici non fu inaugurata il 3 ottobre 1831 ma il 3 ottobre 1839 (e questo può essere considerato un errore di battitura); 2. La flotta mercantile delle Due Sicilie sarebbe stata la seconda d’Europa. Coppola non ci dice se superava quella inglese o quella francese: credo che questa affermazione si smentisca da sola, senza bisogno di ulteriori informazioni. Ma il punto vero è che se la flotta mercantile delle Due Sicilie contava alla vigilia del 1860 9848 bastimenti, il tonnellaggio complessivo era di appena 259.909 tonnellate con un tonnellaggio medio di appena 26,4 tonnellate. E in una nave mercantile il tonnellaggio non è un elemento accessorio: è il volume degli spazi da carico. Il Regno di Sardegna, con una flotta di soli 2908 bastimenti, vantava un tonnellaggio di 208.218 tonnellate, in media 71,6; la flotta austriaca, che aveva come basi i porti di Venezia e Trieste, di bastimenti ne contava 3351 ma il loro tonnellaggio era di ben 350.899 tonnellate, con una media di 104,7. Non certo per caso nel 1857 il volume commerciale del Regno delle Due Sicilie ammontava a soli 113 milioni di ducati, nettamente inferiore a quello di altri stati, regno sardo per primo (uso per facilità di controllo da parte dei lettori il saggio di A. Clemente, La marina mercantile napoletana dalla Restaurazione all’Unità in Storia economica, 2011, n.2, pp. 207-246). Non credo servano commenti. 3. Quanto agli occupati nel settore “industriale” (1.566.373 nel Regno delle Due Sicilie contro 797.402 di Lombardia, Piemonte e Liguria secondo il censimento del 1861), che i dati fossero inattendibili era chiaro già ai compilatori data la varietà e vaghezza del termine “industria” allora utilizzato. Sul punto può essere ancora utile rileggere le osservazioni di S. Merli, Proletariato di fabbrica e capitalismo industriale, La Nuova Italia, 1972, pp. 71-75).
Sulla situazione siciliana, esiste lo studio di O. Cancila e me ne sono occupato perfino io: ed era tutt’altro che rosea.
Ultima osservazione: Capecelatro e Carlo riconoscevano che la Sicilia veniva usata dai Borbone come una “colonia interna”. Forse i “sicilianisti” dovrebbero prenderli un po’ più sul serio.
Anche se la ferrovia è stata inaugurata nel 1839, ciò non toglie che sia stata la prima tratta su binari in Italia; anche se il termine "industria" a quei tempi era utilizzato in maniera molto generica, anche questo non toglie che il Sud fosse più sviluppato da quel punto di vista rispetto al Nord. Non lo dico da ragazzo meridionale quale sono, ma lo dico da ragazzo italiano che sta cercando di capire la realtà riguardo l'unificazione del proprio stato.
CHarly, è abbastanzxa inutile il primato della ferrovia, per le seguenti ragioni:
1- tutti i primati sono di per se inutili.
2- tutti gli altri stati italiani stavano costruendo ferrovie. In effetti, il primo a prendere in considerazione di farlo fu il Piemonte, che decise però di aspettare, e il primo ad avviare le pratiche per costruere ferrovie fu il lombardo-veneto, che però fu rallentato di parecchio da Vienna.
3- IL Regno delle due Sicilie non costruiva le locomotive, ma le assemblava su componentistica inglese. Le prime locomotive progettate, costruite e assemblate in italia da italiani furono fatte in Piemonte, nel 1854., mentre ilk RdS continuava a importare componentistica dall'inghilterra, quindi non c'è alcun primato tecnologico del RdS
Per caso vorrebbe sopprimere
anche I Guinnes dei Primati ?
Se ne faccia una ragione, il tratto
di ferrovia costruito in Italia per
primo, è il Napoli-Portici, capisco
che le dia non poco fastidio, ma
si deve rassegnare. Per sua cono-
scenza, quelli che ci sono andati
più vicino al primato, sono stati i
veneziani Sebastiano Wagner e
Francesco Varè, con una domanda
di concessione inoltrata il 29.4.1836
all'Imperatore Ferdinando primo
d'Austria, ma i lavori sono iniziati
purtroppo, soltanto il 25.4.1841
sul primo tronco Padova-Mestre
della linea Venezia-Milano.
Mentre la concessione della linea
ferroviaria Napoli-Nocera,venne
firmata a Modena dal Re Ferdinando di Borbone il 19.6.1836, ma la
domanda di concessione era stata
inoltrata dall'Ing. Bayard nei primi
giorni di gennaio del 1836, il ritardo
della firma, in questo caso fu dovuto
alla morte della Regina Maria Cristina
avvenuta il 31.1.1836 in conseguenza
del parto del figlio Francesco, la cui
nascita avvenne il 16 dello stesso mese.
Il primato lo vuole, per caso dare al
Piemonte ? "Che però decise di aspet-
tare." Per sua conoscenza, gli Stati
Germanici, per il loro unico tratto di
ferrovia Norimberga-Furth di Km 7
inaugurata il 7.12.1835, utilizzarono
per l'occasione, una loro locomotiva
Adler, mentre l'Austria per il primo
tratto della loro ferrovia Vienna-Wagram
utilizzarono una loro locomotiva Nord-
Stern. Altri Stati si sono avvalsi
invece, di locomotive inglesi delle
Officine Longridge, come il Regno due
Sicilie, le cui officine di Pietrarsa erano
in grado di attendere alla manutenzione
e alla revisione del materiale rotabile
esistente e nel 1945 lo stabilimento è
in grado di iniziare il montaggio di sette
locomotive, i cui pezzi sono costruiti in
Inghilterra, in seguito a Pietrarsa si
costruivano locomotive su progetti
napoletani, su licenza e brevetti
stranieri. Le chiedo, di citare quali
locomotive, invece, utilizzavano il
Piemonte, la Lombardia e le altre
regioni per le loro ferrovie, attendo
la sua risposta, specificando le sedi
delle officine di produzione, i progetti
le date di produzione, i brevetti delle
locomotive, delle caldaie e di tutto
il materiale rotabile utilizzato, sono
curioso di scoprire il genio padano
in quel preciso periodo.
Complimenti al caro Ignazio Coppola, che saluto. Ogni tanto è bene ricordare come stavano davvero le cose. Il tempo delle favole è finito.
P.S.: Al di là di ogni possibile ragionamento sul tema, basta ricordare che i titoli Duosiciliani, alla Borsa di Parigi erano quotata al 120% del loro valore.
Chi crede ancora alle favole ? Scegliamo a caso tra i primati del Regno delle Due Sicilie qui sopra elencati:
1856. Expò di Parigi, terzo paese al mondo per sviluppo industriale
1856. Primo Premio Internazionale per la produzione di Pasta
1856. Primo Premio Internazionale per la lavorazione di coralli
Peccato che il Regno delle Due Sicilie all'Esposizione Universale di Parigi del 1855 – e non del 1856 - non figuri tra i paesi espositori.
Vi parteciparono solo sei espositori “regnicoli” – quattro napoletani e due siciliani - a titolo individuale, e dovettero chiedere ospitalità al padiglione degli Stati Pontifici.
Da Napoli giunsero: la ditta Genevois, che espose “savon et parfumerie”; la ditta Avolio che presentò dei gioielli di corallo; G. Riccio, che partecipò con alcune “médailles reproduites par la galvano-plastique”; un certo Di Bartolomeo, che presentò le sue corde armoniche.
Da Palermo si presentarono il barone Francesco Anca, con alcuni campioni di citrato di calce, e il sarto Basilio Scariano (che per la precisione era nativo di Palazzo Adriano, in provincia di Palermo, ma si era trasferito nella capitale) che riscosse un certo successo con il suo psalizometro, uno strumento per la confezione in serie di abiti per uomo (posso fornire a chi lo desideri i riferimenti delle fonti).
Questi sono i fatti. Ma si sa, nelle favole i rospi diventano principi, le zucche si trasformano in cocchi e i pifferai incantano i topi, e non solo loro.
P.S. Di Casse di Risparmio in Sicilia nel 1860 non ce n'era una sola.
Non capisco perché si millantino simili notizie; non si possono inventare balle come quella dell'EXPO di Parigi 1856...
I neoborbonici mi ricordano tanto quegli studenti poco preparati che per colmare le loro lacune innventono fatti per farsi belli agli insegnanti.
Per farsi belli agli occhi degli insegnanti...
Solo che gli insegnanti li sgamano e non ci cascano alle fregnacce dei neoborbonici..
Quando Garibaldi arrivò in
Sicilia, la prima cosa che fece
fu decretare la costruzione di
alcune linee ferrate,annullando
le concessioni già in essere, in
quanto, ancora PRIMA di partire
per la famosa spedizione, si era
accordato con una società
livornese, la Adami Lemmi, la
quale avrebbe dovuto prendere
l'appalto milionario. Il banchiere
massone Adriano Lemmi, che
era guarda caso tra i finanziatori
dell'impresa dei mille, aveva
pagato al solo Agostino Bertami
da Milano, mazziniano e fedele
collaboratore di Garibaldi in
Sicilia, una tangente di 4 milioni
di franchi. L'ossatura ferroviaria
progettata, non aveva affatto lo
scopo di favorire i traffici e lo
spostamento dei viaggiatori,onde
consentire un rapido sviluppo
della regione, ma progettata
unicamente per lo sfruttamento
delle miniere di zolfo dell'isola.
Infatti, a differenza del progetto
borbonico, i primi tratti furono
la Lentini-Siracusa, la Lercara
Porto Empedocle, e la Lercara
Palermo, la Caltanissetta Licata.
Le linee collegavano quindi le
miniere con i vari porti dell'isola.
La maggior parte dello zolfo, vera
e straordinaria ricchezza della
epoca veniva ceduta agli inglesi.
Successivamente fu sviluppata
una rete, studiata apposta per far
affluire truppe militari, armi e
altro, in modo celere e sicuro,
che collegasse i maggiori centri
dell'isola. Tale inadeguata ed
inutile rete ferroviaria, per le
esigenze della popolazione, così
è rimasta, infatti prima il Regno
d'Italia e in seguito la Stato itali
ano non hanno mai iniziato la
Trapani-Agrigento-Gela-Siracusa
cosicché,se un viaggiatore dovesse
da Trapani, proseguire in treno
fino a Siracusa, dovrebbe recarsi
prima a Palermo, allungando di
molto il viaggio.
Le esposizioni universali o
fiere mondiali, svoltesi nella
capitale francese sono state
due.Una quella industriale,
con l'aggiunta delle belle arti,
svoltasi dal 1.5.1855 al 31.10.55
il Regno delle due Sicilie
partecipa con stand espositivi
si aggiudica due diplomi nella
industria e due medaglie nella
pittura, mentre alla fiera agrico
la del 1856, vince 12 grandi
medaglie d'oro, 78 medaglie
oro piccole,105 di argento, 215
di bronzo e 95 menzioni.
Qui c'è il link dei decreti garibaldini, nulla di tutto questo esiste...
http://storiacostituzionale.altervista.org/documenti-di-diritto-e-storia-costituzionale-del-risorgimento.html
Ripeto. Il Regno delle Due Sicilie all'Esposizione Universale del 1855 non partecipò con alcuno stand espositivo, come è possibile accertare consultando i documenti ufficiali relativi all'Esposizione stessa. Avolio e Di Bartolomeo ottennero non due diplomi ma due medaglie, ed ho precisato prima cosa producessero: cfr. Notices sur les produits des États Pontificaux a l’Exposition Universelle par Ch. de Montluisant, Paris, Imprimerie Bailly, Divry et C., 1855, pp. 92 e segg. Dunque sarebbe ora di smetterla con la favola del "terzo paese per sviluppo industriale" ., che finisce per ridicolizzare il lavoro degli storici che da decenni tentano di ricostruire le reali condizioni delle diverse aree degli Stati pre-unitari, Regno delle Due Sicilie compreso.
Nel 1860 l'Inghilterra assorbiva il 39% della produzione siciliana di zolfo, la Francia il 27, Nel 1875 la quota inglese si era ridotta al 26%, quella francese al 17. Il 57% andava verso altri paesi.
Caro Augusto Marinelli, credo che sia inutile ripetere a chi non vuole capire...
La cosa triste è che coloro che parlano di controstoria non fanno altro che inventarsi i fati di sana pianta, come nel caso del presente articolo.
Tuo
Fulgenzio