Nel 1860 Garibaldi depredò prima il Banco di Sicilia e poi il Banco di Napoli. Negli anni ’80 del secolo passato è iniziata la grande ‘calata’ delle banche del Centro Nord nella nostra Isola e, in generale, in tutto il Mezzogiorno. Negli anni ’90, con la regia della Banca d’Italia è stato completato il saccheggio ai danni delle Regioni meridionali
di Ignazio Coppola
Dal 1860 ai nostri giorni la Sicilia è una colonia dell’Italia. Tale affermazione, tutt’altro che paradossale e peregrina, con i dovuti riscontri, viene legittimata da quanto per più di 150 anni è avvenuto ai danni sistema bancario siciliano e meridionale da sempre predato e saccheggiato dagli istituti di credito del Nord.
Il saccheggio della banche meridionali inizia con l’entrata di Garibaldi a Palermo, nel maggio del 1860, quando il liberatore nizzardo, senza colpo ferire, si impossessò di 5 milioni di ducati d’oro, equivalente a 86 milioni di Euro dei nostri giorni, contenuti nelle ‘casse’ del Regio Banco di Sicilia. Quando giungerà a Napoli, il duce delle camicie rosse ripeterà la stessa operazione con il saccheggio del Banco di Napoli in cui erano contenuti 6 milioni di ducati equivalenti ad attuali circa 90 milioni di Euro. Con questi atti di pirateria bancaria inizia il saccheggio delle banche meridionali sino ad allora floride e le cui riserve auree riempivano oltre misura i depositi dei Banchi di Sicilia e di Napoli.
Le ingenti somme sottratte servirono a pagare le spese di guerra e le malversazioni della spedizione garibaldina e, di esse, la rimanente gran parte verrà trasferita a Torino servirà poi ad implementare le asfittiche ‘casse’ delle Banche dei Savoia. Con questo atto di pirateria e di appropriazione indebita dei risparmi dei siciliani e dei napoletani inizia, senza soluzione di continuità e sino ai nostri giorni, il drenaggio delle ricchezze e delle risorse economiche dei meridionali a beneficio degli istituti di credito e dell’economia del Nord.
Oggi a coronamento di questa lunga scia di predazioni e spoliazioni della banche meridionali, che dura da più di 150 anni, non esiste più nella nostra Isola un istituto di credito siciliano di ampie dimensioni. Da parecchi anni sono calate in Sicilia molte banche settentrionali (Unicredit, Istituto San Paolo, Ca.RI.GE., Monte dei Paschi di Siena, Unipol, Banca Nuova, Credito Emiliano, Mediolanum, UBI Banca e via dicendo) che, famelicamente, drenando i risparmi (o per lo meno quello che ne è rimasto) dei siciliani e li reinvestono nel Centro Nord del Paese, con buona pace della economia isolana.
Ma come è potuto accadere tutto questo? Prima dell’infame furto di Garibaldi al Banco di Sicilia e al Banco di Napoli, esisteva nel Regno delle Due Sicilie un solido sistema bancario che era in grado di emettere monete d’oro e d’argento, a differenza della Banca Nazionale Sarda che emetteva carta moneta e le cui riserve d’oro non riuscivano a garantire il valore delle banconote stampate.
Con l’Unità d’Italia il Banco di Sicilia e il Banco di Napoli, dopo essere stati saccheggiati, vengono declassati a favore delle banche del Nord che furono autorizzate a battere moneta come appunto la Banca nazionale Sarda, la Banca Nazionale Toscana, il Credito Toscano e la Banca di Parma.
Dopo alcuni anni la Banca Nazionale Sarda, dopo avere assorbito altri istituti di credito, assumerà la denominazione di Banca Nazionale del Regno d’Italia, divenendo di fatto il più importante istituto di emissione. Mentre tutto questo accadeva, ai Banchi di Sicilia e di Napoli veniva impedito di raccogliere monete d’oro e di emettere banconote favorendo di fatto il sorgere di nuove banche al Nord come la Cassa Generale di Genova, la Cassa di sconto di Torino, il Credito Mobiliare di Torino e il Banco di Sconto di Torino, tutte quante, guarda caso, socie della nuova Banca Nazionale del Regno d’Italia.
Tutte queste banche avevano il principale obiettivo di finanziare le imprese del Nord a scapito delle sviluppo dell’economia meridionale. A riprova ed a testimonianza di questa aberrante logica, da parte delle banche del Nord, di affossare ogni nascente ipotesi di sviluppo dell’imprenditoria meridionale, ecco quanto ebbe a dire il banchiere settentrionale Carlo Brombrini, amico e consulente economico di Cavour e poi, per più di vent’anni, dal 1861 al 1882, governatore della Banca Nazionale del Regno d’Italia:
“I meridionali non dovranno più intraprendere”.
Facile profeta. Il banchiere piemontese Carlo Bombrini, a dimostrazione dell’accanimento e del suo dispregio rivelato in quella frase nei confronti del Sud, fu il creatore e l’attuatore del piano di smantellamento e di alienazione di tutti i beni del Regno delle Due Sicilie i cui proventi andarono poi ad implementare le ‘casse’ povere del nuovo Regno d’Italia.
Lo scandalo della Banca Romana del 1893, dovuta all’emissione indiscriminata di banconote, consigliò in seguito agli spregiudicati signori della finanza dell’epoca più prudenza con la creazione della Banca d’Italia che agli inizi degli anni ’80 del secolo scorso passato giocherà un ruolo devastante nello smantellamento del sistema bancario siciliano.
Ed è appunto seguendo questa logica perversa che ha accompagnato questa nostra breve digressione sul sistema bancario italiano – penalizzante per l’economia meridionale – che registriamo, negli anni ’80, la calata degli istituti di credito del Nord abbondantemente elencati all’inizio, che fanno, mallevadori di questa operazione la Banca d’Italia ed il Ministero del Tesoro, razzia della quasi totalità di piccole banche siciliane accaparrandosi i loro clienti ed i loro portafogli.
Ma il capolavoro dell’azzeramento degli Istituti di credito siciliani, la Banca d’Italia ed il Minstero del Tesoro lo compiono ancora una volta, ed in modo più traumatico per i risparmiatori e per l’economia siciliana, costringendo i due più significativi ed importanti Istituti di credito siciliani – il Banco di Sicilia e la Sicilcassa – prima ad accorparsi per poi finire, dopo una serie di passaggi, al gruppo Unicredit.
Risultato: non esiste più una banca siciliana. L’aberrante logica del banchiere di ieri – Carlo Bombrini – quando diceva che: “Il Sud non deve più intraprendere”, è stata fatta propria dai banchieri di oggi che, nei fatti, hanno applicato la seguente regola:
“I siciliani non devono avere più una banca”.
In compenso, non avendo, come ieri, più da saccheggiare i risparmi dei meridionali, i banchieri di oggi – ovvero quelli del Monte dei Paschi di Siena, della Banca Popolare dell’Etruria, della Banca Popolare di Vicenza e via dicendo – si sono distinti per il saccheggio dei loro correntisti-risparmiatori che, in poco tempo, hanno visto azzerati i propri conti.
Per quanto riguarda la Sicilia i nostri politici che fanno? Ascari, come sempre, stanno a guardare quanto, ancora a distanza di più di 155 anni, la nostra isola sia rimasta una colonia.
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