Dopo l’articolo del Centro Studi Andrea Finocchiaro Aprile sugli eventi del XII Gennaio 1848 che si sofferma sulla valenza politica di quella gloriosa rivoluzione, vi proponiamo un articolo del giovane Gabriele Imperatore che ci racconta, attraverso le testimonianze degli storici, la cronaca di quei giorni che diedero inizio ai moti che scossero il continente europeo
di Gabriele Imperatore
La mattina del 12 gennaio del 1848, una insolita e disordinata folla si raccolse lungo le vie principali di Palermo: alle prime ore dell’alba, dalla Cattedrale fino al quartiere de “La Kalsa”, il popolo stanco dell’oppressore napoletano, sceso per le strade, era insorto in massa contro le truppe regie di Ferdinando II.
Come scrisse lo storico palermitano Michele Amari nella prefazione del suo “La guerra del vespro siciliano”, il popolo siciliano “non è né avvezzo né disposto a sopportare una dominazione tirannica e straniera”, e proprio per questa sua natura, la mattina del 12 gennaio, uscì dalle proprie case per ripristinare nella città e nella Sicilia intera, un governo autonomo e indipendente dal trono napoletano.
Durante i giorni precedenti alla rivolta, nella città circolarono diversi manifesti e volantini, incitanti all’insurrezione generale. Uno di questi, diffuso nella città il 9 gennaio, recitava: “Siciliani! Il tempo delle preghiere inutilmente passò, inutili le proteste, le suppliche, le pacifiche dimostrazioni. Ferdinando tutto ha spezzato. E noi popolo nato libero, ridotto fra catene e nella miseria, ardiremo ancora a riconquistare i legittimi diritti. All’armi figli della Sicilia! La forza dei popoli è onnipossente: l’unirsi dei popoli è la caduta dei re. Il giorno 12 gennaio, all’alba, segnerà l’epoca gloriosa della universale rigenerazione. […] Chi sarà mancante di mezzi ne sarà provveduto. Con questi principi il cielo seconderà la giustissima impresa. Sicilia, all’armi!”.
La reazione agli assembramenti e ai disordini da parte delle forze lealiste, agli ordini del generale De Majo, non si fece attendere: nella tarda mattinata di quel giorno la cavalleria borbonica ricevette l’ordine di caricare e disperdere la folla. Giuseppe La Masa, testimone oculare, raccontò la carica borbonica ai danni della folla assembrata in Salita Sant’Antonino, una piccola appendice dell’odierna Via Roma: “Una mano di circa 40 soldati a cavallo che percorreva la suburbana di S Antonino e alla cui testa era un figlio, non so qual moglie del generale Viale, affacciatasi sulla strada Nuova, e vi entrava forse con mira di sciogliere qualche attruppamento gente. […] Partito il primo colpo di pistola da parte dei soldati fu risposto con alcuni colpi di fucile, non troppi a dir il vero, ma bastarono a mettere in fuga quel mezzo di cavalli. Si dissero feriti alcuni soldati e fra questi l’ufficial Viale che li comandava.”.
Alla vista dei soldati borbonici in fuga, in tutta la città esplose la rivoluzione. Nel capoluogo siciliano inoltre affluì una grossa massa eterogenea di cittadini provenienti dalle città più vicine: aristocratici, intellettuali, borghesi, contadini e possidenti, si diressero a Palermo per ingrossare le fila della rivoluzione. Alla testa dei rivoltosi si posero i due liberali e patrioti Rosolino Pilo e Giuseppe La Masa, e attorno a loro durante la sera del 12, si riunirono i manifestanti, formando un “Comitato Provvisorio”, con sede nei pressi del quartiere di Fieravecchia, l’odierna zona attorno a Piazza Rivoluzione. Per due giorni la città venne devastata dai combattimenti tra le forze in campo. Infine, durante la giornata del 14 gennaio, le battaglie si fermarono soprattutto perchè l’esercito regio assunse un atteggiamento difensivo. Esso infatti si limitò a presidiare gli uffici pubblici, le principali arterie, quali via Toledo e via Maqueda, e a tenere la posizione all’interno della fortezza di Castellammare.
Il 15 gennaio, come riferisce lo storico siciliano Giovanni Mulè Bertolò: “Nove battaglioni e due batterie di campagna sotto il comando del maresciallo di campo Desauget sbarcano a Palermo”. L’arrivo dei rinforzi borbonici, riaccese gli scontri: le truppe regie con la loro artiglieria bombardarono i manifestanti su via Toledo e via Maqueda; gli uomini a presidio della fortezza di Castellammare, spararono sulla folla con i pezzi di artiglieria. Il 17 gennaio una bomba incendiò il Monte dei Pegni; sempre La Mansa ci ha lasciato un commento su questa vicenda: “Nel bombardamento di questo giorno ebbero ad esser lieti i satelliti regi dello avere incendiato il monte di S Rosalia, distruggendo cosi gli avanzi dei miseri cenci che formavano tutta la ricchezza delle classi più del popolo”. Nel frattempo, vennero avviate trattative tra il generale De Majo e le forze degli insorti: il comitato provvisorio, sin dall’inizio, aveva chiesto il ritorno alla “Costituzione Siciliana” del 1812 e il riconoscimento di una più larga autonomia; Ferdinando rispose negativamente alle richieste siciliane il 22 di gennaio. Il 23 gennaio, il Comitato provvisorio si trasformò nel nuovo “Comitato Generale”: come presidente venne eletto Ruggero Settimo; come segretario invece il patriota Mariano Stabile. Il 25 gennaio 1848 le truppe borboniche evacuarono Palazzo Reale, e si imbarcarono in direzione di Napoli da Solunto, durante la notte del 31 gennaio. Mentre a Palermo si combatteva, la rivoluzione era già divampata su tutto il resto dell’isola: Messina insorse alle nove del mattino del 29 gennaio, Catania addirittura quattro giorni prima, il 25.
Dopo oltre due mesi, il 25 marzo 1848, nacque ufficialmente il Regno di Sicilia: durante la mattinata di questo giorno, all’interno della chiesa di San Domenico venne inaugurato il nuovo Parlamento siciliano: dopo oltre trent’anni, le due camere, quella dei pari e quella dei Comuni, tornavano in attività ed eleggevano Ruggero Settimo, come primo Presidente del Consiglio. Il 27 marzo venne presentato il primo governo del Regno: furono nominati ministri, figure liberali come Mariano Stabile, il barone Pietro Riso, lo storico Michele Amari, il principe di Butera Pietro Lanza e il futuro primo ministro del neonato regno italiano Francesco Crispi. La bandiera del regno era il tricolore che presentava al centro una Trinacria; la “Guardia Nazionale”, in vita sin dal 28 gennaio con compiti di pubblica sicurezza, fu convertita in organo costituzionale e nominata garante della Costituzione. Venne creato un esercito nazionale siciliano, i cui appartenenti erano vestiti di una blusa di colore blu scuro, di un berretto dello stesso colore con coccarda tricolore e di pantaloni di colore grigio. Il 13 aprile del 1848, inoltre il Parlamento siciliano aveva decretato: “1. Ferdinando Borbone e la sua dinastia sono per sempre decaduti dal trono di Sicilia. 2. La Sicilia si reggerà a Governo costituzionale e chiamerà al trono un principe italiano dopo che avrà riformato il suo Statuto.”. I siciliani si rivolsero al duca di Genova, figlio secondogenito del Re di Sardegna, Ferdinando di Savoia-Genova; nominato dal parlamento, con il nome di Alberto Amedeo I, rifiutò la corona a causa dei suoi impegni nella prima guerra d’indipendenza. Il sovrano, che secondo la costituzione sarebbe dovuto essere nominato dal Parlamento, non giunse mai sul trono di Sicilia.
Seppur l’obiettivo dichiarato della rivoluzione fosse l’autonomia dell’intera isola dal trono napoletano, gli eventi del gennaio ’48, ebbero un enorme impatto emotivo e reazionario a livello europeo. L’azione fulminea della popolazione palermitana fece eco e scuola su tutto il continente: Palermo fu la prima città d’Europa ad avviare la cosiddetta “Primavera dei popoli”, una delle più gloriose stagioni dei moti rivoluzionari guidati dalla borghesia europea. La prima a seguire l’esempio di Palermo, fu Napoli che insorse già il 27 gennaio del 1848. Poi Parigi, tra il 22 e il 24 marzo dello stesso anno, dove Luigi Filippo venne costretto all’abdicazione e nacque la “Quarta Repubblica francese”. Nel lombardo veneto, tra il 18 e il 22 marzo Milano insorse contro il nemico austriaco: nacque il mito risorgimentale delle cinque giornate. Sempre nel marzo insorse Berlino; alla fine del 1849, fu la volta anche di Roma: la “Repubblica Romana” con la sua bandiera tricolore e l’Inno di Mameli come inno, cavalcava anch’essa l’onda rivoluzionaria.
Gli eventi vittoriosi dell’insurrezione palermitana del 12 gennaio ’48 meritano, senza ombra di dubbio, di essere inseriti anche nel contesto del risorgimento italiano. Le giornate di Palermo, saranno alla base dei moti successivi che consegneranno l’isola e il Regno delle Due Sicilie nelle mani dei Savoia.
“Quel giorno in cui Palermo stupì l’Europa” il popolo palermitano dettò la via ai moti rivoluzionari del ’48, vitali per la futura spinta rivoluzionaria che in Europa, oltre al completamento del risorgimento italiano, porterà alla futura abolizione della servitù della gleba in Russia nel 1861, alla nascita del Bonapartismo in Francia e all’unificazione come moderno Stato nazionale della Germania del 1871.
ndr
Sull’argomento stamattina abbiamo pubblicato anche la nota del Centro studi Andrea Finocchiaro Aprile che a differenza di questo bell’articolo di Gabriele Imperatore, ricco di dettagli storici, si sofferma più sulla valenza politica di quegli eventi. In particolare sottolinea l’importanza dell’istituzione della ‘Monarchia Costituzionale’, con il Re eletto dal Parlamento Siciliano e la disponibilità di quest’ultimo ad un’eventuale Confederazione degli Stati del Regno di Sicilia, che prevedeva però il mantenimento dell’Indipendenza e della Sovranità del Regno di Sicilia con il proprio Re e con il proprio Parlamento: l’eventuale opzione confederalista si sarebbe, dunque, concretizzata solo ed esclusivamente se lo Stato Siciliano avesse potuto accedervi con la propria Indipendenza. La storia, come sappiamo, è andata diversamente. E della feroce colonizzazione dei Savoia paghiamo ancora oggi le conseguenze. Potete leggerlo qui sotto:
Il 12 gennaio di 169 anni fa la Rivoluzione siciliana del 1848
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