Pochi metri sotto gli splendidi pavimenti marmorei di Palazzo delle Aquile una serie di cunicoli che potevano ospitare 500 palermitani durante gli attacchi aerei dotati di tre bagni e acqua potabile. Il giovane Salvatore Gabriele Imperiale li ha visitati e racconta ai lettori dei Nuovi Vespri come è nato questo luogo mostrandoci anche le foto che ha scattato
di Salvatore Gabriele Imperiale *
È uno dei pochi rifugi “a 5 stelle”, quello situato pochi metri sotto gli splendidi pavimenti marmorei di Palazzo delle Aquile, a Palermo. La presenza di 3 bagni, di un rubinetto dell’acqua potabile, di bocchettoni anti bombe a gas e di tre uscite, bastano a giustificare l’appellativo che le guide dell’organizzazione “Ro’n Ro Cult”, hanno dato ai cunicoli che in caso di attacco aereo erano pronti ad ospitare oltre 500 palermitani. Unica pecca la resistenza delle mura in cemento armato agli ordigni alleati: il rifugio, infatti, poteva resistere a bombe da oltre 100 chilogrammi, mentre i piloti britannici, americani e anche francesi sganciavano dall’alto dei cieli, testate da oltre 2 tonnellate.
La città, patria di Federico II, sotto le indicazioni del governo fascista era stata dotata di numerosi rifugi da utilizzare in caso di attacco aereo nemico e a livello nazionale, la dittatura aveva fornito la penisola di un organo paramilitare che si occupasse della popolazione civile prima, durante e dopo le incursioni nemiche. Questa organizzazione, l’UNPA (Unione Nazionale Protezione Antiaerea), era stata fondata nel 1934; essa era preposta alla divulgazione sul territorio nazionale di tutti i pericoli derivanti dalla guerra aerea e doveva informare la popolazione sulle prassi da osservare in caso di incursioni. I principali compiti dell’UNPA erano: la preparazione dei cittadini in materia di protezione, la raccolta di donazioni e la sovrintendenza in tutti i lavori di costruzione di ricoveri privati e pubblici, nonché la distribuzione delle maschere antigas.
L’entrata del rifugio è ancora situata dove si trovava oltre 70 anni fa, proprio all’interno della portineria di Palazzo delle Aquile. Per accedervi bisogna abbassarsi e piegarsi in avanti. Dopo un breve tratto di scale, che almeno nelle iniziali volontà dei costruttori erano affiancate da due corrimano in legno che assicuravano l’appoggio agli avventori del rifugio (oggi andati distrutti e di cui rimangono solo i supporti in ottone), si accede agli ambienti. Alla fine delle scale un’enorme scritta “Vietato Fumare”, ancora oggi visibile per l’elevato uso di piombo nella composizione del colore. Girando a sinistra si accede ai grossi spazi che dovevano accogliere i cittadini durante i bombardamenti: su ogni lato vi sono i sedili in pietra e i palermitani che accorrevano all’interno, seguendo le rigide norme fasciste che imponevano disciplina e silenzio, dovevano sostare seduti o in piedi e aspettare la fine dell’incursioni nemiche. Sulla destra, quasi in mezzo al corridoio dell’intera struttura, i tre bagni che avrebbero dovuto assicurare un servizio continuato a tutti gli ospiti del rifugio.
Gli attacchi, molto spesso annunciati in ritardo o quando erano già in atto, potevano durare anche oltre le otto ore e secondo le testimonianze del tempo, i servizi igienici, si trasformavano in grandi e maleodoranti latrine. Sempre nei progetti iniziali di questo rifugio a 5 Stelle, vi era anche l’illuminazione artificiale dei locali, che quasi sempre durante i bombardamenti non entrerà in funzione, viste le norme sempre più stringenti sull’oscuramento delle città durante gli assalti aerei nemici e dato che, proprio durante i raid, i bersagli preferiti dall’aviazione alleate erano proprio le centrali elettriche della città. Il rifugio era affidato ad un custode, che aveva il compito di assicurare la corretta apertura durante i raid aerei alleati e doveva evitare ogni forma di occupazione preventiva da parte dei cittadini. Le norme, inoltre, prevedevano che all’interno, ogni cittadino potesse portare pochissimi oggetti: un cuscino, coperte e un guanciale. Non erano ammessi invece materassi, sedie o sdraio. Secondo le norme studiate dal regime, durante le azioni nemiche, ogni astante doveva rimanere in assoluto silenzio e calma; chi fosse ubriaco o in “stato di eccitazione” era tollerato all’interno dei locali, fino alla fine dei bombardamenti. Non erano ammesse attività di rivenditori ambulanti all’interno e il pubblico doveva assoluta obbedienza agli agenti di pubblica sicurezza perché “gli ordini non si discutono ma si eseguono”.
Gli attacchi sulla città iniziarono ufficialmente già all’indomani dell’entrata in guerra dell’Italia a fianco delle forze dell’asse: il 23 giugno del 1940, 12 velivoli francesi dell’Armée de l’Air, con l’obiettivo di bombardare il porto di Palermo, piombarono sulla città da Monte Pellegrino in pieno giorno: i cittadini, ignari di tutto e convinti che si trattasse di una sfilata militare, sventolarono i fazzoletti in aria e salutarono i velivoli che sorvolavano la città.
I francesi mancarono il proprio obiettivo: colpirono via Malaspina, via Catania, le zone della Zisa; mitragliarono a bassa quota i palermitani che osservavano entusiasti gli aerei nemici sopra le loro teste. Le vittime di questo primo attacco furono 37 e i feriti oltre 150.
Nei tre anni successivi di guerra si susseguiranno diverse missioni alleate sulla città: nel ’41 furono ben 18 le incursioni su Palermo e causarono quasi 90 vittime; nel ‘42 furono invece 13 le missioni sulla città e durante i bombardamenti persero la vita 39 palermitani.
L’Annus Horibilis per la città è il 1943: durante quest’annata, vista l’avanzata su territorio siciliano degli alleati, Palermo viene colpita duramente e a più riprese; viene sperimentato per la prima volta dagli americani il metodo del “Bombardamento a tappeto”. Sul capoluogo siciliano in un solo anno cadono oltre 1800 ordigni alleati. Si comincia il 3 febbraio, quando viene colpito il porto e piazza Magione, poi il 1 marzo, con ordigni che devastano il porto, sfiorano la Cattedrale e colpiscono le catacombe dei Cappuccini; infine il 22 marzo, un nuovo raid con ancora una volta, come obiettivo il porto della città.
La devastazione di Palermo non si ferma: ad aprile una bomba con scoppio ritardato, in origine destinata alla Cattedrale, perfora il rifugio di Piazza Sett’Angeli e scoppia all’interno, facendo una strage. I morti sono incalcolabili visto che il regime, dopo poche ore di scavi, decide di ricoprire il cratere creato dall’ordigno con il cemento armato, seppellendo letteralmente le vittime. Infine il bombardamento più duro che Palermo abbia mai subito: quello del 9 maggio successivo. Radio Londra annuncia l’arrivo di una grossa squadriglia delle famosissime “Fortezze Volanti” americane, i B-17. Preceduti da una scorta di caccia che neutralizza i 70 aerei italiani presenti all’aeroporto di Boccadifalco, i bombardieri piombano sulla città e tra le undici e mezzogiorno sganciano oltre 1500 bombe “HC”, High Capacity, da 2000 chili l’una. Palermo ne esce devastata. Le vittime stimate si attestano tre le 800 e le 1500 unità; biblioteche, chiese, ospedali e case vengono distrutte. Le macerie, raccolte a fatica, verranno trasportate lungo il foro italico e costituiranno quello che ancora oggi è il lungo “Frangiflutti” a ridosso di Porta Felice e del quartiere de La Kalsa.
Nonostante già nell’agosto del 43, la Sicilia sia da considerarsi in mani alleate, Palermo continuerà a subire bombardamenti: questa volta non da parte alleata, ma da parte della nostra stessa aviazione e della Luftwaffe tedesca.
Altri rifugi aperti ai palermitani, avevano sede (oltre al già citato rifugio di Piazza Sett’Angeli) in varie parti della città; solo per citarne alcuni: in Piazza Generale Cascino, via Montepellegrino, alla Cala, il Teatro Umberto, tra via Merlo e via Lungarini, via Principe Granatelli, Piazza Ucciardone, via Alessandro Paternostro, via Vittorio Emanuele e Piazza Sant’Onofrio.
*Salvatore Gabriele Imperiale è uno studente e “aspirante giornalista” di 25 anni originario di Palermo che vive ormai da oltre tre anni a Roma. Ha recentemente seguito un master, presso la Sapienza di Roma, in Editoria, Giornalismo e Management Culturale. Nella sua email ci ha raccontato di essere ben consapevole di quanto sia difficile la strada del giornalismo ma che a guidarlo nella scelta è stata una grande passione per questa professione. Nel ringraziarlo di averci inviato questo articolo e nella speranza che sia l’inizio di una collaborazione, gli rivolgiamo i nostri migliori auguri convinti come siamo che è proprio la passione che potrà aiutarlo ad arrivare lontano e che è sempre stata la passione a distinguere i più grandi giornalisti da chi ha smarrito il senso di questo difficile e affascinante mestiere.
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