La memoria che torna al 28 Dicembre 1979, pochi giorni prima dell’assassinio del presidente della Regione siciliana, Piersanti Mattarella
Era il 28 dicembre del 1979. Accompagnavo il Presidente della Regione, Piersanti Mattarella, nei locali dell’Assemblea regionale siciliana. In quel periodo, su disposizione proprio di Mattarella, ricoprivo l’incarico di Segretario della Giunta regionale.
Di lì a poco sarebbe iniziata una seduta di Giunta. Faceva freddo, tanto freddo, anche in quei locali riscaldati. In attesa di cominciare, si passeggiava nell’ampia stanza antistante lo studio del Presidente della Regione presso l’Assemblea regionale, stanza che fungeva anche da sala per le riunioni.
Tra parentesi, quella stanza, proprio approfittando degli eventi che si succedettero, con un nobile gesto del Presidente dell’Ars dell’epoca, fu sottratta alla disponibilità della Presidenza della Regione e assegnata a qualche onorevole scalzacani di Sala d’Ercole.
Il governo era in crisi per l’uscita dalla maggioranza dell’allora Partito comunista che, con la Democrazia cristiana e gli altri partiti del mitico “arco costituzionale” (PSI, PSDI, PRI, PLI), aveva dato vita al governo di solidarietà autonomistica. Mattarella aveva rassegnato le dimissioni e il suo governo restava in carica per l’ordinaria amministrazione.
C’era freddo, ho detto. Non mi ero levato il cappotto. Mattarella mi guardò e sorrise, con quel suo sorriso carico di ironia sottile, con quella leggera sua increspatura della bocca, intelligente ed espressiva, con quei suoi occhi scuri e penetranti.
“Non siamo così provvisori, dottore – mi disse – tolga pure il cappotto”.
Qualche giorno dopo, ripensandoci, quella frase mi sembrò un inno alla vita, a una vita strozzata dall’odio, dall’odio generato dall’impossibilità di accettare da parte di tanta della nostra gente il cambiamento.
Fu la sua una premonizione declinata al contrario? Sapeva Mattarella, intuiva qualcosa? Forse sì, ma aveva già deciso in cuor suo di resistere, di non sottomettersi, dovesse costargli la vita.
La sua fine generò un sussulto. Ai suoi funerali, la piazza più bella del mondo, alla presenza di Sandro Pertini, il Presidente della Repubblica, che tenne per tutto il tempo la sua mano sulla bara, come farebbe un padre sulla bara del figlio, era stracolma di gente.
Quella gente che aveva capito, che aveva confidato e sperato, che vedeva cadere insieme a quell’uomo generoso le sue speranze.
Nell’ora più buia della sua storia, la Sicilia era tutta lì, nella consapevolezza che senza di lui, il giorno dopo, quella piazza sarebbe stata deserta.
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E deserta, purtroppo è rimasta quella piazza!
Sta a noi ripopolarla.