A Ravanusa un partecipatissimo dibattito con Diego Fusaro e Lillo Massimiliano Musso sulla ““nuova governance del mondo e le prospettive per il popolo”. Dall’euro, alle guerre dell’occidente, dalla lotta di classe al neoliberismo, dalla dittatura della finanza alle vie per liberarsi dalle catene che imprigionano i cittadini privandoli dei loro diritti basilari
di Manuela Lazzaro
“Perché gli schiavi lottano per le proprie catene?” Questa la cruciale domanda che si pone da sempre la filosofia politica. Un paradosso? No, la conseguenza di processi in atto a più livelli, dalla crisi economica all’Euro come strumento di dominio, dalla rimozione di diritti basilari all’impossibilità di partecipazione attiva alla vita politica, dall’uso strumentale del linguaggio come arma allo stravolgimento della Costituzione. Un popolo consapevole, tuttavia, ha la forza per riscattarsi e creare ponti solidali in un’ottica di collaborazione internazionale e non di soppressione delle precipue peculiarità ed esigenze.
La luce soffusa dell’Agripub di Ravanusa, che il continuo spopolamento del centro abitato ormai da tempo ha sempre più convertito in sala dibattiti e incontri di discussione, non permetteva immediatamente, a chi varcava la soglia dell’ingresso, di intravedere tra i volti e i cappotti dei partecipanti alla conferenza del 30 dicembre 2016, Diego Fusaro. Eppure il filosofo, ricercatore presso il San Raffaele di Milano, era lì, presso il camino acceso del locale inneggiante la vocazione agricola del paese dell’agrigentino, circondato dalla curiosità e dall’affetto della gente, a firmare autografi, scambiare due chiacchiere o semplicemente stringere mani, prima di accomodarsi al tavolo, approntato per l’occasione, nello spazio che anni addietro era occupato dalla consolle musicale per l’intrattenimento dei giovani.
La sciarpa rossa su una tre quarti di tweed spigato e il cilindro nero alla Willy Wonka, sul modello dell’indimenticabile Rino Gaetano di cui Fusaro è appassionato, a guardar bene non contrastavano con l’immagine seria del filosofo dalla retorica ferrea e rigorosa, così come dispensata dal web e nelle sortite televisive, attraverso cui il saggista si è reso noto al pubblico nazionale. Le sue espressioni, studiatamente metaforiche e conformi ad un uso metodologico del linguaggio, tradiscono di fatto un’anima creativa e imprevedibile.
Deposto il copricapo, una volta trascorso qualche minuto in più rispetto all’orario d’inizio previsto, il giovane filosofo si è alternato con l’avvocato Musso in un dibattito sulla “nuova governance del mondo e le prospettive per il popolo”, con gli intercalari musicali e prosaici di Emanuele Bonforte, che ha recitato alcune citazioni che i due relatori sono soliti affidare ai rispettivi profili Facebook.
L’avvocato dal punto di vista giuridico, il filosofo da quello più squisitamente sociologico, entrambi sono entrati nel merito dei temi più caldi del dibattito nazionale e internazionale, dall’Unione Europea alla crisi economica che da anni imperversa nella nostra società, destabilizzandola, passando attraverso il ruolo della politica e degli intellettuali oggi, fino alle soluzioni per evitare la sottomissione del popolo alle logiche del capitalismo selvaggio delle élite finanziaria, edulcorato nel termine come “neoliberismo”.
Il dibattito ha preso le mosse dal concetto di “popolo” di cui Fusaro ha fornito una definizione politico-filosofica assai interessante, frutto di una disanima degli eventi seguiti al crollo del muro di Berlino.
“Dopo il 1989” – dice Fusaro – “il vecchio e tradizionale conflitto sociale e politico tra servo e padrone (proletariato – borghesia) è stato sostituito dall’opposizione tra una nuova classe dominante e il popolo”. Fusaro chiama la prima “élite finanziaria (petrolieri, mostri finanziari, potentati di multinazionali) senza radici nazionali che in raduni blindatissimi stabilisce la nuova governance (le nuove regole della gestione di una società)” e chiama il popolo “massa resa precaria, composta dalle classi lavoratrici proletarie e dal vecchio ceto medio imprenditoriale borghese”. L’élite dominante, continua il filosofo, sta gradualmente privando il popolo dei diritti fondamentali come quello al lavoro e le connesse tutele. Da qualche tempo, per esempio, è stato demolito il concetto di lavoro fisso e da qualche giorno si può licenziare per massimaizzare il profitto, come in ultimo sancito dalla Corte di Cassazione con una discutibile sentenza.
Il popolo viene “precarizzato” anche dall’estirpazione, per dirla con Hegel, delle “radici etiche” che un tempo davano stabilità, quali la famiglia, gli enti pubblici, la sanità, l’istruzione e la stessa idea di Stato.
Il popolo, inoltre, non viene più rappresentato né dai politici, che lo hanno abbandonato per difendere gli interessi “dell’élite global-finanziaria”, né dagli intellettuali, ormai completamente allineati con la stessa e a cui, attraverso un uso studiato del linguaggio, forniscono strumenti per avallarne gli obiettivi. Così, come già prefigurato da Orwell, nel romanzo “1984” a causa della “neolingua”, composta da “lemmi sottratti ad ogni discussione razionale e mediante i quali è impedita ogni discussione di alcuni punti da discutere, populista è chiunque non accetti il dominio finanziario dell’élite e osi fare suoi gli interessi del popolo, complottista è chiunque non accetti le versioni ‘ufficiali’ dell’élite”.
Dinnanzi a questo attacco, il popolo oggi subisce in silenzio, “perché ha interiorizzato a livello rappresentativo e simbolico la nuova mappa dei rapporti di forza, in passato ciò che per il signore era lavoro, per il servo era sfruttamento, oggi invece il servo si orienta mediante le stesse categorie del signore, le accetta e non si ribella”. Paradossalmente l’azione politica non è finalizzata più al soddisfacimento delle necessità del popolo che, da un punto di vista giuridico, come ricorda l’avvocato Musso, è e rimane sovrano e dovrebbe legiferare attraverso il Parlamento come previsto dalle leggi armoniche con la Costituzione. Tuttavia, quelle stesse leggi oggi inibiscono la sovranità del popolo. Non è un caso se, continua l’avvocato, spesso si parla erroneamente della Costituzione come di una carta costituzionale, espressione che storicamente individua ordinamenti concessi dall’alto e non di matrice popolare. Al contrario, la politica oggi, attraverso le leggi, ha privato il popolo del potere. In Italia le leggi elettorali danno sempre meno spazio agli elettori, come ribadito anche dalla Corte Costituzionale. Questo stato delle cose, per l’avv. Musso, non è frutto del caso, ma è un obiettivo raggiunto scientificamente da quelle élite di cui il prof. Fusaro ha ampiamente discusso.
Il capitalismo, prosegue Fusaro, “per svilupparsi pienamente neutralizza sia il proletariato sia la borghesia che, non coincidendo con il capitale, avrebbe potuto portare all’emancipazione di tutti (proletariato compreso) mettendo in discussione il capitale stesso, il cui scopo è trasformare tutto in merce e dunque schiavizzare l’umanità. Il filosofo quindi, attraverso un interessante excursus storico politico ha illustrato le circostanze che portarono la politica italiana di destra e di sinistra ad allinearsi all’élite finanziaria.
L’odierno capitalismo mercificante neoliberista è nato paradossalmente nel 1968, passato nella storiografia classica come anno della contestazione capitalistica. Come scrisse Pasolini, infatti, la contestazione andò a colpire i fondamenti della civiltà borghese (la figura del padre, la famiglia, l’autorità, la religione), ma non il nesso di forza del capitalismo, quindi si è avuto il passaggio da un capitalismo autoritario di destra ad uno liberal-libertario di sinistra, che si pone contro il proletariato, ma soprattutto contro la borghesia. Da quel momento in poi, la sinistra ha smesso di lottare contro il capitalismo per scontrarsi contro i valori borghesi della famiglia, dell’autorità e della religione, elementi condivisi con il proletariato, ed ha iniziato ad appoggiare il capitalismo, che si giova di tale distruzione della società etica per trasformare tutto in merce. La borghesia, infatti, in quanto dotata di “coscienza infelice” non solo può generare intelletti come Marx, di estrazione borghese, appunto, ma anche, si radica in una sfera valoriale etica che non può essere mercificata: la famiglia, la società civile, lo Stato sovrano nazionale. D’altro canto viene destrutturato anche il proletariato che aveva in sé un potenziale di coscienza di classe solidale contro il capitalismo, come infatti oggi il proletariato non lotta più contro il modo capitalistico della produzione, bensì essenzialmente per accedere alla sfera dei consumi, limitandosi alla pretesa di salari più alti.
Dalla “Filosofia della rivoluzione” di Marx e “dal superamento del capitalismo” si è passati alla “Filosofia del Martello” di Nietzsche per cui “la vera libertà va intesa come individualizzazione dell’oltreuomo con volontà di potenza illimitata che può fare quello che vuole purché abbia la disponibilità economica necessaria”.
Fusaro enuclea anche i momenti salienti del passaggio al capitalismo permissivo di sinistra e cita Enrico Berlinguer, con il quale, in Italia, la sinistra è transitata ad una dimensione internazionalista; Berlinguer, in sostanza, predicava “di stare sotto l’ombrello della Nato”. D’Alema, poi, arriverà a vantarsi di aver promosso le riforme precarizzanti. “Dal canto suo”, prosegue Fusaro, “dopo il 1945 anche la destra ha aderito al nuovo capitalismo post borghese e proletario e recentemente con Gianfranco Fini da fascista è diventata atlantista, liberista, sionista ed euroserva.”
Nella stessa rotta va anche l’imposizione di politiche economiche comuni. L’Euro non è una moneta, ma “un metodo di governo”. Se infatti negli Stati Nazionali l’economia dipende dalla politica, con la UE la politica dipende dall’economia e “i Parlamenti diventano i ratificatori di quanto deciso nei caveau delle banche internazionali”. L’UE ha sancito, infatti, il primato del mercato con sede a Bruxelles, visto che l’unica entità europea esistente è la Banca Centrale Europea. Ulteriori conseguenze sono gli attacchi alla famiglia, fondata sull’amore tra coniugi da cui si genera la vita, gli enti pubblici intermedi, la scuola pubblica, il Welfare State, i sindacati, le radici di vita.
Dopo il 1989, “l’anno della più grande catastrofe geopolitica della seconda metà del Novecento”, spiega Fusaro, si è avuta una nuova configurazione del mondo, prima bipolare, con paesi gravitanti intorno agli USA e altri intorno all’URSS, ora monopolare “in senso americanocentrico”. Ne conseguirono le varie dichiarazione di guerra ai Paesi non allineati, con gli embarghi, gli interventismi etici o le rivoluzioni colorate, tipo la Primavera Araba, secondo uno schema identico, per cui viene individuato un nuovo Hitler da attaccare, come Saddam Hussein, Slobodan Milošević, Mu’ammar Gheddafi e oggi Vladimir Putin.
Per gli occidentali invece è caduto lo Stato Sociale con le politiche welfaristiche, che rappresentavano la risposta del mondo capitalista al mondo comunista, per arrivare, oggi, allo scippo dei diritti sociali e all’espressione “Ce lo chiede l’Europa”.
L’UE sarebbe nata da una “rivoluzione passiva” per abbattere la sovranità degli Stati Nazionali con l’imposizione di una sovranità economica, politica e culturale e creare un nuovo ordine mondiale, gestito dall’alto. “È anglofona, parla la lingua del mercato e, pur essendo un’entità multiculturale, è una nuova realtà monoculturale americanocentrica. La cultura accademica, per esempio, sta proponendo l’americanizzazione integrale dei saperi”.
Le soluzioni offerte rispetto alla delineazione di un simile scenario sono quattro: quella che Fusaro chiama “rivoluzione ontologica” (di ciò che esiste), un ribaltamento della visione del mondo imposto dall’élite che impedisce di pensare ad una società diversa e tornare a pensare, con Hegel, ad una realtà posta nel divenire. Si può quindi cambiare direzione con la “ripolarizzazione del conflitto fra classi”, vale a dire la ripresa di un’opposizione antagonistica attiva fra le classi sociali, dal momento che, come detto, il conflitto è gestito in modo unilaterale a detrimento di quelle popolari. Nello scenario politico, inoltre, manca un partito che si faccia portavoce degli interessi del popolo e la massa precarizzata è divisa in frange opposte: autoctoni e migranti, islamici e cristiani, eterosessuali e omosessuali. Altresì occorre la “ricategorizazzione della realtà”, vale a dire l’attribuzione, a fatti o atteggiamenti, di significati non devianti; come la “risovranizzazione dell’economia nazionale”.
“Dal momento però che lo Stato nazionale da solo è destinato a tramontare”, come concludono quasi all’unisono i due relatori, si deve anche auspicare “un rapporto solidale fraterno tra stati”, in cui la forza del popolo, riacquistata la sovranità popolare, funga da ponte contro gli imperialismi utili solo a fagocitare le esigenze delle masse. Per riacquistare la sovranità, però, il popolo deve liberarsi dalle catene che lo immobilizzano, da un lato l’inconsapevolezza rispetto a ciò che lo attanaglia, dall’altro il cumulo di capitale, vincoli sapientemente rappresentati in un dipinto estemporaneo che l’artista Dominique Valenza ha realizzato durante il convegno.
Per l’avv. Musso, segretario politico di Forza del Popolo, a livello macroeconomico occorre mettere mano al “portafoglio”, ovvero affermare l’emissione pubblica della moneta come forma di espressione concreta della sovranità popolare, mentre a livello microeconomico vanno potenziate le finanze e le iniziative economiche dei Comuni, in una logica di decentramento della funzione pubblica sempre più di prossimità e di stretta legittimazione popolare; ne conseguirebbe un quadro istituzionale confederale, con ampissima accentuazione delle autonomie locali, responsabilizzazione delle classi dirigenti e politiche e forte ritorno del popolo alle urne, che non percepirebbe più come inutile il voto, dovendosi esprimere su contesti politici che lo riguardano direttamente ed immediatamente sui temi più vicini, come quelli, ad esempio, dei servizi pubblici essenziali.
In chiusura, un appassionato intervento del Prof. Vito Coniglio che ha concluso tra gli applausi con la citazione “domani, domani, domani, quando il domani era già ieri”.
Sala strapiena all’inverosimile, con code di persone provenienti dai paesi limitrofi nel porticato e sin fuori sul Corso della Repubblica, e la diretta streaming seguita da migliaia di utenti, certificano la popolarità di Diego Fusaro e soprattutto la condivisione diffusa dei temi “controcorrente” che affronta.
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