Via il busto dell’assassino Cialdini: da Napoli una lezione di dignità ai Comuni siciliani

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Il Consiglio comunale partenopeo ha deciso di fare sparire la scultura che rappresenta il feroce macellaio sabaudo dall’ingresso della Camera di Commercio. A Palermo l’amministrazione ancora non si decide a cancellare questo nome dalla toponomastica nonostante una mozione dei consiglieri della II Circoscrizione. Anche a  Catania una mozione simile di Sebastiano Anastasi che propone di eliminare anche il nome dello scienziato razzista Cesare Lombroso

Il primo a cadere è stato il generale Cialdini. Ma siamo solo all’inizio e non è escluso che possano fare la stessa fine Camillo Benso di Cavour, Garibaldi, Vittorio Emanuele e gli altri simboli dei massacri dei meridionali all’alba dell’Unità d’Italia.

Parliamo dei busti che rappresentano questi personaggi nefasti per il Sud Italia che ancora ammorbano le nostre città o la nostra toponomastica.

A Napoli hanno detto basta e il bello è che l’intero Consiglio comunale, nell’ultima seduta pre-natalizia,  ha appoggiato l’iniziativa di alcune associazioni meridionaliste (riunite sotto la sigla ‘Gruppi di azione meridionale’) approvando all’unanimità un ordine del giorno che prevede la rimozione del busto del generale Cialdini dal salone di ingresso della Camera di Commercio della città.  

Chi è Cialdini ve lo abbiamo raccontato qui nel dettaglio: il suo ‘capolavoro’ è l’eccidio dell’intera popolazione di Pontelandolfo e Casalduni, due paesi in provincia di Benevento, dove l’esercito sabaudo, per ordine del generale, imbestialito a causa una tenace e imprevista resistenza, si macchiò di orrendi delitti sulla popolazione inerme (uomini, vecchi, donne e bambini: seviziati, torturati, arsi vivi). Mandante dei massacri: Vittorio Emanule. Era il 14 Agosto 1861. La sua ferocia, come quella degli altri generali sabaudi, si estese in tutto il Sud durante l’annessione al regno piemontese.

Come si fa a tenere una statua o una via dedicata ad un tale mostro? Lo chiediamo innanzitutto al Comune di Palermo che ancora si ostina a tenere quel nome nella toponomastica della città.

Ignoranza, insensibilità, troppo impegnati per occuparsi di storia o cosa?

Continuiamo a non comprendere la risposta che una volta ci ha fornito l’assessore Giusto Catania: “La storia non si cancella”. Qui non si tratta di cancellare la storia (cosa, peraltro, impossibile), ma di cancellare una dedica ad un macellaio, perché in nessun luogo civile un popolo dedica una via a un feroce assassino.

Intanto a Napoli, esultano i promotori ed esulta il consigliere che ha portato l’ordine del giorno in aula: “L’Unità d’Italia è un valore acquisito che nessuno mette in discussione – premette Andrea Santoro, eletto nelle liste di Napoli Capitale – ma vorremmo si parlasse di come le regioni del Sud allora siano state penalizzate e, ancora oggi, se c’è un divario tra Nord e Sud, è soprattutto perché quel tipo di annessione penalizzò enormemente il Mezzogiorno”.

“Se è vero che la storia è scritta dai vincitori – spiega all’Adnkronos – a distanza di tanti anni è ormai arrivato il momento di ripristinare un minimo di verità storica. Quello che fece il Regno sabaudo piemontese fu un’invasione militare del Regno delle Due Sicilie, e per giunta personaggi come Cialdini si macchiarono di veri e propri crimini verso le popolazioni, con paesi rasi al suolo e atrocità inenarrabili. È giusto parlare di questi fenomeni che sono accaduti e sono stati cancellati dalla storiografia ufficiale ed è giusto anche che ci siano segnali forti. Ecco perché la rimozione dei busti di Cavour e Cialdini da un luogo così prestigioso sarebbe un segnale importante”.

Il testo originario del documento di Santoro chiedeva la rimozione anche del busto di Cavour ma su richiesta della maggioranza ci si è limitati, almeno per il momento, a quello di Cialdini.

Ricordiamo, per finire, che il nome di questo assassino è stato cancellato dalla toponomastica di diversi comuni non solo meridionali: da Casa Massima, in provincia di Bari a Lamezia (Benevento), fino a Mestre.

A Catania c’è una consigliere. Sebastiano Anastasi che ha avanza la proposta di eliminare l’intitolazione di due strade a Cialdini e a Cesare Lombroso: “Che senso ha tenere una via Cialdini a Catania? – dice  l’esponente di Grande Catania – dedicare una via a un generale che, come ormai sembra condiviso, durante il Risorgimento si è macchiato di stragi e violenze? Lo hanno fatto numerosi Comuni – aggiunge – anche del Nord Italia. Intitoliamola a Graziella Campagna, piuttosto una vittima innocente di mafia”.

E sullo pseudo scienziato razzista aggiunge: “Portiamo avanti, piuttosto- continua – il progetto di Toponomastica femminile, intitolando tre strade alle tre donne indicate dalle scuole di Catania”.

Anche a Palermo ci sono state iniziative simili e c’è stato anche un consigliere comunale Giovanni Coletti (che precedentemente non avevamo citato e con il quale ci scusiamo) che ha presentato una mozione per abolire il nome di Cialdini e sostituirlo con quello di Giovanni Lo Porto, il cooperante palermitano ucciso da un raid americano in Pakistan. La mozione, come vi avevamo raccontato qui, è stata approvata dai consiglieri della II Circoscrizione ma dall’amministrazione non si batte un colpo: “A Gennaio torneremo a sollecitarle l’amministrazione, questa è una battaglia alla quale non rinunceremo” dice Coletti.

E, in effetti, si tratta di una battaglia di civiltà oltre che di dignità.

 

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  • Caro Direttore, il comportamento e l'iniziativa dei Consiglieri del Comune di Napoli è degna di lode e dovrebbe essere "copiata" o "plagiata" da altri Componenti i Consigli Comunali di tutti i comuni del Sud là dove ci siano insegne e/o lapide intestate aquei farabutti che, approfittando del loro potere hanno distrutto e devastato intere regioni.
    Sarebbe opportuno che Lei, direttore di questo blog, invitasse singolarmente i vari Consiglieri per saqpere la loro intenzione di seguire l'esempio dei Consiglieri del Comune di Napoli e poi, a cascata, si potrebbero smuovere anche i Consiglieri dei Comuni del Sud.

  • Cancellare Ciadini etc. è la palese dimostrazione dell'analfabetismo di ritorno in cui è caduto il nostro paese.

    La cialtroneria al potere.

  • 1. Per quel che penso, si possono rimuovere anche tutti i busti di Enrico Cialdini ovunque si trovino.
    2. L’attuale consiglio comunale di Napoli è attraversato da molte suggestioni neo-borboniche; consiglierei ai siciliani di valutarne le iniziative cosiddette revisionistiche con una sana diffidenza non essendo ben chiaro dove andranno a parare.
    3. Il giudizio sui fatti storici è libero; l’alterazione dei fatti è pratica da evitare. L’autore dell’articolo scrive che il 14 agosto 1861 fu perpetrato “l’eccidio dell’intera popolazione di Pontelandolfo e Casalduni […] per ordine del generale [Cialdini] imbestialito a causa di una tenace e imprevista resistenza” non meglio precisata. Chiariamo: l’8 agosto Cialdini ordina al tenente colonnello Negri di attaccare Pontelandolfo, dove risulterebbero concentrati numerosi capi delle bande che agiscono nel territorio; l’11 agosto un drappello composto da 40 bersaglieri e 4 carabinieri al comando del tenente Cesare Augusto Bracci – inviato in ricognizione per acquisire informazioni sulla situazione in quei luoghi - viene massacrato in Casalduni ad opera soprattutto di una banda guidata da Angelo Pica, con la partecipazione - non ben definibile – della popolazione. Si salvano solo due uomini. Il 12 Cialdini ordina – con un ordine ingiustificato e ingiustificabile - la distruzione sia di Casalduni che del vicino Pontelandolfo. Casalduni viene investito il 14 da un reparto comandato dal maggiore Carlo Melegari: ma il paese è già stato abbandonato dagli abitanti. Melegari ne ordina l’incendio. Negri entra quasi contemporaneamente in Pontelandolfo: qui alcuni abitanti vengono trucidati e poi le case sono date alle fiamme.
    4. L’azione contro i due paesi è da condannare senza alcun distinguo: e questo varrebbe comunque, anche se nell'attacco fosse rimasto ucciso un solo civile. Stabilito questo, chi afferma che venne sterminata l’intera popolazione fa del sensazionalismo ma non sa di cosa stia parlando. Secondo lo “Specchio statistico delle popolazioni de’ Comuni delle provincie meridionali d’Italia”, Napoli, Ferrante, 1861, p. 27, gli abitanti di Pontelandolfo erano 5747, quelli di Casalduni 3769. Il “Liber mortuorum” del primo paese – compilato dal parroco, e il clero non era certo portato a minimizzare le efferatezze governative - registra nella giornata del 14 agosto i nomi di 13 vittime della repressione; altre 4 persone risultano uccise dai banditi. Da agosto a dicembre il totale dei morti in Pontelandolfo raggiunse il numero di 199, dei quali 48 in agosto e ben 64 in settembre; l’anno precedente nello stesso periodo erano stati 86. È plausibile che le conseguenze dell’incendio abbiano provocato numerosi decessi nelle settimane seguenti. A Casalduni le fonti conosciute riferiscono di tre persone uccise nella giornata del 14 agosto, ma vi è compreso l’arciprete Giovanni Corbo, al quale si deve la compilazione del “Libro dei morti” nei mesi successivi, e che morì l’anno seguente.
    5. Conclusione. L’aggressione contro Pontelandolfo e Casalduni fu un atto di gravità estrema – peraltro nelle stesse settimane altri paesi subirono analoghi attacchi, e in taluni casi con un numero di vittime ben più alto: ma gli indignati di professione in genere se ne dimenticano -, per il quale va condannato non solo Cialdini ma il governo di Ricasoli che autorizzava simili comportamenti. E il linciaggio dei soldati di pochi giorni prima – che non va certo nascosto - non può in alcun modo attenuarne la responsabilità. Ma non foss’altro per rispetto dei morti, sarebbe bene ricostruire i fatti nella loro realtà, senza isterismi e senza voler piegare le vicende di centocinquant’anni fa a logiche molto, molto contemporanee.

    • @Fulgenzio Per fortuna i meridionali si stanno svegliando e fanno volentieri a meno di commenti banalmente conformisti come i suoi. Banale e conformista come tutti gli pseudo intellettuali al servizio del potere...

    • Grazie per averci rinfrescato la memoria. Conosciamo il contesto in cui si muoveva Cialdini e i suoi mandanti. Anche in questo articolo c'è il link che riporta all'approfondimento fatto da questo pregevole blog.
      Non capisco però la sua chiosa. Piegare la storia a logiche contemporanee? E cosa c'è di sbagliato? Diceva Gramsci: “Quando nel passato si ricercano le deficienze e gli errori non si fa storia, ma politica attuale”

    • Grazie per averci rinfrescato la memoria. Conosciamo il contesto in cui si muoveva Cialdini e i suoi mandanti. Anche in questo articolo c'è il link che riporta all'approfondimento fatto da questo pregevole blog.
      Non capisco però la sua chiosa. Piegare la storia a logiche contemporanee? E cosa c'è di sbagliato? Diceva Gramsci: “Quando nel passato si ricercano le deficienze e gli errori non si fa storia, ma politica attuale”

    • Gentile signor Marinelli, i Siciliani veri ricordano bene anche le malefatte dei Borbone e in particolare i messinesi ricordano come i loro ragazzi , i Camiciotti, preferirono uccidersi pur di non arrendersi ai soldati di re Ferdinando.

      Detto questo ... se il deputato milanese Giuseppe Ferrari nella quasi immediatezza dei fatti denunciò in Parlamento la strage di Pontelandolfo e la necessità di un'indagine non lo fece per i 'pochi' morti ufficiali registrati nel Libro dei morti.

      dal Corriere della Sera del 14 agosto 2011

      I bersaglieri al comando del vicentino Pier Eleonoro Negri, inviati dal generale Enrico Cialdini per vendicare una quarantina di commilitoni massacrati tre giorni prima dai briganti nella vicina Casalduni, piombarono sul paese all'alba. Ricorda nel suo libro di memorie uno dei soldati, il valtellinese Carlo Margolfo: «Entrammo nel paese: subito abbiamo incominciato a fucilare preti ed uomini, quanti capitava, indi il soldato saccheggiava, ed infine abbiamo dato l'incendio al paese».
      «È indescrivibile», avrebbe annotato Rocco Boccaccino nel libro Memorie dei giorni roventi dell'agosto 1861 , «l'eccidio che ne seguì con tutte le sevizie, a cui uomini e donne, inferociti e privi di ogni senso di pietà, brutalmente si abbandonarono». «Quale desolazione!», ricorda Margolfo inorridito: «Non si poteva stare d'intorno per il gran calore, e quale rumore facevano quei poveri diavoli che la sorte era di morire abbrustoliti, e chi sotto le rovine delle case. Noi invece durante l'incendio avevamo di tutto: pollastri, pane, vino e capponi, niente mancava...».
      I morti ufficiali furono pochi. Al punto che quando nel 1978 il municipio ricordò per la prima volta la strage («la vivevamo come una colpa, come se in qualche modo ce la fossimo tirata», sospira il sindaco Cosimo Testa) la lapide fu dedicata a solo 17 «ignari inermi innocenti» travolti dall'«inconsulto sterminio». In realtà, secondo l'opinione comune degli storici, che da qualche anno hanno cominciato ad approfondire, sarebbero stati quattrocento. Anche se Pino Aprile scrive nel suo libro Terroni che c'è chi ipotizza che le vittime «siano state più di 1.000, alle quali bisogna aggiungere i morti dei mesi successivi per le ferite riportate».

      Tra i cadaveri, c'era quello di una ragazzina, Concetta Bondi, che, come avrebbe scritto nel 1919 Nicolina Vallillo, «per non essere preda di quegli assalitori inumani, andò a nascondersi in cantina, dietro alcune botti di vino. Sorpresa, svenne, e la mano assassina colpì a morte il delicato fiore, mentre il vino usciva dalle botti spillate, confondendosi col sangue».

      I militari del Regno d'Italia, accusa la delibera del Comune che ha dichiarato Pontelandolfo «città martire», «uccisero bambini, giovani, vecchi, donne e fanciulle, molte di esse dapprima stuprate. Molti soldati si impossessarono di danaro, oro ed altri oggetti di valore. Profanarono anche la Chiesa Madre rubando i doni votivi e finanche la corona d'oro della Madonna. Poi il paese dopo la mattanza fu dato alle fiamme, facendo abbrustolire i morti e quanti, ancora feriti o infermi, nelle proprie case imploravano vanamente e cristianamente aiuto!».

      PS L'espressione a mio avviso più corretta per tentare di ripristinare la verità storica del cosiddetto Risorgimento italiano non è revisionismo, bensì 'superamento del negazionismo', tipico della retorica risorgimentale prima e di quella fascista poi.

  • Gentile Augusto Marinelli, fa piacere constatare
    che esistono persone come lei che conoscono bene
    i fatti della storia raccontata nell'articolo. Le sue
    precisazioni sono importanti. Purtroppo la storia la
    scrivono i vincitori e menzogne e mistificazioni ne
    abbiamo avute a volontà, oceani di falsità, sono più
    che convinto che lei racconta l giusta versione, però
    ci dovrebbe raccontare anche gli antefatti delle stragi
    di Casalduni e Pontelandolfo , precisamente cosa ci
    facessero quei reparti in quelle zone e per quali motivi
    la banda d i Angelo Pica e parte della popolazione si
    scagliati con ferocia contro i bersaglieri sa è molto
    importante conoscere i fatti da tutti i partecipanti e
    non solo un'unica versione, quale guerra si combatteva
    per quali motivi, chi l'avesse dichiarata e perché anche
    la popolazione era in armi, per quali cause i cittadini di
    quelle contrade erano inferociti. Attendiamo con ansia
    le sue preziose delucidazioni.

  • Consiglierei a coloro che parlano di meridionali che si svegliano di leggere bene l'articolo del compianto Antonino Recupero intitolato la Sicilia all'opposizione (1848-1874) apparso nel volume collettaneo scritta da AA.VV. la Sicilia casa editrice Einaudi.

    La questione Cialdini riguarda il brigantaggio, fenomeno legato al banditismo di secolare memoria, circoscritto in alcune zone del'ex regno di Napoli, in particolare la Campania e la Calabria, mentre la Puglia la Basilicata e la Sicilia furono immuni da questa storica piaga secolare, tanto è vero che non vi fu la presenza dell'esercito per ripristinare l'autorità perduta a causa dello scollamento dell'autorità borbonica ; la rilettura pseudostorica di coloro che arrivano a sostenere su valutazioni pseudogramsciane che i briganti sono eroi, è da considerare completamete fuori luogo; vi ricordo che l'esercito era già allora un esercito italiano nel quale facevano parte truppe meridionali e che subì una efferata violenza alla quale fu attuata una rappresaglia perché i soldati che caddero nell'imboscata subirono il vilipendio di cadavere (mutilazioni e parti di corpo mancante a causa della pratica antropofaga attuata da alcuni eroi briganti nei confronti delle vittime).
    Pare da attente ricostruzioni storiche che nella rappresaglia vi furono coinvolti civili, ma che non vennero massacrati indistintamente come sostengono strumentalmente gli pseudostorici filoborbonici.

    Stiamo attenti a quando si parla di fatti complessi e strumentalizzarli per fini politici come fanno gli scrittori di best sellers.

  • Un nuovo allarme è di dovere per smaltire i rifiuti organici di una società morta e sepolta come quella dei neoborbonici. L'imperante ignoranza del 2000, presso questieterni sudditi ancestrali, va combattuta sul piano della vera cultura. Gramsci non c'entra con la mitizzazione dei briganti.E' il vittimismo ignorante della peggiore partedi un meridione indolente apatico che trova con la mitizzazione di veri delinquenti, un modo ed una scusa a tanto degrado culturale. Quindi, condivido in pieno la posizione di questo blog e de riancio i temi permettendomi la condivisione sulla pagina del blob: "AMICI DEL NUOVO NUOVO MONITORE CAMPANO". Auguri e buon lavoro storico..... !!!!!!!!!!!

  • Gentile Salvatore, suggerisco sempre di lasciare da parte una solenne insulsaggine come “la storia la scrivono i vincitori” per evitare – onde essere conseguenti - di dover trasformare Tucidide in uno spartano, Leopold von Ranke in un gesuita, François Furet in un sostenitore del Direttorio. La storia la scrivono gli storici; è un guaio quando si scambia per “storia” ciò che scrivono i libellisti. Marc Monnier per Pontelandolfo insinuò addirittura – falsamente - che i contadini avessero compiuto atti di cannibalismo contro i soldati: ma scriveva nel 1862.
    Lei mi chiede di riscrivere per intero la storia del brigantaggio post-unitario: non ho una simile ambizione, e temo che dovrà accontentarsi di rileggere – perché sono certo che già li ha letti – gli studi apparsi da alcuni decenni a questa parte, da quelli di Tommaso Pedio al libro di Franco Molfese. fino a saggi più recenti come l’articolo di Alfredo Del Monte e Luca Pennacchio, Struttura fondiaria, brigantaggio ed associazioni criminali nel Mezzo giorno nei decenni post-unitari [quest’ultimo lo si trova su Internet digitandone il titolo, e nelle prime pagine affronta proprio il tema del brigantaggio]. Quanto ai singoli, spero ci si trovi d’accordo sul fatto che Angelo Pica era un bandito come lo era Cosimo Giordano, il più influente capo-banda della zona, visto che entrambi taglieggiavano abbondantemente i propri compaesani.
    Al cortese signor Lanter – col quale, se ricordo bene, ho già avuto una breve conversazione qualche tempo fa – devo far notare che le annotazioni giornaliere sul “Libro dei morti” del canonico Pietro Biondi di Pontelandolfo difficilmente possono essere smentite da un articolo comparso sul “Corriere della Sera” il 14 agosto 2011 nel quale si attribuisce a storici innominati – io non sono riuscito a trovarli, forse lei è stato più fortunato – l’opinione che i morti sarebbero stati quattrocento. Ricordo che nessuno dei presenti alla strage indicò mai il numero, nemmeno presunto, delle vittime, né lo fece Ferrari, che a Pontelandolfo andò in novembre. Giacinto De Sivo, nella sua “Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861”, volume quinto, Viterbo, 1867, p. 133, dopo alcune frasi generiche sull'azione contro Pontelandolfo ricorda sei morti; e non era certo un apologeta del Regno d’Italia. “Civiltà Cattolica” – anno duodecimo, vol. XI, IV serie, 1861, p. 618 – riferì di 164 vittime. Di Pino Aprile non parlo nemmeno. Quanto a me, trovo ben più drammatica delle frasi alla Delly di Valillo la nota del canonico Biondi: “n. 106 a dì 14 agosto 1861. D. Concetta Biondi [non Bondi] di Pontelandolfo di anni 18 figlia di Modestino e Giuseppa Boccaccino morta accisa nella propria casa nel giorno del Incendio e sepellita nella chiesa della SS. Annunciata”.
    Concludo. La guerra contro il brigantaggio divenne ben presto una vera e propria guerra civile, nel corso della quale furono commesse molte nefandezze. Non credo di averle minimizzate nel mio precedente intervento nel quale ho fornito alcune cifre. Ma urlare numeri a casaccio mi pare un pessimo modo di invitare agli studi storici. Quanto alla retorica fascista, l'abbiamo superata da da settant'anni.
    Cordialità

  • Gentile Augusto Marinelli, mi duole osservare
    che lei non ha risposto alle mie domande.

    Auguri di Buon Anno

  • ma lasciate perdere sti libri di storia coloniale italiana. addirittura Einaudi..superato ormai da nuove scoperte e fonti da oltre 30anni. ricordiamo che era il Regno di Sicilia tutto il "meridione" (ridenominato Regno delle Due Sicilie da secoli e non dal 1816) e che i Borbone difendevano la Sicilia dai traditori che si servirono di mercenari. dimostrazione vuole che occuparono tutti i posti nel Regno d"italia. una vergogna. poi per Casalduni e Pontalondofo i soldati italiani di Cialdini e Negri e del capitano Bracci (che scriveva nei suoi dispacci) si comportavano già con metodi vessatori e occupanti..ecco perché in Agosto vennero attaccati. per il resto le dichiarazioni : "unità non è messa in discussione"..e dove vuole andare a parare? bella azione, ma forse vogliono rimanere economicamente italiani di Serie C

    • Precisazione: il volume collettaneo La Sicilia, a cura dell'Editore Einaudi, è scritto da storici siciliani (Giarrizzo, Recupero, Lupo, Longhitano etc..)

      Definire storia coloniale è da sciocchi, considerando che furono i Borbone a considerare la Sicilia come colonia, con l'abolizione del parlamento siciliano e della Costituzione del 1812

      Non si spiega come mai a causa del ribellismo siciliano e dei moti rivoluzionari che infiammarono l'Isola, i siciliani appoggiarono l'intervento garibaldino e cacciarono gli odiatissimi Borbone.

  • Caro Salvatore, le ricordo che il punto sul quale sono partito è: l'affermazione secondo la quale a Pontelandolfo e Casalduni vennero sterminati tutti gli abitanti è vera o falsa ? Non ho letto la sua, di replica.
    Per resto, mi ripeto: la risposta alle sue "domande" richiederebbe una analisi delle cause e delle manifestazioni del brigantaggio nell'Italia meridionale almeno dall'età murattiana in poi. Davvero si può credere di riassumere una problematica così complessa in poche righe ?
    Una messa a punto recente può trovarla, se ne ha voglia, nel saggio di Alfonso Scirocco premesso nella "Guida alle fonti per la storia del brigantaggio postunitario conservate negli Archivi di Stato" reperibile nel sito del Ministero per i Beni culturali: ma sono ben più di trenta righe.
    Buon anno anche a lei.

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